(…)
Nel maggio 1998, dopo mesi di ardue trattative,
una troupe televisiva americana riuscì a stabilire un
contatto e a intervistare, in un rifugio tra le montagne dell’Afganistan
controllato dai talebani, l’uomo che il governo degli Stati
Uniti e molti dei suoi alleati consideravano il terrorista internazionale
in libertà più pericoloso del mondo. Si trattava
di Usama bin Laden, un multimiliardario, nato nel 1957, che
aveva costruito la sua fortuna da cittadino dell’Arabia Saudita,
per poi diventare leader e finanziatore della rete terroristica
internazionale nata dalla guerra santa in Afganistan. Durante
l’intervista televisiva di quel maggio, bin Laden sostenne la
necessità di uccidere americani ed ebrei dovunque fossero,
definendo gli americani “i peggiori ladri del mondo e i [peggiori]
terroristi”. Esaltò – lasciando quasi intendere di considerarsene
il responsabile – l’attentato al World Trade Center di New York
nel febbraio 1993 e la sconfitta delle forze americane in Somalia
nel 1993-94, esprimendo il desiderio proprio e dei suoi seguaci
di eliminare l’influenza e gli interessi occidentali, soprattutto
americani, dal mondo arabo e musulmano, oltre che di spodestare
e di distruggere la famiglia reale saudita (27).
Il governo degli Stati Uniti stava ufficialmente valutando l’opportunità
di mettere una taglia su bin Laden, una scelta che poteva rivelarsi
pericolosa dal momento che bin Laden godeva della protezione
dei talebani, a loro volta protetti dal Pakistan, alleato dell’America.
La storia è essenziale per capire in che modo la jihad
afgana abbia condotto in linea diretta a una serie di atti terroristici
in tutto il mondo, al moltiplicarsi delle azioni di guerriglia
e alla privatizzazione di queste azioni attraverso il finanziamento
personale di bin Laden e di altri personaggi simili.
Qualche informazione sulla famiglia d’origine yemenita di bin
Laden, che ha fondato e reso prospera una delle più grandi
imprese edili del mondo, può aiutarci a comprendere il
carattere internazionale della guerra santa afgana e delle guerre
empie che ne scaturirono.
La provincia di Hadhramaut, sulla costa meridionale dello Yemen,
a est del grande porto marittimo di Aden, è una torrida
terra di alte e pittoresche costruzioni di fango cotto che,
fino a non molto tempo fa, erano realizzate a mano. Nei secoli
passati, le imbarcazioni mercantili degli arabi hadrami raggiungevano
da qui l’Indonesia e la Cina portando indietro spezie, incenso
e mirra dall’Estremo Oriente e dal subcontinente indiano, molto
tempo prima che i mercanti dell’Inghilterra e del Massachusetts
facessero fortuna grazie al commercio con la Cina del diciannovesimo
secolo.
L’Inghilterra liberò dal proprio giogo coloniale Aden
e l’Arabia meridionale nel 1967, creando i due Paesi indipendenti
dello Yemen del Nord e dello Yemen del Sud al posto dei vecchi
Stati e principati che costituivano il protettorato inglese.
Ancora prima dell’indipendenza, una generazione di mercanti,
impiegati e cambiavalute hadrami erano emigrati a nord, in Arabia
Saudita, in cerca di fortuna. Questa fortuna, conquistata grazie
a un duro lavoro e alla buona sorte, contribuì alla nascita
delle dinastie commerciali e bancarie saudite. Alcune di queste
oggi finanziano la causa dell’Islam nel mondo attraverso istituzioni
filantropiche musulmane, banche private e fondazioni di vario
genere. Tra gli immigrati hadrami, creatori e fondatori di queste
istituzioni, c’era un ex impiegato di un ufficio cambi di Jeddah,
Salim bin Mahfouz, proprietario di uno degli istituti finanziari
privati più grandi e più prosperi del regno, la
Saudi National Commercial Bank (28). Se un tempo era legata
alla bcci, dopo la rottura di questi rapporti ottenne attestati
di buona e robusta costituzione dai tribunali e dagli enti investigativi
occidentali.
Un
Berlusconi yemenita
Muhammad bin Laden, il padre di Usama bin Laden e fondatore
della straordinaria dinastia di imprenditori edili, era un altro
di questi yemeniti emigrati da giovani in Arabia Saudita. Aveva
inizialmente trovato un posto di muratore presso la aramco,
la compagnia petrolifera arabo-americana, dove guadagnava un
riyal (circa 400 lire) al giorno. Come i suoi compatrioti hadrami
immigrati, depositava i risparmi in una scatola di latta. Quando
ebbe messo via abbastanza soldi per creare una propria attività,
fondò l’impresa edile bin Laden. Iniziò in sordina,
con poche commesse, ma ben presto, nei primi anni Cinquanta,
si allargò e cominciò a costruire palazzi per
la Casa saudita a Ryad. La grande occasione per Muhammad bin
Laden e per i suoi figli – ne ebbe infatti non meno di 52 con
le diverse mogli – arrivò con un appalto per la costruzione
dell’autostrada Medina-Jeddah, nella provincia sacra di Hejaz,
dopo il ritiro di un concorrente straniero.
Ben presto il nome di bin Laden divenne una leggenda nel settore
delle costruzioni nel regno saudita, nell’emirato del Golfo
di Ras al-Khaimah e in Giordania, dove vennero realizzati importanti
progetti di strade, aeroporti e altre infrastrutture. La società
attirava ingegneri e tecnici da tutto il mondo e la sua fortuna
crebbe rapidamente e a dismisura. Muhammad lo sceicco, come
fu soprannominato, si creò ben presto la fama di uomo
devoto e ricchissimo, viaggiando in jet, come era solito fare,
da un cantiere arabo all’altro. Una volta visse l’esperienza
unica di recitare, in un solo giorno, le preghiere del mattino
a Gerusalemme est (prima della conquista della città
santa da parte di Israele nel 1967), le preghiere di mezzogiorno
a Medina e quelle della sera alla Mecca. La sua reputazione
di uomo pio si rifletteva sull’immagine della sua azienda. Quando
morì in un incidente aereo nel 1966, il gruppo bin Laden
era l’impresa privata del settore più grande del mondo
e possedeva 90 delle più grandi scavatrici Caterpillar
allora esistenti.
Malgrado le proprie credenziali religiose, che furono utili
più tardi quando cominciò a finanziare la jihad
afgana, l’azienda era carente in quanto a capacità manageriali.
Per qualche tempo il re Faisal assunse il titolare di una piccola
impresa edile perché ne controllasse gli affari, ma alla
fine degli anni Settanta era uno dei figli più giovani
dello sceicco Muhammad, Usama, a gestire la maggior parte del
business. Sotto la sua direzione il gruppo riuscì a mantenere
la reputazione di cui godeva, di eccellenza professionale e
intraprendenza nella realizzazione di grandi progetti. La quota
di fortuna familiare ereditata da Usama bin Laden cominciò
ben presto ad aumentare.Nel 1981, quando il capo della cia Casey
e i suoi colleghi sauditi, Kamal Adham e il principe Turki,
erano alla ricerca di nuove fonti occulte di finanziamento per
la campagna afgana, le imprese bin Laden rientravano tutte nel
breve elenco di famiglie potenzialmente disponibili. Il principe
bin Abdul Aziz, il potente ministro della difesa e dell’aviazione,
disse a una delegazione americana di uomini d’affari e investitori
che quelle aziende “avevano fatto grandi cose per il regno”
(29).
Un rapporto standard e piuttosto tardivo del Dipartimento di
Stato americano, pubblicato nell’estate del 1997, riporta numerosi
fatti interessanti sulla carriera di bin Laden in quanto dirigente
del terrorismo islamico e antiamericano (30), ma tralascia le
informazioni di fondo che ci aiuterebbero a capire quanto fossero
antichi e stretti i suoi rapporti negli Stati Uniti, permettendo
così al duo Reagan-Casey di assicurarsi le sue capacità
e la sua ricchezza per sostenere la jihad.
La
lezione dell’Afghanistan
(…) Lo stesso non si può dire di Usama bin Laden che,
non appena i sovietici invasero l’Afganistan, nel dicembre 1979,
si unì ai mujahedin e assunse ben presto un ruolo di
primo piano. “Ero infuriato e ci andai subito”, dichiarò
in un’intervista nel 1993 a Robert Fiske del quotidiano “Independent”,
uno dei primi giornalisti che riuscirono a indicarlo tra i personaggi
chiave della jihad e di tutto quanto seguì. Bin Laden
costituì una base a Peshawar, facilmente raggiungibile
dall’isi pakistana ma, sembra, non controllata da questa. Grazie
alla sua personale reputazione di pio musulmano e di sostenitore
della causa islamica wahabi, e grazie al coinvolgimento delle
aziende di famiglia nell’opera di costruzione e ristrutturazione
dei santuari della Mecca e di Medina, appariva sia ai servizi
segreti sauditi sia alla cia come la scelta ideale per svolgere
il ruolo di leader che pian piano assunse.
Bin Laden cominciò a usare fondi suoi e delle sue società
per pagare il reclutamento, il trasporto e l’addestramento dei
volontari arabi che si ammassavano dapprima a Peshawar e poi
in Afganistan per combattere nella jihad. Secondo i servizi
segreti egiziani il suo aiuto ai gruppi islamici clandestini
in Egitto, tra cui il Gamaa al-Islamiya e l’Al-Gihad, che aveva
assassinato Sadat, ebbe inizio contemporaneamente o poco tempo
dopo il suo arrivo in Pakistan. Nel 1985 bin Laden aveva raccolto
abbastanza miliardi dalla sua famiglia, dalle sue società
e dalle donazioni di facoltose famiglie di commercianti del
Golfo Arabo per riuscire a organizzare al-Qaida, la Fondazione
per la Salvezza dell’Islam, a sostegno della jihad. Istituì
una rete di centri di reclutamento in Arabia Saudita, Egitto
e Pakistan, attraverso la quale arruolava e proteggeva migliaia
di volontari arabi, forse assistito – ma questo non è
del tutto chiaro all’autore – dalla fondazione religiosa pakistana
Tablighi Jamaat, particolarmente attiva, come abbiamo visto
prima, nell’Africa del Nord. Questa vasta confraternita di discepoli
al-Qaida è ancora attiva a livello internazionale.
Molti di coloro che erano stati reclutati da bin Laden si rivelarono
musulmani fanatici, come del resto era egli stesso, e combattenti
coraggiosi. Altri invece erano semplici delinquenti, come quelli
che la Tabligh aiutava a farsi un’istruzione religiosa in Pakistan
dopo essere usciti dalle carceri algerine o tunisine. Un pregiudicato
egiziano era Muhammad Amer, che si trovava tra i volontari non
sauditi che avevano preso parte alla grande rivolta e alla conquista
della moschea santa della Mecca nel novembre e dicembre 1979,
appena prima dell’inizio della guerra in Afganistan. A differenza
di molti degli altri rivoltosi, che furono decapitati con la
spada, ad Amer fu inflitta la pena relativamente blanda di nove
anni di carcere. I servizi segreti egiziani sostengono che la
rete di Usama bin Laden abbia aiutato Amer, una volta uscito
dal carcere saudita, a fuggire a Peshawar, dove si unì
a un gruppo di militanti egiziani più o meno coinvolti
nei combattimenti contro i russi. Questo gruppo era guidato
o influenzato da Ayman al-Zawahri, un professionista egiziano
con formazione universitaria. Costui era il sedicente “emiro”
di una cellula islamica che era riparata dall’Egitto a Peshawar
poco tempo dopo l’uccisione di Sadat nel 1981. Nel 1998, al-Zawahri,
inviando ordini per fax ed e-mail agli insorti islamici in Egitto
dai suoi vari luoghi di esilio, soprattutto la Svizzera, era
ancora uno degli uomini più temuti presenti nella lista
dei “ricercati” dei servizi di sicurezza del presidente Mubarak.
Indipendentemente dal fatto che bin Laden fosse o no coinvolto,
i mezzi utilizzati dagli islamisti egiziani per raccogliere
fondi comprendevano la contraffazione e il riciclaggio di denaro.
Muhammad Amer e un altro volontario egiziano, Al-Syed Muhammad
Ibrahim, concepirono con al-Zawahri l’idea di stampare in quantità
massicce dollari americani, riyal sauditi e sterline egiziane
false per finanziare le azioni in Egitto e in altri Paesi. I
servizi segreti egiziani ritenevano che costoro fossero sostenuti
da alcuni elementi iraniani, allora sospettati dal Tesoro americano
di falsificare grandi quantità di banconote da 100 dollari.
Una sofisticata macchina da stampa fu introdotta illegalmente
in un remoto villaggio dell’Egitto, Bassous, dove le incursioni
della polizia erano ritenute improbabili. La banda fu invece
scoperta e arrestata grazie alla collaborazione di un noto falsario
professionista già sotto vigilanza della polizia egiziana
(31).
Affari
in Sudan
Nel corso della jihad in Afganistan, Usama bin Laden fece arrivare,
tramite le sue società, bulldozer e altre attrezzature
pesanti per costruire strade e gallerie e realizzò ospedali
e grandi rifugi tra le montagne del Paese per ospitare i combattenti
della guerra santa e le loro vettovaglie.
Dopo il ritiro dei sovietici nel 1989, bin Laden tornò
per un breve periodo in Arabia Saudita per occuparsi delle attività
edili della famiglia dalla sede centrale del gruppo a Jeddah.
Ma nel frattempo continuava a sostenere i militanti islamici
che avevano cominciato a prendere di mira i governi di Egitto,
Algeria, Tunisia, Yemen, Filippine. I servizi di sicurezza sauditi,
già alquanto imbarazzati per le sue attività,
gli ritirarono il passaporto nel periodo dal 1989 al 1991, sperando
di impedirgli, o almeno di scoraggiare, i contatti con gli estremisti
con cui aveva collaborato durante la jihad afgana, ai tempi
con la piena approvazione del regime saudita e della cia (anche
se non sempre dell’isi pakistana).
Nel 1991 bin Laden, in compagnia di alcuni veterani della guerra
afgana a lui fedeli, si trasferì a Khartoum, la capitale
del Sudan, dove fu accolto da Hassan al-Turabi, il colto e prestigioso
dirigente del Fronte Nazionale Islamico del Sudan (nif). Quando
il generale Omar Bashir aveva conquistato il potere grazie al
colpo di Stato militare del 1989, il nif e Turabi erano forze
discrete ma potenti alle spalle del regime militare sudanese.
Già dai primi anni Ottanta bin Laden e i suoi collaboratori
in affari erano in cerca di opportunità d’investimento
in Sudan, un Paese devastato da decenni di guerra civile tra
i governi islamici del nord e i movimenti cristiani e animisti
del sud. Nel 1990, prima di recarsi a Khartoum, bin Laden aveva
già dato il via a una serie di progetti commerciali.
Bin Laden si rese utile in Sudan, aumentando allo stesso tempo
la sua fortuna personale, grazie alla costituzione di imprese
in cui era associato con i ricchi esponenti del nif di Turabi.
La sua società, denominata Al-Hijrah for Construction
and Development, costruì una nuova importante autostrada
che univa Khartoum a Port Sudan, sul Mar Rosso, e il moderno
aeroporto internazionale di Port Sudan. La trading company di
bin Laden, Wadi al-Aqiq, che operava insieme alla Taba Investment
Company, ottenne un quasi monopolio sui principali prodotti
agricoli di esportazione del Sudan – gomma arabica, mais, girasole
e sesamo – operando insieme ad alcuni importanti esponenti del
nif. Un’altra società di bin Laden, la Al-Themar al-Mubarakah
Agriculture Company, acquisì vasti terreni vicino a Khartoum
e nel Sudan orientale. Sempre insieme ad alcuni membri benestanti
del nif, bin Laden finanziò la costituzione di un nuovo
istituto bancario a Khartoum, la Al-Shamal Islamic Bank, riservato
alle attività bancarie islamiche senza interessi, investendo
50 milioni di dollari in fondi da lui controllati.
Il personale delle società di proprietà di bin
Laden o da lui controllate raggiunse ben presto le centinaia,
forse le migliaia di dipendenti: quasi tutti militanti arabi
o veterani della jihad afgana, in cerca di un modo per evitare
di tornare nel proprio Paese d’origine, dove molti di loro dovevano
scontare pene detentive, se non addirittura condanne a morte,
per reati comuni o per attività sovversive e terroristiche.
Bin Laden rilasciava passaporti e documenti d’identità
falsi e stabiliva contatti di tipo professionale per agevolare
gli spostamenti degli “afgani”, com’erano definiti i veterani
della jihad. Nel 1993, per esempio, pagò il viaggio in
Sudan a tre o quattrocento di loro che rischiavano gravi sanzioni
in Pakistan, ai tempi sotto la pressione dell’Egitto, dell’Algeria
e di altri Paesi. Fu istituita anche una filiale della rete
al-Qaida in Sudan per ospitare i nuovi immigrati. Bin Laden
li finanziò e proseguì l’addestramento che avevano
già iniziato in Pakistan e in Afganistan dopo la ritirata
sovietica.
I seguaci di bin Laden cominciarono allora a collaborare con
altri gruppi di dissidenti sauditi, sia contro la presenza militare
americana nel Golfo, sia contro la stessa famiglia reale. I
suoi seguaci in Arabia Saudita si mescolavano facilmente con
i pellegrini che partecipavano allo haj alla Mecca e a Medina,
soprattutto con quelli che poi ritornavano in Egitto o in Sudan.
I servizi segreti egiziani, che per tenere gli “afgani” fuori
dal Paese puntavano a rigidi controlli ai confini con il Sudan
e la Libia, si resero conto di essere stati raggirati dal momento
che le infiltrazioni provenivano dall’Arabia Saudita. Nell’aprile
del 1993 il presidente Mubarak compì una visita speciale
a Ryad per lamentarsi del supporto fornito da bin Laden agli
islamisti egiziani insorti.
Il
ruolo di Salem
Nello stesso anno, i gruppi terroristici islamici con base
a Peshawar ma attivi in Egitto intensificarono le aggressioni
ad agenti di polizia, giudici, cristiani copti e turisti stranieri.
Alla fine del maggio 1993, il ministro degli interni egiziano
annunciò l’arresto di oltre 800 militanti islamici e
lo smantellamento di una vasta rete terroristica, aggiungendo
che bin Laden finanziava un nuovo gruppo denominato “Votati
alla Jihad”. Bin Laden, sostenevano gli uomini del presidente
Mubarak, aveva aiutato un dissidente egiziano di nome Magdi
Salem a stabilirsi in Arabia Saudita, fornendogli documenti
di viaggio e lavoro presso le società bin Laden. Quando
le autorità saudite lo avevano espulso, nel 1991, Salem
era tornato in Egitto, dove pare che avesse lavorato agli ordini
dell’allora dirigente di al-Gihad, l’ex tenente colonnello dell’esercito
egiziano Abboud al-Zumor, coordinatore del riuscito complotto
per uccidere il presidente Sadat, poi fuggito a Peshawar. Magdi
Salem aveva il compito di costituire nuovi nuclei d’azione nella
regione del Cairo e del delta del Nilo.
Ad Alessandria, Salem fu mandato a lavorare con Fuad Daifallah,
responsabile di una filiale locale dal nome poco originale e
di stampo iraniano di Hezbollah. Bin Laden, secondo il governo
egiziano, fornì un finanziamento dopo che l’Iran rivoluzionario
si era rivelato pigro o restio a pagare i combattenti non sciiti
(la minoranza sciita in Egitto è molto piccola e non
ha alcuna presa religiosa o politica; tutti i gruppi dissidenti,
compreso Hezbollah, erano in realtà sunniti). Un’altra
indagine condotta dagli egiziani presso le autorità saudite
rivelò che le società di bin Laden inviavano fondi
ai militanti islamici egiziani per comprare macchine da stampa,
armi e altre attrezzature non specificate.
Nel gennaio 1994, secondo i rapporti dei servizi segreti americani,
bin Laden finanziava almeno tre campi di addestramento di guerriglieri
o terroristi egiziani, algerini, tunisini e palestinesi, in
collaborazione con il nif. Alcuni giornalisti occidentali, compresa
un’équipe di abc News, che ebbero la possibilità
di visitare una delle zone in questione, non trovarono alcun
segno degli stranieri, ma solo la presenza di un campo di addestramento
delle milizie del nif sudanese (benché mancassero le
prove, il sospetto era che durante le visite alcuni degli arabi
avessero indossato divise sudanesi. Secondo i rapporti americani,
una società di Bin Laden, la Al-Hijrah for Construction
and Development, collaborava direttamente con gli ufficiali
sudanesi per fornire alle reclute mezzi di trasporto e provviste.
Oltre a ricorrere alle sue ricchezze e realizzare opere edili,
bin Laden aiutava gli ospiti sudanesi agevolando gli acquisti
di petrolio saudita per il Sudan, povero di risorse energetiche
e di mezzi finanziari, a prezzi sovvenzionati. Aveva affittato
una grande casa in Al Mashal Street, nel quartiere periferico
di Khartoum chiamato Al-Ryad, come la capitale saudita, comodamente
situata non lontano dall’aeroporto. Circa 200 dipendenti delle
sue società e alcuni seguaci con le relative famiglie
arrivarono da Peshawar portando denaro nel Paese. Dopo il suo
arrivo, prese il via un regolare scambio di messaggi tra Washington,
Ryad e Khartoum, in cui si chiedeva al governo del generale
Bashir di ridurre gradatamente e, se possibile, di mettere fine
alle attività di bin Laden in sostegno ai guerriglieri
all’estero. A quanto risulta, nel 1993 un dirigente del nis
di Hassan al-Turabi avrebbe assunto il controllo dell’addestramento
e dell’indottrinamento di tutti coloro che si trovavano in Sudan.
Nel 1994 Usama bin Laden cominciò a spostare l’attenzione
sullo Yemen, l’antico e travagliato Paese che aveva dato i natali
a suo padre. Lo Yemen confina con l’Arabia Saudita con cui ha
avuto una grave disputa territoriale dopo aver perso la regione
di Najran nella guerra del 1933-34. Nell’estate del 1994, il
governo conservatore dello Yemen del Nord, sotto la presidenza
di Ali Abdallah Saleh, sostenuto dagli islamisti, combatté
un aspro conflitto contro lo Yemen del Sud, in precedenza governato
dagli inglesi, che vantava una società molto più
laica di quella del nord. Nel 1994 era governato da socialisti
sui generis guidati dal generale Ibrahim al-Bidh. Bin Laden
cominciò a inviare nello Yemen del Nord denaro, armi
e reduci della jihad. Gli yemeniti del sud fornirono ai servizi
di sicurezza del Cairo informazioni sui campi di addestramento
islamici nello Yemen del Nord. Il regime monarchico saudita,
malgrado l’apparente incongruenza, sosteneva e riforniva il
regime yemenita del sud, dalla mentalità laica, contro
gli yemeniti del nord di Sanaa, che i sauditi consideravano
più ostili ai loro interessi. Dopo dieci anni di collaborazione
con i servizi segreti americani e molti anni di tentennamenti
ed equivoci, la famiglia reale saudita decise finalmente di
arrendersi alle pressanti critiche del presidente Mubarak e
degli americani. In un discorso all’inizio della primavera del
1994, il principe della corona saudita Abdallah proclamò
apertamente che gli elementi islamici più intransigenti,
che predicavano la violenza ed erano collegati a gruppi clandestini
in Egitto, non sarebbero più stati ammessi nel regno.
Stando ad alcuni rapporti del governo americano, le attività
di bin Laden nello Yemen durante quel periodo includevano il
finanziamento di un gruppo che nel dicembre 1992 aveva ripetutamente
tentato di colpire con attentati i 100 militari delle forze
armate americane di stanza a Aden in appoggio alle operazioni
dell’onu in Somalia (32).
Nella
Casa dei Martiri
Il 7 aprile 1994, dopo una visita speciale del presidente Mubarak
per lamentarsi di bin Laden con il re Fahd, e dopo una richiesta
di assistenza dello Yemen all’Interpol per riuscire ad arrestarlo,
la famiglia reale saudita decise di uscire allo scoperto. Il
re Fahd annunciò pubblicamente che bin Laden era stato
privato della cittadinanza saudita (un provvedimento effettivamente
adottato senza alcuna pubblicità in febbraio) per il
suo comportamento “contrario agli interessi del regno e potenzialmente
dannoso per le relazioni dell’Arabia Saudita con i Paesi fratelli”
e per “essersi rifiutato di obbedire agli ordini impartitigli”.
Un uomo d’affari saudita dichiarò a Youssef Ibrahim del
“New York Times” che il governo reale aveva anche adottato provvedimenti
per congelare il patrimonio di bin Laden nel regno, “anche se
si riteneva che disponesse di milioni di dollari su conti bancari
all’estero”. L’articolo del quotidiano newyorkese aggiungeva
che la decisione presa nei confronti di bin Laden sembrava un
avvertimento diretto ad altri magnati sauditi meno in vista
perché tagliassero i ponti con i gruppi di militanti
islamici in Egitto, Giordania, Tunisia e Algeria. Tali legami,
osservò Ibrahim, assumono spesso la forma di opere di
carità islamiche, come la costruzione di moschee o la
costituzione di imprese da utilizzare come canali per riversare
denaro nelle casse dei militanti (33). Alcuni di questi finanziamenti,
già presenti in Pakistan e in Afganistan nel decennio
della jihad, erano ancora utilizzati nel 1997 per finanziare
i campi di addestramento dei terroristi e dei guerriglieri di
Kunar, in Afganistan. Fonti del controspionaggio egiziano affermarono
che tra gli allievi di Kunar vi erano anche membri dei gruppi
egiziani insorti. Dopo la cattura in Pakistan, nel febbraio
1995, e l’estradizione a New York del terrorista internazionale
Ramzi Ahmed Yousef, successivamente condannato all’ergastolo
per l’attentato del World Trade Center e per altre attività
cospirative, gli investigatori pakistani resero noto che Yousef
aveva risieduto alla Bayt Ashuhada (Casa dei Martiri) finanziata
da bin Laden a Peshawar per la maggior parte dei tre anni precedenti
la cattura, di cui si parlerà più avanti (34).
Qualche settimana dopo il provvedimento di re Fahd contro bin
Laden, alcuni giornalisti inviati in Medio Oriente, compreso
l’autore, ricevettero un fax da Londra in cui si annunciava
che Usama bin Laden aveva aperto un ufficio in città.
Il fax riportava la sua firma in inglese e in arabo e quella
di un uomo indicato come il responsabile dell’ufficio di Londra.
Da quel momento in poi bin Laden, che a partire dal 1995 sembra
aver evitato persino i viaggi clandestini a Londra, fu associato
al Committee for Advice and Reform, un’organizzazione saudita
di opposizione con sede a Londra che alla fine degli anni Novanta
aveva già pubblicato più di mille pamphlet di
critica al governo e alla casa regnante saudita, spesso in termini
violenti. Bin Laden non reagì mai pubblicamente alla
condanna da parte del fratello maggiore, Bakr bin Ladin, che
aveva espresso sulla stampa saudita “il rammarico, la denuncia
e la condanna” della famiglia per le attività estremiste
del fratello minore (35).
Le peggiori previsioni della famiglia reale saudita in merito
all’aiuto di Usama bin Laden agli yemeniti divennero realtà.
Fin dal suo arrivo a Khartoum, e forse ancora prima, bin Laden
aveva aiutato un amico di lunga data, lo yemenita hadhrami Tariq
al-Fadli, a fondare il movimento per la jihad yemenita a Sanaa,
la capitale dello Yemen del Nord. Nel giugno-luglio 1994 i combattenti
della jihad erano stati schierati nel conflitto contro la leadership
socialista dello Yemen del Sud. Cosa che fece prevedere ai governanti
sauditi che altri veterani afgani, con l’appoggio di bin Laden,
avrebbero combattuto per il governo islamico dello Yemen del
Nord, e che questo avrebbe vinto la guerra. Entrambe le previsioni
si rivelarono esatte. Le difficoltà per l’Arabia Saudita
derivavano dal fatto di sostenere la parte perdente. Per ironia
della sorte, come abbiamo visto, le toccava sostenere lo Yemen
del Sud in quanto lo considerava il minore dei due mali alla
luce dell’evidente desiderio di mantenere i due Stati yemeniti
deboli e divisi, e così ridurre la minaccia per la Casa
saudita. Con scandalo degli oppositori, compresa l’organizzazione
di bin Laden, i sauditi concedevano ripetutamente asilo, strutture
mediche e logistiche alle truppe del sud in fuga, le stesse
che avevano precedentemente bollato come “comuniste”
(…)
La
privatizzazione del terrorismo
A metà degli anni Novanta, gli aiuti finanziari americani
ai combattenti della guerra santa in Afganistan erano ormai
un lontano ricordo. La bcci non esisteva più. Ma la jihad,
che continuava anche dopo il 1989 in Egitto, in Algeria, nelle
Filippine, a New York, a Parigi e in altri centri del mondo
musulmano e non, era ancora finanziata da Usama bin Laden e
da altri personaggi minori che avevano privatizzato il terrorismo
internazionale trasformandolo in un’impresa di vaste proporzioni.
Fra i più gravi pericoli derivati da questo processo
di privatizzazione c’era il finanziamento della jihad e degli
atti di violenza che la seguirono tramite la coltivazione, la
lavorazione e il traffico mondiale di stupefacenti. Negli anni
Ottanta, un vasto fiume di droga cominciò a fluire dall’Afganistan
e dal Pakistan verso l’Europa, l’America e l’Estremo Oriente.
Alla fine degli anni Novanta il flusso, soprattutto di oppio,
morfina e persino eroina raffinata, per non parlare dei vari
tipi di marijuana, aveva raggiunto proporzioni colossali, indebolendo
e uccidendo milioni di persone, come la cocaina del Sud America.
Il suo impatto si fece sentire nelle città dell’America
e dell’Europa come in quelle delle “tigri” economiche dell’Estremo
Oriente, fino alle ex-repubbliche sovietiche dell’Asia centrale
e alla Russia stessa, devastate dalla povertà. La storia
di questa piaga, per molti versi una diretta conseguenza della
guerra in Afganistan, che arricchì i mercanti di droga
e i loro alleati ma distrusse milioni di vite, è l’argomento
del prossimo capitolo.
John K. Cooley
Note
27. Talking with Terror’s Banker, an Exclusive
Interview with Osama bin Laden, trascrizione da abc News,
28 maggio 1998, passim.
28. Michael Field, A Hundred Million Dollars A Day, Praeger
Publishers, New York, 1976, pp. 186-87.
29. Robert Lacey, The Kingdom, Fontana/Collins, London,
1981, p. 507.
30. US State Department, Issues Factsheet on bin Laden,
e comunicazioni private al Cairo, estate 1994.
31. Apparso su “Rose al Youssef” e ripubblicato in forma ridotta
su “The Egyptian Gazette”, Il Cairo, 10 ottobre 1993, p. 1.
32. Issues Factsheet on bin Laden, cit., pp. 2-3 e comunicazioni
private al Cairo, estate 1994.
33. “New York Times”, 8 aprile 1994, pp. 1 e 3.
34. Issues Factsheet on bin Laden, cit., p. 2.
35. Comunicazioni private, London, luglio 1996.
Elèuthera
via Rovetta 27, 20127 Milano
tel. 02 26143950 fax 02 2846923
e-mail: eleuthera@tin.it
www.eleuthera.it
John K. Cooley
Una guerra empia
la CIA e l'estremismo islamico
400 pp. / 35.000 lire / 18,10 euro
ISBN 88-85060-42-0
L'autore
John Cooley, giornalista e scrittore, lavora attualmente
ad Atene per la ABC News. È stato per oltre 40
anni corrispondente dal Medio Oriente e dall'Africa del
Nord. Ha scritto vari libri, tra cui Libyan Sandstorm:
Qaddafi's Revolution (1981) e Payback: America's
Long War in the Middle East (1991).
L'opera
Per opporsi all'invasione sovietica dell'Afganistan, nel
1979, gli Stati Uniti strinsero una sorprendente alleanza
anti-comunista con gli estremisti islamici. Cooley racconta
i retroscena di questa alleanza e di come la CIA pianificò
la "guerra santa" in Afganistan. Racconta come,
con l'aiuto dell'Arabia Saudita, dei servizi segreti militari
pakistani e persino con il coinvolgimento della Cina,
vennero armati, addestrati e finanziati duecentocinquantamila
mercenari islamici di ogni parte del mondo. Inoltre, con
un'impressionante mole di prove, Cooley traccia le dirompenti
conseguenze di quell'operazione: il trionfo dei Talebani,
la diffusione mondiale del terrorismo islamico, la destabilizzazione
dell'Algeria e della Cecenia, gli attentati al World Trade
Center... E in tutto ciò spicca curiosamente il
ruolo di Usama bin Laden, già "protetto"
della CIA e ora "nemico pubblico numero uno".
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