Gentile
Sig. del Prete
sono rimasto impressionato dalla lettera apparsa sul n°
273 di A e relativa alla vicenda di cinque anarchici morti nel
1970.
Detta vicenda ha richiamato alla mia mente sia l’orribile fine
di Panagulis che la morte del giovane studente diciannovenne
napoletano Enzo De Waure che morì, trasformato in una
torcia umana, in una notte di gennaio del 1971 (o 1972?) a Napoli,
in piazzale Tecchio, nel quartiere di Fuorigrotta, in luogo
frequentatissimo anche di notte, posto fra lo Stadio San Paolo
e la stazione ferroviaria di Napoli Campi Flegrei, proprio di
fronte al Commissariato di Pubblica Sicurezza.
Questa morte definita dalle Autorità “suicidio”
mi era parsa già allora circondata non solo dal
mistero, ma anche da un relativo, incomprensibile silenzio che
allignava perfino nell’organizzazione stessa alla quale apparteneva
la vittima (il PC (ML) d’l - lotta di lunga durata).
Più tardi, all’ultimo anno delle superiori, seppi da
un supplente che era venuto a lavorare nella classe da me frequentata
che De Waure stava indagando sulla Strage di Stato. Al povero
De Waure è mancato perfino il tardivo tributo di una
verità ufficiale scoperta con il solito quarto di secolo
di ritardo.
Mi rivolgo a lei perché vorrei sapere qualcosa in più
sulla vita e sulla morte dei cinque anarchici.
Esistono fascicoli sul loro caso? La rivista “A” in che numero
si è occupata di loro? Sono previste iniziative per commemorarli?
In particolare, vorrei sapere in quale organo di informazione
e in quale data è stata resa pubblica la verità
“ufficiale” sulla loro fine.
La ringrazio. Cordiali saluti
Alfio Nassaro
(Pieve Emanuele - MI)
NdR: Sulla vicenda dei cinque anarchici è
uscito di recente il libro Cinque anarchici del sud. Una
storia negata (di Fabio Cuzzola, 2001, Città del Sole
Edizioni, pagg. 126, 12.000 lire) recensito da Massimo Ortalli
sul numero 274 di A.
Il
tempo geometrico
Il carcere è lo specchio della società,
umori e tensioni viaggiano parallelamente, tutte le espressioni
del macrocosmo sociale si riflettono nel microcosmo o luogo
parallelo, è una questione di simbiosi.
In questo caso il tempo diventa fondamentale, il tempo identico
nelle sue geometrie non ha barriere o muri che dividono, il
ticchettio del metronomo batte il tempo inesorabile e angusto
allo stesso modo del tempo impossibile sottratto alle relazioni
sociali dei cosiddetti soggetti liberi. La società esterna
ha fatto sì che il tempo collettivo si trasformasse in
tempo individuale, che tutto ruoti intorno all’individuo come
soggetto incapace d’avere relazioni, emozioni, sensazioni.
Proviamo a riflettere su questo mondo lontano ma nello stesso
tempo vicino, perché il carcere, essendo un problema
sociale lo si è voluto trasformare in un problema che
non esiste, affrontabile solo come luogo in cui la devianza
viene messa in condizioni di non nuocere, a qualunque prezzo.
Ci siamo lasciati alle spalle un secolo che per pienezza di
avvenimenti non è secondo a nessun altro secolo, e la
paura che ci sorregge oggi è che ci viene difficile percepire
seppur minimamente, cosa ci si prospetta per il domani, tutto
rimane nell’incertezza e il tempo diventa padrone delle nostre
esistenze. Con gli occhi che guardano avanti non vogliamo riesumare
un periodo storico ormai morto e sepolto, ma trarne il positivo,
accettando l’insegnamento subito come base di partenza per proseguire
il viaggio verso il tempo liberato dallo stato di cose presenti.
Le ragioni della galera sono tante, la povertà, le disuguaglianze,
la ricerca di nuove emozioni, la fragilità cui si è
sottoposti, le contraddizioni quotidiane di un sistema sociale
in crisi, il lavoro diventato privilegio, non trovare nella
vita una ragione che la renda degna di essere vissuta, le passioni.
Una cosa è certa, il reato e chi lo commette è
parte inscindibile di una società complessa alla perenne
ricerca di quell’assestamento che potrebbe portarla, o all’autodistruzione
violenta o alla liberazione della società stessa da come
oggi è concepita.
Le trasgressioni sono frutto di fattori ambientali/sociali,
la competizione, la delusione, la solitudine, la rabbia; quindi
si potrebbe anche capire la funzione della restrizione della
libertà all’interno di una galera, ma quello che non
si riesce a comprendere è con quale criterio si determina
il tempo dell’espiazione della pena e se nello stesso, il tempo
debba essere vuoto o pieno? Non solo, ma qual’è il significato
e cosa si vorrebbe intendere tempo vuoto tempo pieno, che il
tempo inframurario del carcere è tempo vuoto e quello
della città/territorio è tempo pieno come ci vorrebbero
fra credere le “nuove leggi” sulla produzione/disciplina che
oggi tanto si decantano per definire se una società è
retrograda oppure no. Ecco, è il tempo il punto cruciale
dove si avvicendano tutti gli eventi della nostra esistenza,
quello che è in gioco non è la segregazione in
sé, ma il tempo della segregazione.
Il secolo scorso il dibattito sulla giustizia s’incentrava sulla
certezza della pena, abolire l’ergastolo (dunque meno tempo)
ma fare vent’anni che siano vent’anni di vera galera, scontati
fino all’ultimo giorno, insomma, definire quanto tempo sia sufficiente
all’espiazione di una pena senza entrare nel merito di come
il tempo viene vissuto; nel secolo nuovo, a fasi alterne, si
ripropone lo stesso quesito. Nulla è cambiato nel dibattito
sulla giustizia, il tempo, sempre quello, sfugge via senza essere
riempito, tempo vuoto che permette l’aggiramento del problema
indirizzandolo su altre tematiche che non facciano perdere tempo.
Naturalmente la modificazione del tempo dell’esistente societario
galeotto sta producendo la creazione del tempo meritocratico,
in poche parole il passaggio dal vorrei utilizzare il
tempo in questo modo al il tuo tempo inizierai ad utilizzarlo
nel modo che diciamo noi questo significa la perdita
della propria soggettività, l’essere sottoposto al controllo
di qualsiasi movimento, l’annullamento della cosiddetta privacy,
ma la cosa più odiosa e terrificante che potrebbe accadere,
e non è detto che già non accada, è di
non essere più in grado di sognare, perché il
sogno in se è al di sopra di ogni tipo di coercizione;
il sogno è la liberazione totale dell’essere umano.
Si diceva del tempo meritocratico, ebbene nulla a che fare con
la presa di coscienza, con l’analisi critica “… in realtà
il carcere si è adattato talmente bene alla dimensione
post-industriale da essersi trasformato in palestra del tempo
vuoto e in negazione dell’attività…” il tempo meritocratico
rientra a tutti gli effetti nella sfera delle disuguaglianze
umane, vorrebbe dire che qualcuno dovrebbe decidere su come
far passare il tempo, dato che il microcosmo carcerario è
il riflesso del macrocosmo societario, le nuove sperimentazioni
antropologico/sociali sul controllo del genere umano trovano
nel luogo carcere lo spazio ideale per poter affermare che il
concetto di potere non è solo governare la società
degli esseri umani ma è cercare di garantirsi l’onnipotenza
attraverso l’acquisizione del potere del tempo. Che dire altro,
riappropriarsi del tempo perduto diventa un’esigenza vitale,
vuol dire avere voglia di affermare la propria esistenza. “…costruire
il tempo pieno della propria liberazione vuol dire allora dare
una direzione al tempo dell’attesa, riempire di significato
e di possibilità l’altrove perché non sia anch’esso
rassegnata metafisica del trascendente. Un compito indubbiamente
collettivo, che ci riguarda tutti…”.
Andrea Perrone
Carcere di Spoleto (PG)
I
nostri fondi neri
|
Sottoscrizioni.
Agostino Perrini (Brescia), 6.000; Aldo Curziotti
(Medesano), 8.000; Aurora e Paolo (Milano) ricordando
Alfonso Failla, 1.000.000; Gigi Melchiorri (Villorba),
50.000; Ermanno Gaiardelli (Novara), 60.000. I. e
G. (Milano), 50.000; Bill e Elena (Svizzera) 28.000
Flavio Paltenghi (Pregassona - Svizzera), 5.000; Saverio
Nicassio (Bologna), 100.000; Alberto Ciampi (San Casciano
Val di Pesa) ricordando Gianni Furlotti, 70.000; Marco
Breschi (Pistoia) ricordando Aurelio Chessa, 250.000;
Alfredo Gagliardi (Ferrara), 300.000; Tomas Viri (Buenos
Aires - Argentina), 412.000.
Totale lire 2.339.000.
Abbonamenti sostenitori.
Gigi Melchiorri (Villorba), 150.000; Enrico Pazienti
(Roma), 230.000. Fabrizio Lorenzini (Riva Del Garda),
200.000; Francesco Zappia (Messina), 150.000.
Totale lire 730.000.
|
|