rivista anarchica
anno 31 n. 277
dicembre 2001 - gennaio 2002


anticlericalismo

Sotto il segno della croce
di Mario Coglitore

Il 13 ottobre 2001 si è svolto a Treviso un convegno, organizzato dalla locale associazione Bertrand Russel, a cui hanno aderito una cinquantina di associazioni per la fondazione della LIAC (Lega Italiana AntiConcordato).

L’ombra lunga del Vaticano incombe sulla nostra vita. Il Concordato fra Stato e Chiesa, con la firma dei Patti Lateranensi del 1929, ha significato più di un semplice impegno di spesa per l’Italia della dittatura fascista e per quella che alla fine del secondo conflitto mondiale si adoperò per lasciare immutati i rapporti con una delle più ricche potenze del mondo. Per quanto, un costo enorme gravi sulle finanze pubbliche attraverso un prelievo fiscale che ci riguarda tutti. L’8 per 1000 devoluto alla Chiesa cattolica equivale a circa 1300 miliardi di lire affidati alle pie mani di alcuni tra i migliori banchieri del mondo; se a questo aggiungiamo i 1500 miliardi stanziati per corrispondere lo stipendio agli insegnanti di religione, la cifra totale assume proporzioni mostruose. C’è da osservare in aggiunta che la spesa statale, chiamiamola così, per il Giubileo ai fini della realizzazione di opere pubbliche e servizi si è aggirata attorno ai 6000 miliardi (leggi seimila).
I rapporti con il Vaticano sono improntati a complessi equilibri di carattere politico-economico e l’ingerenza dei rappresentanti di Cristo in terra con le faccende degli uomini, dei governi e dell’alta finanza, la dicono davvero lunga sull’affanno tutto “temporale” dei pastori d’anime. Dacché gli affari sono affari, e cioè praticamente da sempre, la longa manus della Chiesa non ha mai smesso di intrecciare ignobili commerci con il prosaico sistema del denaro. Nella società moderna non sembra che le cose siano molto cambiate, se soltanto si pensa all’affare IOR-Banco Ambrosiano, vale a dire Roberto Calvi e Paul Marcinkus, tanto per dare un volto ad una colossale ed intricatissima catena di sangue e profitti sulla quale si è molto indagato ma ben poco si è potuto intervenire.
Proprio a partire dalle vicende del più chiacchierato vescovo di Santa Romana Chiesa, Marcinkus appunto, arrivato in Italia dagli Stati Uniti con grandi progetti ed altrettante ambizioni, è possibile svolgere una serie di considerazioni che ci porteranno dritte al convegno organizzato di recente a Treviso, nella prestigiosa Sala dei Carraresi, per la fondazione di una Lega italiana abrogazione concordato (Liac).


Stato e religione

Il tema centrale dell’incontro, naturalmente, verteva sulla immediata richiesta di abrogazione delle norme concordatarie, per la serie di motivi che abbiamo delineato poc’anzi. Tuttavia il problema, complesso e per molti versi forse irrisolvibile, dei rapporti tra universo dei credenti e mondo dei laici non è immediatamente risolvibile nei termini dell’appello contenuto in uno dei volantini distribuiti ai presenti. Lo cito testualmente: “A tutti i cattolici – Vogliamo la massima libertà di culto, ma il Vaticano non deve chiedere denaro e privilegi per mantenere i suoi vescovi-cardinali nel lusso. Se ci sono bravi sacerdoti aiutiamo solo quelli. Senza perdere la sua fede, può unirsi a noi come hanno già fatto molti cattolici progressisti?” Di per sé già il concetto di cattolico progressista lascia perplessi. Almeno dal mio punto di vista. Infatti il nodo centrale della questione sta da tutt’altra parte e cioè in quella che un tempo si sarebbe chiamata composizione di classe. Per non essere immediatamente frainteso, preciserò che il concetto di classe per quello che mi riguarda appartiene alla categoria della sociologia piuttosto che a quella della politica; potremmo dire meglio ceto, se il termine riesce a dar conto di una stratificazione culturale molto ben delineata cui corrisponde anche uno status economico altrettanto definito.
L’appartenenza al ceto della borghesia, perché di questo stiamo parlando in sostanza, variamente diversificata in piccola, media ed alta, segna alcune precise differenze nel modo di intendere almeno un paio di concetti-chiave utili al nostro discorso: Stato e religione. Come è possibile infatti credere che la fede possa rimanere immutata di fronte alla negazione di alcuni passaggi chiave nel rapporto tra borghesia e Chiesa quale è appunto il Concordato? Per quale motivo un cattolico dovrebbe accettare di indicare negli interessi economici del Vaticano una pericolosa negazione di principi dottrinari che tutto sommato aiutano la diffusione della stessa dottrina cristiana?
Non ci possiamo nascondere, certo, che qualche pecora del gregge si sia ribellata al proprio pastore, ma questo l’ha indubitabilmente messa nella condizione di essere al di là dei precetti imposti, quindi ben oltre i confini di quell’ideologia imposta liturgicamente. Il problema dell’Italia, come ha osservato qualcuno, è il Papa, la sua presenza, l’impoverimento delle coscienze di cui è causa una religione che è diventata cultura popolare, sistema di valori condivisi ad ampio spettro di diffusività, per così dire. Volano indispensabile di questa temibile propaganda è stata nel caso italiano, in misura maggiore che altrove, la composta, reazionaria e cinica borghesia di casa nostra.
Ma, badate bene, borghesia significa soprattutto speranza mai abbandonata di acquisire maggiori quote di potere individuali, esaltando la capacità di produzione del singolo dentro ad una economia dello sfruttamento e dell’accaparramento di denaro e privilegi.
Dunque urge per prima cosa discutere del rapporto Stato-Chiesa all’interno di una corretta analisi dell’attuale modello di sviluppo, l’unica in grado di consegnarci coerenza di intervento politico in una realtà che è il dispiegarsi materiale, terribilmente concreto, di tecniche di dominio cui la religione cattolica fornisce un sostrato ideologico di estrema importanza. Una visione del mondo ritagliata dentro angusti spazi della memoria in cui l’individualismo proprietario e un incontrollabile desiderio di sopraffazione si trasformano nell’unica declinazione lecita dei rapporti tra esseri umani.


Un paese pagano?

Di tutto questo si è discusso molto poco a Treviso, forse per certa indulgenza della maggioranza dei presenti nei confronti dell’idealità borghese ampiamente rappresentata in sala. Gli attacchi nei confronti della religione, per altro verso, sono stati durissimi, ma questo non basta a porre le basi di un dialogo destinato, in futuro, a costruire radicale diversità di pensiero rispetto alla tracotante ed intrusiva secolarizzazione cattolica, che va negata nei suoi assunti di base e nelle sue relazioni strette con un modello politico-istituzionale che appartiene allo stesso contesto di potere; una rete capillarmente distesa nella società ad intrappolare pensieri, opinioni e, in particolare, modi di vita.
Così posta la questione del Concordato finisce per essere un falso problema: si tratterà piuttosto di indagare sul versante del scivoloso terreno dello Stato in quanto specifica concrezione di potere apparsa sul finire del Settecento in veste di formidabile macchina per la costrizione dei corpi e delle menti in una geografia di rapporti di forza ancora da delineare nella sua interezza.
Ha osservato Bruno Segre, nel corso del suo intervento, che l’Italia è un paese pagano, né clericale, né anticlericale, opportunista e sostanzialmente disinteressato a tutto. Non è esattamente così: l’Italia è un paese piccolo-borghese, ecco il punto. Magari fosse pagano, perché a questo corrisponderebbe una diversa presa di coscienza di alcune strutture della realtà. L’ossessione borghese, al contrario, avere ogni cosa sotto controllo, non dispiacere ad alcuno, curare il proprio piccolo ed altrettanto spaventoso, orticello, non conosce nemmeno i limiti imposti dal vangelo, posto che abbiano un qualche valore, perché ogni cosa, come nella religione, è assoluta, sciolta da ogni vincolo appunto, capace di travalicare, in questa assenza di limite, le regole stesse imposte dal vivere quotidiano nello stesso momento in cui ne viene sancita la costituzione.
La frana lenta ma inesorabile verso opzioni iper-razionaliste, meglio sarebbe dire scientiste, rappresenta una delle derive senza approdo che spuntano al confine tra intelletto e ragione, come ha ampiamente dimostrato la lunga dissertazione di Roberto Vacca. Per quasi un’ora l’ingegnere professore ha tentato di convincerci che pensiero laico equivale ad esperimento scientifico: solo se è infinitamente ripetibile, quindi infinitamente uguale a stesso, avrà dignità d’esistenza. Tutto il resto è filosofia. Metafisica, per l’esattezza.

Mario Coglitore

No all’art. 7

Nel documento di fondazione della LIAC le associazioni contestano i privilegi di cui fruisce la Chiesa Cattolica attraverso il vigente concordato e si impegnano per l’abolizione dell’articolo 7 della costituzione e delle intese fra Stato e confessioni religiose. La LIAC auspica che vi sia sensibilizzazione sulla minaccia integralista e sulle inammissibili ingerenze del Vaticano negli affari della Repubblica.