rivista anarchica
anno 32 n. 278
febbraio 2002


dibattito G8

Basta di piagnistei
di Tobia Imperato

La posizione espressa dalla rivista e da alcuni nostri collaboratori sui fatti di Genova ha suscitato anche dissensi, tra i quali quello del compagno torinese di cui pubblichiamo integralmente l’intervento.

Cari compagni di A, provo una certa riluttanza ad inviarvi quanto segue, poiché – da qualche anno a questa parte – mi rivolgo a voi sempre in modo polemico. Devo darvi comunque atto che non avete mai soffocato la mia voce, anche quando dissentiva duramente dall’impostazione del vostro periodico. Evidentemente la mia attuale concezione dell’anarchismo è distante dalla vostra, ma poiché ciò nonostante sono sempre un vostro affezionato lettore spero che consideriate il mio scritto come un ulteriore contributo al dibattito su Genova. Dibattito che – in verità – mi è sembrato un po’ a senso unico. Ritengo utile, quindi, gettare un sasso nello stagno e inserire la mia voce dissenziente al coro di unanime di quanti sulle vostre pagine hanno preso le distanze dai cosiddetti Black Bloc.
Ho letto con molta attenzione il numero 275 della vostra rivista (dopo Genova). Mi aspettavo – dopo il comunicato congiunto da voi firmato – che avreste pubblicato delle riflessioni ispirate alle posizioni da voi precedentemente espresse, ma quello che vi ho trovato è stato un insipido minestrone di veementi prese di posizione politica, condito di considerazioni etiche traballanti e di notizie inventate, se non tratte dalla più trita propaganda di regime; opinioni, queste, espresse più o meno da quasi tutti i redattori degli articoli sulle giornate genovesi. Ma procediamo con ordine.
Voi dichiarate che la violenza non fa parte del vostro DNA né del vostro orizzonte, pur riconoscendo che in certe situazioni può essere l’unica “via di fuga”. Pertanto invitate il movimento – quello anarchico e quello più generale anti-G8 – a fare piazza pulita di posizioni e comportamenti “estremistici” e violenti.
Se è legittimo, per voi, non riconoscervi in pratiche che non condividete, io, da anarchico, mi e vi domando: chi dovrebbe fare piazza pulita? Un bel servizio d’ordine di partito? Le tute bianche? O chi altri? E poi, come mai non limitate l’appello ai comportamenti e arrivate addirittura alle posizioni? Cosa significa ciò? Che chi non condivide le vostre idee non-violente non solo non dovrebbe aver diritto ad esercitare le proprie pratiche, ma nemmeno a quello di esprimere le proprie posizioni? Sembra quasi di sentire Berlusconi quando dice che il movimento no-global non è stato capace di isolare i violenti.
Spero che non invochiate addirittura un maggiore controllo della polizia, visto che il vostro collaboratore Alessandro Martometti si lamenta – su una rivista anarchica – che chiunque poteva entrare tranquillamente a Genova con le intenzioni più impensate e fare quello che voleva: a Nervi il portone era aperto e nessun Rappresentante dell’Ordine Pubblico si è sognato poi di sottrarre la mazza ai legittimi possessori. Anche se sulla rivista non ne parlate (immagino che abbiate occupato tutte le pagine con articoli sulla violenza delle tute nere da non rimanervi più spazio da dedicare alla violenza della polizia), dovreste sapere che ci hanno provato alla fine, alla scuola Diaz, a sottrarre la mazza e tutti – forse anche Martometti – sanno com’è finita.
Francesco Codello afferma di non aver nulla in comune con chi fa della violenza alla hooligans, con chi si copre il volto e fa dell’anonimato una scelta politica. È nel suo diritto. Non so quante denunce lui abbia preso, o quante volte sia stato arrestato dopo essere stato filmato nell’atto di lanciare un sasso agli sbirri, ma gli assicuro che in questi casi (io non mi stanco mai di raccomandarlo nei momenti caldi) è preferibile coprirsi bene il volto. Sono sicuro che Codello non lancia sassi, ma allora perché dare una valenza oscura e minacciosa ad un semplice gesto di autodifesa? E perché poi scomodare Malatesta per sostenere tesi che lo avranno fatto rivoltare nella tomba? Del resto il buon Errico, già nel lontano 1896, aveva preso le distanze da chi gli attribuiva simili aberrazioni:
“Poiché alcuni, impressionati dalla mia avversione alla violenza inutile e dannosa, han voluto attribuirmi, non so se per lodarmi o per denigrarmi, delle tendenze verso il tolstoismo, io approfitto dell’occasione per dichiarare che, secondo me, questa dottrina, per quanto appaia sublimamente altruista, è in realtà la negazione dell’istinto e dei doveri sociali. […] Vi possono essere dei casi in cui la resistenza passiva è un’arma efficace, ed allora sarebbe certamente la migliore delle armi, poiché sarebbe la più economica di sofferenze umane. Ma, il più delle volte, professare la resistenza passiva significa rassicurare gli oppressori contro la causa della ribellione, e quindi tradire la causa degli oppressi”.
Queste parole le ha scritte proprio lui, il povero Malatesta (spesso citato a sproposito, tanto da epurarne il carattere rivoluzionario che sempre ha permeato tutti i suoi scritti). Egli ha sempre considerato la violenza come un male necessario per opporsi ad un male più grande, e anche in questo scritto afferma di essere contrario solo alla violenza inutile e dannosa; quindi Codello avrebbe buon gioco di obbiettare che quella dei cosiddetti Black Bloc tale è stata, ma è sempre lo stesso Malatesta, questa volta nel 1922 (a dimostrazione che, dopo quasi trent’anni, non aveva cambiato parere), a definire il suo concetto del diritto degli oppressi a ricorrere alla violenza.
“Lo schiavo è sempre in istato di legittima difesa e quindi la sua violenza contro il padrone, contro l’oppressore è sempre moralmente giustificabile”.
“Per noi l’oppresso […] ha sempre il pieno diritto di ribellarsi senza aspettare che lo si prenda a fucilate; e sappiamo che spesso l’attacco è il più valido mezzo di difesa”.


La rivolta di strada

Ma, ritornando a Genova, mi spiegate dov’è stata tutta questa violenza da dover prendere le distanze? Dove sono i poliziotti morti e feriti? Non so se ve ne siete accorti, ma l’unico sangue che si è visto è stato quello dei dimostranti. O – per voi – sono violenza una vetrina rotta, un cassonetto rovesciato, un’automobile data alle fiamme?
È veramente ridicolo constatare come l’idiosincrasia della rivolta agiti i sonni di alcuni anarchici. Cosa sarebbe stato il ’68 senza le molotov e le barricate? Solo dei bei manifesti serigrafati da mettere in mostra, trent’anni dopo, nelle gallerie borghesi.
Ricordo che a Torino qualche anno fa si è tenuto un incontro dei G7: ci fu una manifestazione modesta a cui molti di quelli che ora blaterano su Genova non si sono presi la briga di partecipare. Eppure anche allora la globalizzazione era in atto. Ci sarebbe stata la manifestazione di Genova senza Seattle? E cosa ha caratterizzato Seattle se non la rivolta di strada?
Codello però si spinge oltre, accumunando chi lancia i sassi a chi manda buste e bombe che colpiscono nel mucchio, feriscono (solo casualmente non uccidono) persone che nulla hanno a che fare col Potere.
Ora, l’unica busta esplosiva di cui ho sentito parlare (forse Codello ha delle informazioni particolari e riservate) è stata inviata ad una stazione dei CC e ha ferito un carabiniere; non è stata rivendicata e quindi non può essere ascrivibile a nessuno, anche se qualche magistrato ha ipotizzato una matrice anarco-insurrezionalista. Possiamo discutere sull’opportunità o meno di inviare – prima della manifestazione – simili messaggi, ma affermare che i carabinieri (che poi hanno assassinato, con un’esecuzione sommaria, Carlo Giuliani) siano persone che nulla hanno a che fare col Potere, mi sembra proprio uno sproloquio.
Ma veniamo al Black Bloc. Sebbene, innegabilmente, esistano a livello internazionale dei gruppi che si riconoscono in questa sigla, mi aspettavo che gli anarchici avessero l’intelligenza politica di comprendere con chiarezza il ruolo, senz’altro attivo ma per molti versi marginale, svolto da questi gruppi nella situazione di Genova. Come si può essere così sprovveduti (altrimenti sarebbe malafede) da non comprendere che il paventato Black Bloc non è stato altro che un’invenzione mediatica? Invenzione che ha fatto comodo a tutti i politicanti: al Potere per giustificare la sua violenza indiscriminata e al Social Forum per negare la rivolta di strada, riconducendola sul terreno della provocazione.
Da sempre i comunisti, quando non riuscivano a controllarla, hanno denigrato l’insorgenza popolare come frutto dell’opera di provocatori e infiltrati, ma che oggi ci si mettano pure gli anarchici è veramente una cosa sconvolgente.
“E piazza De Ferrari in un attimo fu presa / Fascisti e celerini chiedevano la resa / Poi poi poi ci chiamavano teddy boys…” cantavano i magnifici ragazzi genovesi, quelli dalle magliette a strisce, che nel lontano 1960 avevano messo a soqquadro la loro città, per impedire il congresso del rinato partito fascista.
“La piazza spazza via l’immondizia fascista” titolava a piena pagina Umanità Nova e, sempre sullo stesso numero del giornale, scriveva Umberto Marzocchi: I giovani, principalmente, reagivano energicamente, tenendo testa con decisione e coraggio, ai colpi, agli idranti, ai caroselli lungo la via XX settembre e piazza De Ferrari […]. L’anima leggendaria del Balilla genovese sembrava rivivere nel coraggio gagliardo dei giovani che, attaccati, tenevano in scacco le forze di polizia […]. Ancora una volta i giovani sono stati all’avanguardia del movimento. Dall’inizio alla fine hanno saputo respingere il tentativo poliziesco di soffocare la grande voce del popolo genovese […]. Genova ha vinto! […] La lezione di Genova dimostra che noi avevamo ragione quando dicevamo che ai palleggiamenti parlamentari bisognava opporre la piazza, la rivolta popolare […]. I giovani sono giunti all’appuntamento della piazza con decisione, con slancio, con audacia. Non hanno deluso le nostre speranze. A Genova hanno parlato i fatti. Gli anarchici sono stati presenti in piazza, col popolo insorto, con i giovani in azione. Queste sono le parole che mi aspettavo di leggere su un giornale anarchico. E, infatti, le ho trovate. Ma cosa troveranno, fra quarant’anni, coloro che sfoglieranno il numero 275 di A (dopo Genova)?
Alla violenza del sistema non si può rispondere adottando gli stessi criteri, ed il menare le mani, per quanto può essere liberatorio non può far parte di un modello auspicabile (Paolella).
È indispensabile dunque fare chiarezza, non lasciare spazio a zone d’ombra, a complicità, ad ammiccamenti con chi pensa (ammesso che pensi) di poter cambiare il mondo con la convinzione che basti accendere il fuoco del ribellismo, della violenza, per far sì che vi sia una presa di coscienza collettiva in senso libertario (Codello).


La volontà di ribellarsi

A Genova, nel luglio scorso, c’erano numerosi compagni (non solo del Black Bloc) che hanno attaccato non persone ma simboli del Potere (banche, supermercati, finanziarie, assicurazioni, ecc...) e numerosissimi manifestanti che hanno reagito alle brutali cariche poliziesche nell’unico modo che andava fatto – malatestianamente – opponendo la violenza alla violenza.
Lasciamo agli Agnoletti e Casarini, furenti per non essere stati in grado di controllare un movimento che non gli appartiene, le farneticazioni idiote su provocatori, nazisti e poliziotti infiltrati. Pensate veramente che, quand’anche fosse vero (le prove presentate in merito dal Social Forum sono ridicole), tali personaggi sarebbero riusciti a creare la situazione che si è determinata in quei giorni? È stata solo la rabbia, la volontà di ribellarsi, di reagire alle cariche, di non farsi schiacciare di quanti hanno generosamente partecipato agli scontri. La stessa morte di Giuliani sta a dimostrarlo. Non era un Black Bloc “cattivo”, ma un comune ragazzo genovese, che viveva la sua vita e tifava per la sua squadra di calcio (anche se ciò può lasciare perplesso il vostro collaboratore Adriano Paolella), ma che aveva detto basta all’arroganza del Potere. Non capire questo significa non comprendere le dinamiche sociali della rivolta (magistralmente espresse da Bakunin), di quel momento magico in cui anche quelli che sino al giorno prima non si interessavano alle idee rivoluzionarie prendono improvvisamente coscienza e si mettono in gioco, sino a lasciarci la pelle. Tutto questo non solo non viene compreso, ma persino denigrato e si parla di nugoli di soggetti di ispirazione vandalica, sul modello degli ultrà dello stadio, gente di assoluta ignoranza politica ma bruciante del desiderio di sfogare la propria frustrazione quotidiana (Stefano Olimpi). Come se la frustrazione quotidiana non fosse il frutto di una società autoritaria, basata sullo sfruttamento e sulla produzione-consumo di merci inutili, e il compito degli anarchici non fosse quello di trasmettere i propri valori a coloro che si ribellano senza averne coscienza! E poi Codello ci viene a dire, riferendosi al blocco nero, che sono fautori di una concezione aristocraticamente e leninisticamente astratta! Senti chi parla!
Mi rendo conto che non tutti gli anarchici possano condividere la pratica di distruzione dei simboli del Potere portata avanti dal Black Bloc, e che a qualcuno venga il mal di stomaco. Questione di sensibilità. Personalmente, l’immagine di una banca devastata, con le A cerchiate tracciate sul muro, mi scalda il cuore e mi convince – anche se sono cosciente che non sarà certo questa azione a mutare l’esistente, ma quale manifestazione pacifica può tanto? – che l’anarchismo ha ancora un futuro e che, nonostante l’ammosciamento generale del movimento anarchico, lo spirito di rivolta continua a serpeggiare fra le giovani generazioni e, diversamente dai decenni passati, si tinge di un nero libertario e liberatorio.
Ovviamente, mi rendo conto che Codello (e quanti la pensano come lui) di questo spirito di rivolta ne farebbero volentieri a meno: Un anarchismo del XXI secolo non può non considerare come indispensabile ripensare e superare quella parte del suo pur straordinario patrimonio storico che hanno avuto ragione e senso in un’epoca storica che non c’è più , tanto per intenderci quella che termina con la rivoluzione spagnola del 36-39.


Con che diritto?

Che significa tutto ciò? Che ogni azione illegale e violenta avvenuta dopo questa data (come ad esempio il rapimento – negli anni sessanta – del console Elias, celebrato qualche tempo fa sulla vostra rivista) sia da considerarsi un atto sconsiderato ed eticamente non consono agli ideali dell’anarchismo?
Codello è libero di operare tutte le revisioni che vuole ma ci permetta almeno di dissentire e di non essere d’accordo con lui. Trovo che sia veramente paradossale che proprio chi rifiuta la “tradizione” possa permettersi di lanciare anatemi a coloro che ne sono rimasti coerenti: Dobbiamo aver il coraggio di uscire dall’equivoco che ci portiamo appresso di considerare “anarchici” alcuni compagni che sbagliano [questa parole le ho già sentite] perché sono i comportamenti che determinano la discriminante e non le dichiarazioni di appartenenza.
Furore anatemico che pervade anche gli altri collaboratori. Se nel comunicato Niente abbiamo a che spartire si prendono le distanze in maniera pesante (Chiunque può definirsi anarchico: noi guardiamo ai comportamenti e non alle etichette), ma riconoscendo – almeno implicitamente – il diritto ad altri di essere sì diversi ma pur sempre anarchici.
Paolella si spinge ancora oltre. Riferendosi ai Black Bloc, afferma: Non si comportano da anarchici e, data l’importanza che nell’area di pensiero anarchico ha la continuità e l’omogeneità tra mezzo e fine, si può sostenere che non siano anarchici.
Un’affermazione gravissima. Chi è Paolella, da potersi permettere un giudizio di tale portata? Può non essere d’accordo con le loro pratiche, è nel suo diritto. Può rivendicare un’anarchismo con concezioni e percorsi diversi e distanti, è sempre nel suo diritto. Ma, per sostenere che non siano anarchici, lo deve dimostrare.
Chi ha incaricato Paolella a decretare il decalogo del comportamento degli anarchici? Ce lo faccia sapere. Le argomentazioni portate a sostegno delle sue tesi (elencate in ben sette punti) oltre ad essere futili e menzognere (poiché basate su una conoscenza dei fatti presa dai quotidiani e dalle dichiarazioni delle tute bianche) non dimostrano l’assunto.
1) Il fatto che, molto probabilmente, Paolella legga solo i giornali anarchici di suo riferimento non lo autorizza a dire che i casseurs non abbiano un pensiero di riferimento.
2) La quantità degli oggetti devastati dipende dalle scelte di chi lo fa, ma non ne determina assolutamente la liceità sul piano etico. Devastare una banca non è eticamente più corretto che devastarne 10 o 50.
3) I tamburi e le marcette non erano espressione collettiva, ma iniziativa di chi ha scelto di autorappresentarsi in tale maniera folkloristica (tanto che i telegiornali l’hanno riprodotto sino alla noia). Accomunare (che piacciano o meno) quattro tamburini vestiti di nero alle buffonate dei nazisti è del tutto pretestuoso e arbitrario.
4) Come quando dove e da chi Paolella ha saputo che erano militarizzati, avevano dei capi, erano obbedienti agli ordini impartiti? Era in mezzo a loro o l’ha letto nei rapporti della questura?
5) Sul viso coperto ho già risposto a Codello e sul fatto che si sono cambiati per rientrare al corteo mischiandosi con i manifestanti valgono le domande di cui al punto precedente.
6) L’aver lavorato a cottimo è una tale cazzata da non meritare risposta.
7) Il fatto di essersi comportati da provocatori, tirandosi dietro più volte la polizia sul corteo, è una falsità che non trova alcun riscontro in quanto è accaduto a Genova. L’unica volta in cui i neri si sono tirati dietro la polizia è stato, il venerdì, nella piazza dove vi era il concentramento dei pacifisti, che sono stati poi caricati. Diverse testimonianze hanno confermato che ciò è stato il frutto di una casualità: tale piazzetta era in alto sopra Brignole, i Black Bloc, inseguiti dalla sbirraglia dopo aver bruciato il portone del carcere di Marassi (che indecenza! degli anarchici che dan fuoco alle carceri! È risaputo che solo in Spagna nel ’36 aveva senso fare simili azioni), vi sono arrivati – non conoscendo la città – inintenzionalmente e senza alcuna disegno preordinato di coinvolgere i non-violenti nelle loro storie. La responsabilità di quanto è successo è tutta della polizia.


Almeno l’onestà intellettuale

Sfido Codello e Paolella, o chi per loro, a dimostrare, con fatti veri e documentati, la disomogeneità tra mezzi e fini espressa da tutti coloro (non voglio definirli Black Bloc che, come ho già detto, nel caso di Genova, sono solo un’invenzione mediatica) che hanno operato scelte di attacco e di scontro a Genova, compagni a cui non intendo fare ammiccamenti ma dichiarare la mia piena, totale e solidale complicità. Oggi come ieri, A Genova hanno parlato i fatti. Gli anarchici (non tutti, purtroppo) sono stati presenti in piazza, col popolo insorto, con i giovani in azione.
Siete liberi di pensare che la pratica di distruzione violenta dei simboli del Potere ci allontani dalla gente, pertanto sia dannosa e vada respinta, ma questa è unicamente una vostra scelta politica. Se vi assumete la responsabilità di scomodare l’etica (oltre che Malatesta), dovreste almeno avere l’onestà intellettuale di analizzare i fatti avulsi da ogni contesto e da ogni considerazione di opportunità politica. Eticamente non è anarchico solamente chi riconosce allo Stato il diritto ad esistere. Il resto sono solo menate. Non confondiamo l’etica con la politica.

Tobia Imperato