Le giornate di Genova devono far riflettere
in maniera profonda su quello che dovrà essere il movimento
antiglobalizzazione in Italia.
La prima questione che ci colpisce su Genova è stata la forte
sovradeterminazione degli apparati istituzionali che dalla mobilitazione
di Praga in poi hanno cercato di incanalare le proteste di piazza
su obiettivi a loro congeniali quali la repressione più totale
e la divisione del movimento in buoni e cattivi. Questo esito
è stato ampiamente supportato e fatto proprio dalla stragrande
maggioranza dei mezzi di comunicazione, i quali hanno preparato
il terreno affinchè l’opinione pubblica non avesse alcun dubbio
sul chi giudicare teppista e chi no.
In tale contesto, un anno di strategia della tensione (pacchi
bomba più o meno inesplosi, rivendicazioni più o meno accertate,
veline dei servizi segreti che prefiguravano scenari apocalittici)
non ha fatto altro che acuire e giustificare preventivamente
la violenza e le ferocia messe in atto dagli apparati repressivi
in quei giorni.
Il risultato più tangibile di quest’operazione è stato il progressivo
abbandono della città di Genova da parte di migliaia dei suoi
abitanti: una città vuota, blindata, divisa e spogliata della
sua coscienza civile.
Di fronte a tutto questo, il movimento antiglobalizzazione si
è trovato impreparato operando delle scelte politiche errate.
Il primo grosso errore è consistito nel non aver saputo costruire,
prima dell’“evento”, un efficace radicamento nel territorio:
di qui, infatti, lo svuotamento fisico e ideale di una città
dalle forti tradizioni rivoluzionarie e democratiche.
A questo sbaglio, si è aggiunta inevitabilmente la scelta di
puntare tutto sull’evento massmediatico: “dichiarazioni di guerra”,
grandi proclami, copertine patinate, continua ricerca del riconoscimento
istituzionale tout-court, il tutto condito guarda caso
da ipocrite velleità scontriste. Risultato? Sconfitta
“militare”, repressione brutale, devastazioni a go go, un morto
in piazza Carlo Giuliani.
Per tutto questo bisognava senz’altro trovare un capro espiatorio.
il Black Bloc rispondeva esattamente all’esigenza di identificare
un colpevole. Essendo difficilmente inquadrabili nelle tradizionali
e obsolete categorie del politichese italiano, i militanti del
Black Bloc sono stati ridotti a dei meri teppisti.
La solita querelle
Nella concezione consumistica e semplificante che TV e giornali
hanno della comunicazione, i blacks sono stati agevolmente definiti
come “GLI anarchici”: essendo poi i più “cattivi” tra gli anarchici,
sono stati sbrigativamente liquidati come “insurrezionalisti”.
Questo minestrone terminologico non ha fatto altro che creare
paura e confusione.
Le compagne e i compagni del Black Bloc giunti in Italia pensavano
che anche qui, così come avvenuto nelle precedenti mobilitazioni
internazionali, le loro azioni di attacco ai simboli del capitale
si sarebbero potute amalgamare con le iniziative promosse dal
movimento italiano.
Invece, sia a causa dell’astuta sovradeterminazione messa in
atto dalle forze dell’ordine che dalla colpevole spettacolarizzazione
dello scontro in chiave egemonica di alcuni settori del movimento
antiglobalizzazione italiano, si è arrivati ad una situazione
in cui l’improvvisazione, il fraintendimento e l’ambiguità generali
l’hanno fatta da padroni. D’altro canto, le pratiche di piazza
del Black Bloc hanno dato luogo a un esito comunicativo incompreso
e incomprensibile dalla maggior parte delle persone, delle quali
a nostro avviso non si può non tener conto.
In questo scenario si è riproposta la solita querelle tra violenza
e nonviolenza in cui chiunque sembra chiamato obbligatoriamente
a rispondere con una precisa “scelta di campo”.
Noi ribadiamo ancora una volta che non accettiamo le semplificazioni
utili alla logica della divisione pretestuosa tra buoni e cattivi.
Non siamo nè l’uno nè l’altro poichè la violenza come “monopolio
legittimo della forza” è prerogativa esclusiva delle istituzioni
e di tutti coloro i quali pensano il divenire sociale come un
processo autoritario. Si può anche essere legittimamente in
disaccordo con alcune pratiche di piazza, ma nessuno può e deve
aspettarsi che da parte nostra vengano fuori dichiarazioni calunniose
e di criminalizzazione nei confronti dei compagni del Black
Bloc.
Il movimento anarchico italiano, e qui facciamo più precisamente
riferimento all’esperienza di “Anarchici contro il G8”, si è
venuto a trovare in una situazione di grossa difficoltà. L’evento
Genova per la sua delicata rilevanza internazionale, ha posto
i compagni e le compagne di fronte a difficili e ardue scelte
operative.
In base allo scenario sopra citato, bisogna ammettere serenamente
che molti dei problemi verificatisi a Genova sono stati causati
dalla scarsa conoscenza del movimento anarchico internazionale.
Probabilmente, se fossero state stabilite per tempo relazioni
reali anche solo in chiave operativa, si sarebbero potuti evitare
molti disagi.
È indiscutibile che in diverse parti del mondo gli anarchici
e i libertari sono stati presenti sin dall’inizio nelle lotte
contro la globalizzazione neoliberista. In Italia pensiamo invece
che gli anarchici debbano rafforzare la loro presenza all’interno
del movimento antiglobalizzazione puntando sulla radicalità
dei contenuti e su un quotidiano lavoro di interazione con più
soggetti diversi a livello locale.
Solo tornando a fare Politica nel senso pregnante della parola,
abbandonando inutili steccati ideologici e sterili rivendicazioni
di appartenenza, potremo pensare a un reale cambiamento dello
stato di cose presenti. “Un altro mondo è possibile”, e anche
oltre.
Il Forum Sociale Siciliano
Proprio parlando della dimensione locale, tre anni di lotte
e mobilitazioni contro la guerra, contro i Centri di Permanenza
Temporanea per immigrati, per la libertà di circolazione, a
fianco dei Rom, contro i poteri criminali globali (Vertice ONU
sulla criminalità transnazionale), hanno portato alla creazione
di una rete di relazioni individuali e collettive che ha dato
vita a un coordinamento regionale il Forum Sociale Siciliano
in cui gli anarchici sono stati e continuano a essere
parte fondante e propositiva. Questo nuovo soggetto politico
si propone l’effettivo radicamento nel territorio siciliano
a partire da problematiche reali di notevole importanza: crisi
idrica (privatizzazione dell’acqua), immigrazione/emigrazione,
militarizzazione del territorio, lavoro/nonlavoro, ambiente,
comunicazione, ecc. Il Forum intende promuovere forme orizzontali
di aggregazione per una risoluzione dei problemi tramite l’autogoverno
del territorio. Dal locale al globale, per l’appunto.
Queste riflessioni nate prima e dopo le giornate del G8 a Genova,
vogliono essere un contributo al dibattito che si sta sviluppando
dentro e fuori il movimento anarchico.
Un tentativo di fare chiarezza con noi stessi e non solo, nell’auspicio
che nel breve futuro si possa arrivare ad essere incisivi e
radicali ogni giorno, a prescindere dalle contingenze.
Nucleo “Giustizia e Libertà”
della Federazione Anarchica Siciliana
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