rivista anarchica
anno 32 n. 282
giugno 2002


dibattito Porto Alegre

Una categoria troppo stretta
di Lorenzo Guadagnucci

 

Che senso ha bollare di “riformismo” la grande varietà e ricchezza dei movimenti anti-liberisti? Bisogna invece comprendere che...

Questo è il primo movimento di massa nella storia che non sta chiedendo assolutamente niente per se stesso ma vuole semplicemente giustizia per il mondo intero”: questa frase di Susan George, economista e co-fondatrice di Attac, è un buon punto di partenza per valutare la natura e gli scopi dei movimenti sociali antiliberisti. Sono movimenti nati nella società, cresciuti nei boicottaggi delle multinazionali, coi movimenti contadini di tutto il mondo, assieme ai consumatori che hanno messo a fuoco gli effetti delle ferree leggi del commercio internazionale, con le ong che si confrontano ogni giorno coi guasti prodotti nel Sud del mondo da un sistema economico che divora risorse, persone, democrazia. Sono movimenti che hanno il coraggio di guardare ai processi di globalizzazione in modo laico, senza demonizzarli. Ne criticano molti aspetti, ma sanno coglierne i lati positivi. S’ispirano in fondo a Nelson Mandela, che diceva: “Non si combatte contro le stagioni”. La globalizzazione ha i suoi lati positivi, perché allarga gli spazi, agevola i contatti, espande le comunicazioni. I movimenti ne combattono la natura liberista, accettando la dimensione globale come scenario d’azione.
Il frutto di un evento come il Forum mondiale di Porto Alegre non va cercato nel documento finale che ha prodotto. Quel testo è l’esito di una contrattazione cominciata con l’apertura stessa del Forum, condotta dai responsabili dell’organizzazione e alcuni leader delle maggiori delegazioni. È stato un dibattito rimasto ai margini del Forum ed è servito fondamentalmente ad un’unica cosa, fissare le due discriminanti poste dai movimenti sociali: il no alle guerre e il rifiuto del neoliberismo. Il Forum sociale non somiglia a un congresso di partito, non si combatte sulle mozioni, anche se non sono mancati, a Porto Alegre, i ‘professionisti del documento’, pronti a discutere ore ed ore per cambiare una parola nel testo finale.
L’esito di Porto Alegre va cercato altrove: nelle reti globali costruite da gruppi e sindacati, nello slancio acquisito da Via Campesina attraverso il confronto fra movimenti contadini di parti diverse del globo, nella crescita di Attac, nei legami stabiliti da sindacati e movimenti del Nord col Social Forum africano, nell’estensione del sostegno al progetto di un Contratto mondiale per l’accesso all’acqua, nel contatto avvenuto fra le centrali europee del commercio equo e le reti sudamericane di economia informale… È il lavoro fatto negli ottocento e più workshop.
Quanto il Forum di Porto Alegre sia stato importante, lo vedremo nei mesi prossimi, col Forum europeo previsto per novembre, e prima ancora con le iniziative sulla sovranità alimentare che saranno organizzate a giugno in concomitanza col vertice della Fao. Lo vedremo, soprattutto, valutando quanto sindacati, Social Forum e reti associative sapranno mettere in campo, in termini di lotta quotidiana al neoliberismo, attraverso i boicottaggi contro chi produce sfruttando natura e lavoro, attraverso la sperimentazione di nuove forme di mobilitazione e di democrazia e la costruzione di modelli economici alternativi. Non si può ignorare, per fare degli esempi, che il commercio equo e solidale è in vertiginosa crescita (+50% in Italia nell’ultimo anno), che una campagna come quella contro la Del Monte in Kenia ha centrato tutti i suoi obiettivi, che l’idea d’introdurre una Tobin Tax sui movimenti speculativi di capitale sta guadagnando consenso, che i Social forum nati in piccoli e grandi centri sono la novità associativa e politica più interessante degli ultimi anni. Tutto questo è riformismo? O forse la categoria del riformismo non è adatta per valutare i movimenti sociali antiliberisti?
Sono movimenti, questi, che non chiedono nulla per sé, come dice Susan George, ma che hanno un progetto di trasformazione radicale. Vogliono un’economia di giustizia al posto del neoliberismo, vogliono anteporre l’uomo al mercato, chiedono democrazia su scala planetaria, perché a questo livello, nel mondo globalizzato, nascono l’ingiustizia e la sopraffazione. Pongono anche la domanda che la classe politica dei paesi ricchi non vuole ascoltare: questo modello economico è sostenibile? Non stiamo andando verso un global crac? Sono progetti e domande che vanno al cuore dei problemi del nostro tempo, perciò trovano tanto ascolto e mobilitano tante energie. Sono idee che hanno bisogno di fare almeno un piccolo passo ogni giorno, nella mobilitazione sociale, nell’informazione, nella cultura.
I movimenti potranno crescere se sapranno essere concreti, offrendo occasioni d’informazione e d’azione su scala locale, coinvolgendo singoli ed associazioni, sindacati e gruppi politici. Porto Alegre, in fondo, è una grande palestra di sperimentazione, un serbatoio d’energie e d’intelligenza da riversare nelle campagne e nei progetti da attuare localmente. Le reti costruite nel Sud del Brasile sono l’ossatura sociale della mobilitazione globale.
Si tratta di un’onda passeggera? La capacità di coinvolgimento, la qualità del dibattito, la coerenza degli obiettivi farebbero pensare di no. Al Forum sociale mondiale si è manifestata la società civile organizzata, si è cominciato ad elaborare una convincente cultura antiliberista. Una cultura che non ha ancora acquisito, in paesi come l’Italia, un pieno diritto di cittadinanza nel mondo scientifico, nei media e nel dibattito politico. Una fetta importante del ‘dopo Porto Alegre’ si gioca a questo livello, sul piano della cultura e dell’informazione. Il Forum ha legittimato e fatto crescere un ‘altro pensiero’, alternativo a quei princìpi del neoliberismo che hanno invaso i media, le università, i palazzi e i circoli della politica.
Il ‘sistema’, ossia i poteri dominanti nel mondo ricco, stanno alzando un fuoco di sbarramento. Non sanno dialogare con movimenti così compositi, creativi, sfuggenti e al tempo stesso radicali. Così si è coniato l’epiteto ‘no global’, lo si è associato arbitrariamente a comportamenti violenti, si è scelta la repressione di fronte alle maggiori manifestazioni di piazza (da Seattle a Praga, da Goteborg a Genova). Si tenta di negare che possa esistere qualcosa al di fuori del punto di vista neoliberista.
Porto Alegre è così importante perché mette in rete strategie di resistenza, saperi, competenze. Perché produce cultura.

Lorenzo Guadagnucci