rivista anarchica
anno 32 n. 282
giugno 2002


dibattito Porto Alegre

La questione del potere
di Antonio Cardella

 

Dopo gli interventi di Maria Matteo (marzo) e Lorenzo Guadagnucci (aprile), ecco un nuovo intervento sul Forum Sociale di Porto Alegre. E sulle prospettive dei movimenti.

Ho molto apprezzato l’articolo di Lorenzo Guadagnucci “L’altro lato di Porto Alegre” apparso su “A” n. 3 dell’aprile 2002. L’ho apprezzato soprattutto per lo spirito del quale era pervaso: uno spirito di profonda condivisione di quanto il Movimento ha espresso in termini di apertura progettuale per la costruzione di un mondo nuovo, di opposizione alla guerra e di ripulsa del sistema neoliberista, del quale si sarebbe sottolineata l’incapacità di affrontare i problemi della miseria, del degrado ambientale e via dicendo. A me pare, però, che l’articolo fosse percorso anche da un sottile, ma evidente, senso di disagio, come se, alla fine, i conti dell’appuntamento di Porto Alegre tornassero solo parzialmente. In sostanza Guadagnucci descrive una moltitudine composita e allegra, che proclama messaggi diversi ma convergenti su alcuni punti nodali che sono sostanzialmente quelli tradizionali dei raduni antiglobal. Però ad un tratto sospende il discorso e si chiede cosa ci stessero a fare tanti parlamentari, anche se prima aveva commentato positivamente l’intervento del ministro francese del commercio estero François Houwert, (in Brasile lo scorso anno, mentre i suoi omologhi erano riuniti a Davos), il quale aveva detto che “Dopo Seattle non è più possibile ignorare l’opinione pubblica, ecc. ecc”. Cosa ci stavano a fare tanti parlamentari e delegati presidenziali? È del tutto evidente che erano andati a Porto Alegre perché le istituzioni statali riuscissero ad agganciare il movimento, indirizzandolo verso una contestazione riformista del tutto compatibile con l’esistente. E l’allargamento del consenso è funzionale a questo scopo, anzi è indispensabile per consolidare le basi delle così dette democrazie realizzate. Dice poi Guadagnucci che il Movimento non ha espresso un documento finale. Forse, dal punto di vista formale, quello che afferma Guadagnucci è vero. Ma è altrettanto vero che è circolata in tutto il mondo una mozione finale che tutto sommato ricalca il progetto riformista, direi vetero- riformista. Il documento porta l’intestazione: “Porto Alegre II – Appelle des mouvements sociaux – Resistance au néolibéralisme, a la guerre et au militarisme: pour la paix e la justice sociale”. Segue un “cahier des doléances” lungo sedici punti (tutto giusto, per carità), al termine del quale si formulano i seguenti propositi di lotta (che traduco dal francese):
“Noi lottiamo:
– per il diritto dei popoli a conoscere e criticare le decisioni dei loro governanti, particolarmente per ciò che concerne la politica in seno alle istituzioni internazionali. I governanti sono responsabili davanti ai loro popoli. È per questo che noi lottiamo per l’affermazione di una democrazia elettorale e partecipativa nel mondo. Noi insistiamo sulla necessità di democratizzare gli Stati e le società, di lottare contro le dittature;
– per la cancellazione dei debiti esteri e delle riparazioni;
– per contrastare le attività speculative: noi auspichiamo la creazione di tasse specifiche, quali la Tobin tax e l’abolizione dei paradisi fiscali;
– per il diritto all’informazione;
– per i diritti delle donne, contro la povertà e lo sfruttamento;
– per la pace noi affermiamo il diritto dei popoli alla mediazione internazionale con la partecipazione di protagonisti della società civile indipendenti. Contro la guerra e il militarismo, contro le basi e gli interventi stranieri, e il sistematico ricorso alla violenza, noi privilegiamo il dialogo, il negoziato e la soluzione non violenta dei conflitti;
– per il diritto dei giovani all’istruzione pubblica gratuita....e per l’abolizione della leva obbligatoria;
– per l’autodeterminazione dei popoli e particolarmente dei popoli indigeni”.
Ho riportato integralmente il testo per evitare equivoci o malevoli sospetti.

I veri nodi della questione

Come è facile notare, quando non si tratta di richiami agli stati perché facciano meglio il loro mestiere, un richiamo che, in Italia, sarebbe sottoscritto dall’intero arco costituzionale, da Bertinotti a Fini, per il resto si evidenziano gli effetti perversi e non le cause che li producono.
Le guerre, l’ingerenza sistematica dei potenti nelle questioni interne dei popoli, la violenza sistematica, sono le conseguenze di un assetto mondiale che vede gli stati più potenti dell’ Occidente prevaricare la libertà e l’autonomia dei popoli, e poco importa se questi stati hanno quella che impropriamente chiamiamo legittimità democratica. Bush, Sharon sono stati democraticamente eletti, esattamente come Benito Mussolini e Adolf Hitler; lo stesso Berlusconi, in Italia, è emerso dalla maleodorante nebulosa dei suoi intrallazzi sotterranei in virtù di un consenso elettorale tutt’altro che irrilevante, ma ciò non ha evitato che tutti, chi più chi meno, avessero creato, e alcuni creano ancora, guai a non finire all’intera umanità. Nel documento di Porto Alegre, quindi, non si affrontano (sembra quasi che non si sospettino neppure) i veri nodi della questione.
Non voglio apparirvi un inguaribile nostalgico, ma la spinta rivoluzionaria che si manifestò all’inizio del Sessantotto appare anni luce in avanti rispetto a queste timide rivendicazioni. Anche quella, a suo modo e per quei tempi, fu globale (investì l’Europa ma anche l’America) e, nelle sue istanze più avanzate, si guardava bene dall’appellarsi ai governi, anzi, riteneva che i governi stessi fossero all’origine di tutti i mali che si evidenziavano.
Mentre qualcuno, non si sa chi, scriveva le perle che ho qui riprodotte, il popolo di Porto Alegre, vivace e coloratissimo, sciamava per le strade o si trasformava in un laboratorio per proporre – dice Guadagnucci – il più ambizioso dei progetti: “immaginare un altro mondo, cominciando a costruire un sistema economico e sociale che prescinda dal liberismo.”
Bene, di questo ambizioso progetto non mi pare ci sia traccia nel documento finale che ho riprodotto.
Il rilievo è importante, perché io sono fortemente convinto che una gran parte dei partecipanti ai sei giorni di Porto Alegre si sia mossa per rivendicare il diritto ad un mondo diverso dall’attuale; che sia in atto un grande sforzo per immaginare sistemi associativi che precludano la strada allo sfruttamento, alla guerra e al dominio dell’uomo sull’uomo. Sono convinto altresì che ci fosse, palpabile, la coscienza di quanto sia difficile prospettare immediatamente formule credibili per modelli di sviluppo alternativi al neoliberismo
Tutto questo, più che comprensibile, è lapalissiano. Ma allora, perché invece di porre problemi, di manifestare esplicitamente la necessità di rimeditare a fondo le ipotesi di intervento nei vari paesi, di sollecitare ai Forum locali analisi dei loro contesti e promuovere confronti, si lascia che alcuni sconosciuti deturpino l’immagine di questa forza creativa che è il movimento antiglobal, formulando ipotesi di intervento risibili perché generiche e vetero-riformiste?
Questa genericità è tanto più perniciosa in quanto qualcosa di comune e di concreto si può già fare. Si può rilanciare il boicottaggio delle merci prodotte con lo sfruttamento del lavoro minorile o ignobilmente sottopagato; si possono avviare campagne capillari contro i cibi nocivi o transgenici e in difesa delle produzioni locali. Qualcosa in questo senso è già stata fatta: penso alle campagne contro la Nike e la Nestlè, ma furono interventi episodici, i cui effetti vennero facilmente assorbiti da queste multinazionali.
Bisogna, soprattutto che il Movimento perda quella sorta di volatilità che lo rende evanescente tra un raduno e l’altro. Occorre che si ancori al territorio, e anche in questo senso bisogna rimeditare le forme di intervento. I Forum locali e le forze antagoniste è giusto che si spendano in difesa delle parti più deboli delle popolazioni (l’occupazione delle case, la difesa dei diritti dei lavoratori precari, la salvaguardia degli immigrati, ecc.), ma è anche necessario che accedano, con la forza delle loro idee e senza snaturare la loro identità, nei luoghi dove si forma il consenso, senza cedere a quella visione classista della società che, per troppo tempo, ha selezionato i nostri interlocutori, distinguendoli in base a una presunta maggiore o minore propensione rivoluzionaria.
È certamente bellissimo che a Porto Alegre sia convenuta una moltitudine di persone che ha voltato le spalle alle intransigenze ideologiche e che cerca, senza eccessivi pregiudizi, strade nuove per il governo delle molteplici realtà del pianeta, salvaguardando i diritti di tutti alla sola condizione che non si rivendichino per insidiare la sopravvivenza e la libertà degli altri. Ma deve essere chiaro a tutti che la via da percorrere per raggiungere questi obiettivi attraversa paesaggi inquinati dalle forme realizzate delle vecchie ideologie. E non è possibile saltare l’ostacolo passando una mano di vernice su strutture che sono state gli strumenti operativi delle ideologie contestate.

Onda lunga reazionaria

Quest’ultima parte del mio discorso – che, naturalmente, si può condividere o meno – a me pare assuma rilevanza a seguito degli eventi elettorali che stanno certamente cambiando l’Europa.
Del declino della Francia riformista di Jospin sono piene le pagine di questi giorni, anche perché ormai è palpabile la svolta reazionaria, xenofoba e autoritaria che investe, oltre la Francia, la Germania, dove gli esiti delle elezioni regionali in Sassonia prefigurano lo scenario probabile di un ritorno della CDU alla guida del paese dopo le elezioni generali del settembre prossimo. Se a questi nuovi tasselli di una destra montante si aggiungono quelli già esistenti di Italia, Spagna, Portogallo, Olanda, Danimarca e parti consistenti del Regno Unito, si avrà un quadro abbastanza chiaro di ciò che ci attende a breve termine.
Adesso, è difficile stabilire quanto possa essere lunga quest’onda reazionaria. Ciò che è certo è che non si può essere indifferenti a tale svolta, nel senso che un recupero di un clima politico adeguato al livello dei problemi reali che incombono sull’umanità passa certamente e preliminarmente per la sconfitta delle spinte reazionarie e autoritarie che sembrano attualmente prevalere nel nostro Continente.
Se questo è vero, bisogna allora che, direttamente o indirettamente, si contribuisca a questo recupero. Del resto, tra le molte anime del Movimento, ve ne sono alcune che non hanno ripudiato affatto la lotta politica intesa in senso proprio, di competizione, cioè, per la cattura del consenso elettorale, pur con l’istanza pressante di cambiarne profondamente le regole.
Anche in quest’ottica, quindi, un ritorno al territorio, una maggiore disponibilità ad assumere come non irrilevanti le specificità locali, acquistano senso politico e valenza strategica.
Certe cose io credo bisogna dirle con chiarezza perché costituiscano viatico per un viaggio certamente difficile, ma che deve essere il più possibile privo di ambiguità.

Antonio Cardella