rivista anarchica
anno 32 n. 283
estate 2002


pedagogia

Il libertario intollerante
di Francesco Codello

 

È passato poco più di un anno dalla morte di Marcello Bernardi, il più noto ed il più letto dei pediatri e pedagogisti italiani. Che, tra l’altro, era un anarchico (la nostra prima intervista a lui risale al 1979).

Il libertario intollerante”, Marcello Bernardi, ci lasciava più di un anno fa, ma con lui non se ne sono andati i suoi preziosi insegnamenti che ci ha trasmesso in tanti anni di straordinaria professionalità e dedizione alla causa dei più piccoli.
Medico pediatra e specialista della crescita è stato uno dei pochi a coniugare nel suo lavoro il rigore della scienza con la sensibilità sociale per l’educazione, ben comprendendo che non vi può essere una scienza dello sviluppo infantile avulsa dal contesto sociale e culturale e che pertanto l’educazione assume un ruolo fondamentale in tutto ciò.
E i suoi insegnamenti, le sue “provocazioni”, le sue dissacrazioni dei luoghi comuni, lo hanno sempre tenuto in una posizione controcorrente rispetto ai tanti problemi educativi che ogni essere umano sviluppa fin dalla nascita.
Come non ricordare, ad esempio, la sua pressoché solitaria battaglia a favore di un’educazione sessuale basata sulla libertà da ogni impostazione sessuofobica che ha determinato e determina tuttora la formazione di personalità infelici e frustrate quando invece l’educazione deve preoccuparsi di permettere ad ogni essere umano di perseguire il massimo di felicità possibile.
Il suo pensiero provocatorio ha sempre espresso una giusta intolleranza nei confronti di tante conclamate “certezze” e tante rigide “verità”.
Il suo essere di parte, dalla parte dei bambini, gli ha permesso di capovolgere molti stereotipi che reggono l’impalcatura di una pedagogia autoritaria e al contempo permissiva (due facce di una stessa medaglia) aiutando più di una generazione a riorientarsi rispetto ad una cultura sociale solo apparentemente attenta ai bisogni dell’infanzia, in realtà estremamente condizionante e tutt’altro che liberatrice delle sue vere potenzialità.

Non negare la diversità

Per aiutare i bambini e le bambine ad essere veramente se stessi e a crescere liberamente, Marcello Bernardi ci ha insegnato che occorre uscire dal nostro mondo adulto costruito attorno a valori economici, possesso, potere, competizione.
Ma credo che ciò non sia sufficiente, anche se importante, perché anche se vi è un abbandono di valori tradizionali e propri di una società basata sullo sfruttamento, è indispensabile, a mio avviso, andare oltre nel rapporto adulto-bambino.
Si tratta di negare il proprio ruolo ma non di annullare le diversità.
L’adulto che si sforza di essere ancora un bambino, quello che magari si veste come lui, si scatena più del piccolo alle sue feste, quello che fa l’amicone del proprio figlio, nega sì il suo ruolo, ma pretende di annullare le differenze oggettive che già esistono e inevitabilmente trascende in un rapporto che sfocia nel permissivismo o nell’autoritarismo, una volta che scopre di non poter reggere il ritmo.
Uscire dal proprio ruolo significa ben altro. Credo significhi piuttosto riflettere intorno ai termini autorità-autorevolezza e autoritario-autorevole.
L’autorità è autorevole quando deriva da un riconoscimento sociale, vale a dire quando viene liberamente riconosciuta come risultato di una relazione e di una competenza. La persona autoritaria invece non è autorevole perché intende il rapporto con gli altri come una relazione gerarchica che si definisce attorno al ruolo del capo e che si sostanzia secondo le volontà di uno che sta al vertice del rapporto stesso.
Tutto ciò vale naturalmente anche nella relazione educativa che può essere appunto univoca (dall’alto verso il basso e viceversa dando origine ad autoritarismo e permissivismo) oppure dinamica e mai definitiva, vale a dire che il senso della relazione stessa consiste proprio nel suo essere “incontro” ed evoluzione continua.
Quest’ultima non nega le diversità ma le arricchisce proprio perché le riconosce e facendo ciò le nutre di rispettivi sentimenti, conoscenze, esperienze.
Ciò che è interessante nell’autorevolezza è che viene riconosciuta una diversa conoscenza ed esperienza a soggetti diversi che però sono consapevoli nel profondo del proprio essere (quindi non solo razionalmente ma anche emotivamente) di “apprendere” dagli altri tanto quanto possono apprendere da se stessi.
Naturalmente tutto ciò è di estrema importanza in un contesto di educazione libertaria che non può contemplare alcuna forma di coercizione.

Tracciare il limite

Il rapporto adulto-bambino è una relazione in evoluzione continua che si deve sviluppare con la consapevolezza di essere fatta da soggetti diversi che però tendono progressivamente e coerentemente a ridurre le loro distanze in termini di consapevolezza e di potere (poter fare). L’autorità dell’adulto per essere autorevole deve basarsi sulla convinzione che questa deriva dalla competenza sociale, culturale, tecnica e non da gerarchie predefinite da storie e tradizioni e necessità di quel sentimento empatico e quella capacità psicologica di rivisitare il proprio essere nella condizione della sua infanzia e della sua giovinezza. È lo straordinario e irripetibile insegnamento che ci ha lasciato Tolstoj nei suoi tre romanzi, Infanzia, Adolescenza e Giovinezza quando “ricorda” la sua storia infantile e attraverso di questa descrive sensazioni e sentimenti dello sviluppo di una personalità.
È un andare oltre la propria condizione di adulto, è fare un salto, che riconosca senza timori il se stesso e lo sveli in tutta la sua autenticità all’altro (bambino). Nell’essere se stesso compiutamente, l’adulto, pur manifestando la sua inevitabile diversità, scopre la sua autenticità e la libera da ogni struttura di potere e di dominio, di fatto mettendosi alla pari con il bambino nel processo di liberazione della propria singolarità e individualità.
Questa profonda rivoluzione capovolge anche la gerarchia del sapere perché la trasforma, come ancora giustamente ci suggerisce Tolstoi, in relazione di reciproco bisogno: da un lato il bisogno di apprendere, dall’altro quello di comunicare in una dinamica dialogica di formazione della conoscenza.
L’adulto deve saper tracciare il limite oltre il quale la sua diversità si trasforma in supponenza di superiorità a favore della propria consapevole ed incessante sete di crescita individuale e sociale. Non vi è relazione libertaria ed egualitaria se non vi è sviluppo dinamico degli attori della relazione, se permane la diversità gerarchica, se non compare questo sentimento di profonda ed inesauribile sete di libertà che si realizza solo nella medesima libertà dell’altro.
Queste considerazioni ci portano a capire come tanti discorsi che facciamo in ambito pedagogico e che consideriamo alternativi, perché magari si occupano di grandi trasformazioni, di riforme strutturali e organizzative, di curricoli e quant’altro, non siano in realtà che ininfluenti se non partono dalla modifica sostanziale dei ruoli di potere e dominio all’interno della relazione educativa.
È la qualità del rapporto interpersonale che dobbiamo radicalmente modificare se vogliamo progettare un cambiamento significativo in ambito educativo e sociale. Senza questo passaggio nessuna vera e profonda trasformazione è possibile perché lascia nel discorso pedagogico insoluti i termini attorno ai quali si riproduce la gerarchia sociale.
È un lavoro che va fatto su se stessi e che presuppone una definizione continua del proprio equilibrio psicologico e che soprattutto ci espone nei confronti dei bambini e dell’intera società. Credo opportuno infine ricordare che una volta intrapresa quella strada qui sopra tracciata non si torna indietro e particolarmente ci obbliga ad una coerenza forte e sicura rispetto alla meta che si intende perseguire sapendo anche convivere con i necessari sbandamenti che la quotidianità ci impone.

Francesco Codello