rivista anarchica
anno 32 n. 285
novembre 2002


salute

La salute come merce
di Paul Benkimoun

Il libro di un giornalista di “Le Monde” edito da Elèuthera.

Nel solo anno 2000, più di dieci milioni di persone sono state, nel mondo, vittime di malattie infettive o parassitarie: tre milioni sono morte di Aids – il che non fa purtroppo neppure notizia – ma anche più di un milione di malaria e un milione e mezzo di tubercolosi. Essenzialmente l’ecatombe riguarda il Sud del mondo, perché le medicine disponibili nel Nord sono troppo care per il Sud del pianeta. E perché le medicine contro le malattie tropicali, senza prospettive di profitto, non interessano più la ricerca farmaceutica. Contro questa oscena ingiustizia è stata lanciata da più parti (Medécines sans frontières in prima linea) una battaglia mondiale per l’accesso alle medicine, che si scontra con la lobby dell’industria farmaceutica e spesso anche con la burocrazia delle grandi istituzioni internazionali, come l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

Malattie infettive e parassitarie

Doha. Alla fine del 2000 nessuno immaginava che la conferenza interministeriale della World Trade Organization (Wto), svoltasi dal 9 al 13 novembre 2001 nella capitale dell’emirato del Qatar, avrebbe dedicato gran parte dei dibattiti al problema dell’accesso ai farmaci nei Paesi in via di sviluppo, né tanto meno che avrebbe dato luogo a una risoluzione piuttosto favorevole a questi ultimi con un’interpretazione più elastica degli accordi già in vigore sui brevetti dei laboratori farmaceutici e con il riconoscimento del diritto a disporre dei prodotti terapeutici come parte integrante dei diritti dell’uomo.
Si tratta di un progresso di grande importanza nella lunga e articolata battaglia che mira a far cessare una situazione iniqua. Secondo il rapporto annuale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), nel 2000 più di dieci milioni di persone nel mondo intero sono state vittime di malattie infettive o parassitarie; queste persone vivono per lo più nei Paesi in via di sviluppo. Si calcola che 3 milioni siano morti di Aids, più di 2 milioni di tubercolosi, più di 2 milioni di malattie diarroiche e più di 1 milione di malaria.
Il motivo per cui decine di milioni di persone nel Sud del mondo si trovano in una simile situazione di pericolo risiede nel fatto che non possono usufruire di farmaci, che pure sono disponibili nel Nord del mondo, o sono colpiti da malattie tropicali che non interessano più la ricerca farmaceutica. Benché l’accordo di Doha non regoli gli aspetti più concreti della effettiva disponibilità dei prodotti terapeutici, viene però a confermare un inizio di presa di coscienza della comunità internazionale: la salute non è una merce come le altre.
Tre personaggi hanno svolto un ruolo chiave nella battaglia portata avanti in questi ultimi anni, il cui elemento comune consiste nel risiedere a Ginevra. Per il resto, molti sono i fattori che li contrappongono, dato che difendono interessi spesso antagonisti; a volte giungono a un compromesso, ma soltanto perché non hanno altra scelta. I milioni di morti senza ricetta ogni anno sono l’espressione di un sistema che neppure il liberismo più accanito può giustificare agli occhi dei propri seguaci.
Il primo dei tre è il quarantacinquenne francese Bernard Pécoul, responsabile della Campagna per l’accesso ai farmaci essenziali dell’associazione Médecins sans frontières (Msf). Insieme ad altre Ong internazionali quali oxfam o Act Up, rivendica il diritto dei più poveri di accedere ai principi terapeutici. Il secondo, statunitense, è il cinquantottenne Harvey E. Bale, che dirige la International Federation of Pharmaceuticals Manufacturers Associations (Ifpma). In altre parole Bale difende gli interessi economici di un’attività il cui fatturato a livello mondiale è dell’ordine di 380 miliardi di euro. Il terzo, infine, è il cinquantatreenne colombiano Germán Velásquez, che dirige il Programma di intervento per i farmaci essenziali all’Organizzazione mondiale della sanità. Assumendosi a volte il rischio di un impegno discusso, sostiene i Paesi del Terzo Mondo che contestano la logica commerciale internazionale dei brevetti applicati alla salute.

Il processo di Pretoria

Tutti e tre sono al centro di uno scontro che ha per sfondo la mondializzazione e che è venuto improvvisamente alla luce quando, il 19 aprile 2001, i più grandi laboratori del mondo hanno finito con il rinunciare alle cause intentate nel 1998 contro la Repubblica Sudafricana che intendeva privilegiare l’accessibilità ai farmaci rispetto alle regole del mercato farmaceutico. Il processo di Pretoria, che ha visto la contrapposizione tra laboratori farmaceutici e Stato sudafricano, ha cambiato le carte in tavola. La visione del mondo tipica del mercantilismo dei Paesi ricchi si è scontrata con quella delle popolazioni malate dei
Paesi poveri: i profitti o la vita.
Paradosso o sventatezza, il procedimento giudiziario è stato intentato contro il Paese che, a livello mondiale, annovera il maggior numero di persone colpite da Aids, vale a dire più di quattro milioni e mezzo di individui. I farmaci usati contro la pandemia, di cui il 90 per cento dei casi sono individuati nelle zone meno sviluppate del pianeta, è venduto a prezzi proibitivi per le strutture di assistenza o per i malati dei Paesi del Sud. Per questo alcune Ong si adoperano da tempo per favorire l’uso di farmaci detti “generici”, la cui formula non è sottoposta a brevetto e che sono venduti quasi sempre con la denominazione comune, a un prezzo inferiore a quello della corrispondente specialità originale. Questi farmaci generici sono altrettanto efficaci, ma assai meno costosi. La pressione esercitata da queste organizzazioni ha portato a un forte abbassamento delle tariffe delle terapie nel loro complesso, anche se la strada per renderle accessibili ai più poveri è ancora lunga.
Non c’è soltanto l’Aids. Siamo in presenza anche di altre malattie che, ogni anno, provocano la morte di parecchi milioni di abitanti del Terzo Mondo, quali la malaria, la malattia del sonno o la bilarziosi, in cui si combinano, da una parte, le conseguenze della povertà e della mancanza di infrastrutture sanitarie e, dall’altra, le ripercussioni dell’impossibilità di accedere alle terapie. I farmaci esistenti sono quasi sempre troppo costosi e la ricerca di nuove molecole per curare le malattie tropicali specifiche del Sud non interessa per niente l’industria farmaceutica, in quanto i Paesi del Sud non sono solvibili.
Naturalmente, i laboratori rifiutano di assumersi la responsabilità di una situazione che deplorano e insistono, con qualche ragione, sulle numerose cause che stanno alla base della difficoltà di accedere ai farmaci nei Paesi poveri: politiche pubbliche inefficaci, sistemi sanitari caotici ecc. Insorgono, però, contro la messa in discussione dei diritti di proprietà intellettuale, vale a dire dei brevetti. A loro avviso, questa è l’unica garanzia che permette di proseguire nella loro costosa attività di ricerca e sviluppo, indispensabile all’innovazione terapeutica.
Certo, se li si considera merci come tutte le altre, i farmaci devono necessariamente sottostare alla logica del profitto, e sembra del tutto coerente che, in nome della redditività e degli azionisti, i laboratori non abbiano esitazioni nella scelta tra i profitti e la vita. Comunque sia, fino a quel momento non erano disposti a mettere in discussione le loro prospettive di guadagno a lungo termine, anche se hanno partecipato a qualche operazione umanitaria di produzione di molecole a prezzo di costo, spinte in tal senso da alcune Ong o da altre associazioni, o hanno istituito programmi di assistenza sanitaria.
Il “terremoto mediatico” provocato dal processo di Pretoria, per riportare l’espressione di Jean-Jacques Bertrand, presidente francese del Syndicat national de l’industrie pharmaceutique (Snip), e la nuova tornata di negoziati apertasi dopo il vertice di Doha sono tali da cambiare le regole del gioco? Anche se l’industria farmaceutica, la cui immagine è stata piuttosto intaccata, non è l’unica responsabile di un sistema liberista che privilegia le regole del mercato rispetto a qualsiasi altra cosa, deve però affrontare una temibile sfida in termini di strategia e di comunicazione: come conciliare redditività e riconoscimento del diritto alla salute per tutti? Le istituzioni internazionali, quali la Wto o l’Oms, di fronte alle stragi operate dall’Aids e dalle malattie tropicali nei Paesi del Sud, hanno invece il difficile compito di trovare il giusto equilibrio tra gli interessi privati e quelli degli Stati coinvolti. Infine, tutti coloro che militano a favore del diritto dei malati più poveri di accedere ai farmaci essenziali sono impegnati in una corsa contro la morte: come salvare le decine di milioni di persone su cui grava il pericolo di una morte certa, in mancanza di terapie accessibili o semplicemente disponibili?

Paul Benkimoun

elèuthera

Morti senza ricetta
la salute come merce
160 pp. / € 12,00

L’AUTORE

Laureato in medicina, Paul Benkimoun è un giornalista di “Le Monde”, su cui si è occupato in particolare di accesso ai medicinali e di Aids. Ha pubblicato, tra l’altro, La peur au ventre, Democratie et securité alimentaire (Textuel, 2000).