rivista anarchica
anno 32 n. 286
dicembre 2002 - gennaio 2003


 

Da “Amica” mi guardi...

L’avete vista la pubblicità di Amica? Mostra una ragazza davanti ad un muro sul quale è tracciata in spray rosso una grande A cerchiata, il più noto simbolo anarchico. In alto, composta con alcune lettere ritagliate dai giornali, un messaggio in stile anonimo-minatorio: “Rapita da Amica”. Dimenticavo, la ragazza regge una copia della nuova edizione del giornale. Esattamente come fu costretto a fare Aldo Moro con “Repubblica” nei primi giorni del suo rapimento. L’agenzia che ha realizzato il progetto è l’Armando Testa, già nota per Caballero, Carmencita e Punt e Mes.
Cos’è che non convince in quella pubblicità? Va tutto bene, nel senso che siamo abbastanza scafati per non gridare allo scandalo e al cinismo. Nello stesso tempo, siccome, almeno personalmente, ci riconosciamo nelle ragioni del pensiero libertario, vogliamo ragionarci un po’ su. Dunque, un messaggio del genere, al di là dell’intenzione di suscitare “curiosità” e, appunto, “scandalo”, ha comunque la pretesa di ammiccare ad un mondo di consumatori irregolari, come già un’altra pubblicità di sigari, ormai vecchia di anni, che mostrava il volto del Che.
Bene, se questo vuol dire che sul primo numero del giornale edito dal gruppo RCS troverà spazio, per cominciare, un’inchiesta addirittura definitiva (possibilmente firmata dallo stesso direttore Maria Laura Rodotà) sulle circostanze della morte di Pinelli, se è così, complimenti ai creativi dell’agenzia Testa e ai suoi committenti. Resta però che, sempre personalmente, se fossi nei panni della famiglia di un rapito dalle Br mi incazzerei punto e basta. Anzi, ora che ci penso, perfino a costo di passare per ottuso, anch’io posso dire senza fatica che una pubblicità del genere non riesce proprio a portarmi in edicola.
Perché dici così? Perché, come spiegherebbe l’uomo che studia i segni del linguaggio visivo, quella pubblicità si serve di una figura retorica quale l’antifrasi per introdurre il suo opposto, ossia un naturale repertorio di ovvietà firmate, di loghi, di mutande, di reportage del tipo: è vero che l’uomo non è più uomo e la donna è sempre più donna?, è vero che quest’anno andare in vacanze è da stronzi?, e così via. Obiezione che mi aspetto dai diretti interessati: ma tu l’hai visto il nuovo mensile, chi te l’ha detto che non c’è l’inchiesta sulla morte di Pinelli? Prima di parlare a vanvera, informati! Avete ragione, ho esagerato, ho pensato male, ma è anche colpa del fatto che nulla, almeno fino ad oggi, è più prevedibile dei giornali che servono a convincerci che la moda, e magari perfino il gossip, sono portatori di un’autentica rivoluzione culturale e dunque politica, quasi prossima alla proclamazione del comunismo libertario all’Argentario.
In realtà, se leggo i titoli sulla copertina che la modella-ostaggio mostra, ritrovo i dubbi: “Le semisingle sono fidanzate a metà” e poi: “Moda femminile sensuale”. Dell’inchiesta sulla morte del ferroviere anarchico Pinelli, nemmeno l’ombra. Devo pensare che sia in lavorazione, o piuttosto che ciò che sta per arrivare in edicola è un prodotto destinato ad un target alto di figlie di papà garantite e viziate, fissate con la schiuma spettacolare, turiste complete della vita? No, voglio sperare che sia prevista per il secondo numero.

Fulvio Abbate
Questo intervento è uscito sul quotidiano “l’Unità” del 25 settembre 2002, nella rubrica “Sagome”