rivista anarchica
anno 32 n. 286
dicembre 2002 - gennaio 2003


costume

L’unico vero rito
di Carlo Oliva

 

Quello di estrarre il portafoglio è l’unico vero rito in cui oggi ci è concesso di credere.

Non so se, all’inizio di questo novembre, avete visto anche voi, sui banconi dei fruttivendoli, le zucche di Halloween. Non si trovavano dappertutto, eh: a Milano le si trovava solo presso i più distinti mercanti di ortaggi del centro e i chioschi più raffinati, quelli usi a spacciare soprattutto tartufi e porcini, ma, dove c’erano, era difficile non notarle. E non si trattava, badate, di volgari cucurbitacee, come quelle che altrove si vendono a pezzi per farci il minestrone o il risotto, ma di eleganti kit in cartone serigrafato, che contenevano, come si leggeva sull’etichetta, una zucca di rispettabili dimensioni, un coltellino, un lumino e le necessarie istruzioni per l’uso. Il tutto al prezzo di quindici euro, che non mi è sembrato pochissimo per un articolo che finora, economicamente parlando, sembrava appartenesse piuttosto ai ranghi bassi del regno vegetale. Tanto di cappello, quindi, a quei sagaci imprenditori agricoli che hanno saputo riciclare alla grande un genere finora piuttosto debole sul mercato e possa la loro azienda accrescersi e prosperare.
La novità, certo, non era assoluta. Era da un pezzo (da quando, per ragioni di ordine non strettamente spirituale, ci si sforza di introdurre anche dalle nostre parti l’antica festa celtica dei defunti) che le zucche, più o meno intagliate in foggia di mascherone, infestavano a fine ottobre negozi e vetrine. Ma si trattava, finora, di zucche artificiali, di manufatti industriali in plastica, gomma, cartone, cartapesta e altre sostanze eterogenee. E questo, a occhio e croce, mi è sempre parso abbastanza adeguato alla circostanza, nel senso che l’esporre una zucca artificiale di plastica restava, tutto sommato, il mezzo più idoneo per celebrare una festività artificiale, che nel nostro paese non affondava le radici in alcuna credenza diffusa e in alcuna tradizione riconosciuta, se non in quella della pedissequa imitazione di usi e costumi della potenza dominante.
Ma adesso, sia pure a un livello di consumo piuttosto su, sono arrivate le zucche vere, che cosa sarà successo? Suppongo che buona parte degli acquirenti, dopo due o tre tentativi malriusciti (a quindici euro l’uno) saranno riusciti, seguendo in un modo o nell’altro le istruzioni accluse, a produrre un’accettabile lanterna antropomorfa in cui inserire il lumino. E poi, che cosa ne avranno fatto? L’avranno affidata ai loro bambini perché la portassero, travestiti da spettri e folletti, in processione per le vie della città? Ne dubito: i recenti episodi di cronaca dovrebbero aver sconsigliato il più sventato dei genitori di mandare i propri bimbi in processione nei quartieri suburbani, con o senza l’usbergo di una zucca intagliata. L’avranno esposta allora nell’orto, per attirare gli spiriti benevoli e allontanare i fantasmi maligni, propiziando i futuri raccolti? Impossibile: a Milano, e nelle altre città della nostra bella penisola, qualche orto, magari abusivo, a saperlo cercare, si trova, ma basta il livello dell’inquinamento atmosferico medio per escludere la possibilità di raccogliervi qualsiasi cosa. E allora, ripeto, che cosa ne avranno fatto? Facile: l’avranno esposta, malinconicamente, in un angolo del salotto, dove la sua luce sarà stata sopraffatta e mortificata da quella del televisore. E non si saranno neanche potuti consolare utilizzando la polpa come ingrediente per una sana risottata o un piatto di tortelli fatti come si deve, perché, come avvertiva una scritta sulla scatola, si trattava inesorabilmente di prodotto non commestibile.
Il fatto è che la funzione delle zucche di Halloween, nell’immaginario mitico e rituale dei popoli che si sono tramandati fino a oggi la ricorrenza, è proprio e soltanto quella di venire esposte negli orti e di essere portate in processione da quei cortei di bambini che mimano e simboleggiano il ritorno dei defunti su questa terra nel giorno in cui ci si illude che le barriere tra il loro e il nostro mondo siano, almeno provvisoriamente, rimosse. Il che presuppone, naturalmente, oltre a una qualche forma di fede nel mondo ultraterreno, un’organizzazione sociale per piccole comunità agricole, dove ogni casa ha il suo orto, in cui, a fine ottobre, sarebbe difficile trovare altri vegetali da offrire agli spiriti dei trapassati. Ma, anche a prescindere dalla fede, di piccole comunità agricole se ne trovano sempre meno e non c’è spazio, nelle città in cui ci siamo ammassati, per quei riti.
Ci si limita, così, a comprare le zucche, non importa se dal fruttivendolo o dal cartolaio, e a pagarle a carissimo prezzo, e senza lamentarci, perché quello di estrarre il portafoglio è l’unico vero rito in cui oggi ci è concesso di credere e l’unica tradizione davvero diffusa nella nostra società è quella che ci vede condannati, in ogni possibile circostanza, all’esborso di somme piccole e grandi in cambio di oggetti di cui non abbiamo assolutamente bisogno.

Carlo Oliva