rivista anarchica
anno 33 n. 287
febbraio 2003


 

Ricordando Bartolomeo Vanzetti

… avrei forse speso la mia vita a parlare sugli angoli della strada a uomini che mi avrebbero deriso. Sarei forse morto senza essermi distinto in nulla, ignoto a tutti: un fallito. Ora non siamo dei falliti. Questa è la nostra carriera e il nostro trionfo. Mai vivendo l’intera esistenza, avremmo potuto sperare di fare così tanto per la tolleranza, la giustizia, la mutua comprensione tra gli uomini, come adesso facciamo per un caso del destino. Le nostre parole, le nostre vite, le nostre sofferenze: niente! Il fatto che ci tolgano la vita, la vita di un buon operaio di calzaturificio e di un povero venditore ambulante di pesce … è tutto. Questo momento è nostro, questa agonia è la nostra vittoria!”. Aveva ragione Tumlin Vanzetti e oggi, 75 anni dopo, la memoria delle vicende che lo videro protagonista insieme a Nicola Sacco è ancora viva e continua a ricordarci che la pena di morte esisteva ed esiste, che il razzismo esisteva ed esiste, che la giustizia borghese, oggi come allora, colpisce i più deboli. Ed è proprio di storia e del presente che si è parlato in occasione delle iniziative che si sono svolte nel settembre scorso a Villafalletto, il paese dove Vanzetti nacque l’11 giugno 1888. Giornate intense e ricche di contenuti che hanno visto, forse per la prima volta dopo tanti anni, una partecipazione sincera e finalmente libera da pregiudizi, degli abitanti di questo tranquillo paese della campagna cuneese.
Alcuni frammenti delle storie e dei commenti che si sono uditi nel corso delle serate organizzate dal Collettivo Vanzetti di Saluzzo e dalla Libera Associazione Culturale Villafallettese.
In una sala affollatissima Michele Calandri, direttore dell’Istituto Storico della Resistenza della Provincia di Cuneo ha presentato il film di Montaldo: “Il film è uscito nel 1971, anni strepitosi quelli, in cui i movimenti si succedevano come onde una dopo l’altra, scavalcando i partiti e scuotendo la società. E i riferimenti al presente, le chiavi di lettura, ci apparvero allora subito chiare. Nel 1969 con le lotte studentesche ed operaie, la borghesia capitalistica aveva messo in campo la reazione di sempre, la stessa degli Stati Uniti negli anni venti. La reazione aveva armato la mano dei fascisti ed iniziato la lunga serie delle trame nere, degli attentati indiscriminati, delle bombe. Dopo Piazza Fontana si cercarono subito i capri espiatori tra gli anarchici. I fatti sono noti: Pinelli volò da una finestra della questura di Milano ed il film ricorda il famoso precedente di Andrea Salsedo che aveva fatto la stessa fine negli Stati Uniti poco tempo prima dell’arresto di Sacco e Vanzetti”. Continua Calandri ricostruendo il clima di quegli anni: “L’opera di Montaldo, proprio per i suoi rimandi all’attualità ed il forte impegno civile, ebbe grande successo ed una enorme ripercussione sull’opinione pubblica, soprattutto quella giovanile, anche perché intorno i segnali pesantemente negativi si susseguivano ininterrottamente: nel luglio 1970 la rivolta dei “boia chi molla” a Reggio Calabria direttamente guidata dai missini, nella notte tra il 7 e l’8 dicembre il tentativo di colpo di stato di J. Valerio Borghese; e ancora la morte in carcere, il 7 maggio 1972, di Franco Serantini”.
Anche oggi il film mantiene una bruciante attualità, sostiene il direttore dell’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo: “Guardate agli emigranti italiani negli Stati Uniti e guardate quanto avviene oggi in Italia, terra di immigrazione dopo aver visto partire milioni dei suoi figli. Nel film, ironia del caso, c’è anche una scena in cui si prendono le impronte digitali! Ma avete seguito le vicende delle famiglie immigrate a Treviso e cacciate dalle case, con il sindaco che afferma che lui le case le deve solo a quelli di razza Piave? Che tristezza! Ma il problema più grande sollevato dal film di Montaldo è, a mio avviso, quello delle regole che la democrazia borghese si dà, in particolare quelle sulla giustizia. Ecco, quelle regole valgono solo fino ad un certo punto, valgono solo per qualcuno. Il garantismo, in campo nazionale ed internazionale, vale solo finché fa comodo ai “padroni del vapore”. Quando si mette in discussione il potere le regole diventano un inutile ingombro”. Calandri conclude con una nota di simpatia per noi anarchici che stupisce il folto pubblico presente in sala: “E lasciatemi dire che sono proprio gli anarchici a mettere in discussione le regole e ad affermare il valore delle leggi naturali del rispetto degli altri, del rifuggire le guerre, della costruzione di una società ideale non sopraffattrice. È vero: l’anarchia è un’utopia, ma l’utopia, lo sappiamo dalla storia, anticipa sempre la realtà”.
Dal racconto scritto in dialetto piemontese da un altro villafallettese illustre scomparso nel 1989, Tavio Cosio, farmacista ma soprattutto acuto osservatore e divulgatore della cultura popolare del suo paese d’origine e delle vallate occitane cuneesi.
Am contava pa’ … Mi raccontava papà che mano a mano che il tempo dell’esecuzione si avvicinava e la speranza di salvare i due giovani si spegneva poco alla volta, la gente di Villafalletto e dei dintorni si ritrovava nella piazza grande la mattina di buon’ora e si strappava i giornali di mano, andavano sotto le finestre di casa Vanzetti in silenzio ad attendere notizie, a chiedere cosa diceva Tomlinot (Bartolomeo) nell’ultima lettera. Ma lassù, le persiane restavano chiuse su un dolore sopportato con garbo da una famiglia dignitosa. Una lettera diceva che Tomlinot avrebbe voluto ancora vedere una delle sorelle prima di morire. Mentre Censina (Vincenzina) e Etorot (Ettore), ancora bambini, restavano a casa accanto al povero padre, Vigina (Luigina), la sorella più giovane, è partita sola soletta, ha viaggiato per Parigi con un cartello sulla schiena sul quale era scritto: – Salvate mio fratello che è innocente –, poi si è imbarcata per andare a chiedere la grazia per Tomlinot, ma là a Boston il suo pianto ha trovato soltanto cuori più duri della pietra. Una mattina dei primi di agosto il giornalaio di Villa, Rico dla Bragheisa, passando con un mucchio di giornali sotto il braccio da un uscio all’altro diceva con voce di pianto: “Gente, hanno rifiutato la grazia a Nicola e Tumlinot, tutto è finito …”. Sulle piazze, nelle contrade, sulle soglie delle case la gente rimase attonita alla notizia, qualcuno non ci voleva ancora credere. Ma, dai tempi della guerra, mai tanti fazzoletti erano usciti dalle tasche, diceva mia madre che era andata a messa. Quel giorno papà ha sbattuto il cappello contro un muro come faceva quando qualcosa andava storto, e ha avuto delle parole di dura condanna contro la giustizia americana. Ancora una lettera di Tumlinot che diceva: “Non piangete la mia morte. Io sono innocente, posso tenere alta la fronte, la mia coscienza è pulita”, poi il 24 agosto la notizia sui giornali: “Sacco e Vanzetti sono stati giustiziati ieri notte a Charlestown”.
Dopo due settimane è tornata Vigina con tutto ciò che restava del fratello: un pugno di cenere nascosto dentro un’urna. Tanti ricordi sono restati di Tumlinot a Villafalletto, ma soprattutto resta in tutti la convinzione che Sacco e Vanzetti fossero innocenti”.
Alberto Gedda, autore del libro “Bartolomeo Vanzetti, autobiografia e lettere inedite” uscito per Vallecchi nel 1977 ed in attesa di una doverosa ristampa, ha ricordato la famiglia Vanzetti attraverso le lettere e la conoscenza diretta di Vincenzina, sorella più giovane di Bartolomeo e tenace custode di una imponente documentazione donata all’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo dopo la sua morte. Scriveva Vanzetti il giorno prima della sua esecuzione: “Mia cara sorella, che gioia rivederti e intendere le tue dolci parole d’amore e d’incoraggiamento. Ma io credo che sia stato uno sbaglio terribile quello di averti fatto attraversare l’oceano per vedermi qui. Tu non puoi capire quanto io soffra di vederti assistere alla mia agonia e di vederti costretta a vivere le sofferenze che io devo affrontare. Quando ti sarai riposata e quando avrai ritrovato la forza necessaria, ritorna in Italia, presso i nostri cari, come i nostri buoni e fedeli amici tu porterai il mio messaggio di amore e di riconoscenza. Che importa se nessun raggio di sole, se nessun lembo di cielo penetra mai nelle prigioni costruite dagli uomini per gli uomini? Io so che non ho sofferto invano. Ecco perché porto la mia croce senza rimpianto. Presto i fratelli non si batteranno con i loro fratelli; i bimbi non saranno più privati del sole e allontanati dai campi verdeggianti; non è più lontano il giorno nel quale vi sarà un pane per ogni bocca, un letto per ogni testa, della felicità per ogni cuore. E questo sarà il trionfo della vostra azione e della mia, o miei compagni e amici. Affettuosamente. Bartolomeo”.
Ancora una volta, attraverso parole semplici ma commoventi, l’anarchico di Villafalletto, afferma la sua fede in una umanità nuova e affida a chi verrà dopo di lui, a noi oggi, il compito di continuare la costruzione di una società più giusta.

Allora come oggi...

Alcuni passaggi tratti dagli scritti di Vanzetti pubblicati su L’Adunata dei Refrattari; uno spunto per l’analisi di quanto sta succedendo anche oggi nel mondo sindacale.
Il buon senso ci assicura che i sindacati esistevano nelle spente, ignorate e semi ignorate società del passato remoto. Perché essi sono il prodotto spontaneo ed inevitabile degli antagonismi di classe e d’individui; antagonismi propri di ogni irrazionale società umana la quale non sa, o non vuole, armonizzare il benessere e l’interesse dell’individuo con quello della collettività; ed in cui ciascuno e tutti cercano il proprio benessere non nella solidarietà e nell’uguaglianza, ma nel potere e nello sfruttamento. (…) Si può quindi affermare che il sindacato proletario è sempre esistito sotto diverse forme ed aspetti (…) e questo non significa affatto che il sindacato abbia in sé le virtù di risolvere i problemi che assillano i suoi membri; tutt’altro
L’Adunata dei Refrattari, 24 febbraio 1923

Tutte le unioni operaie degenerano creando un esercito di mestieranti che costituisce una nuova classe parassitaria, un’elite privilegiata di lavoratori che diventa infine nemica della classe operaia e che, attraverso i contratti di lavoro e i regolamenti, favorisce e facilita spesso i calcoli dei capitalisti. Nelle mani di questa classe, di questa elite, l’associazione operaia diventa uno strumento di dominio in più sulle spalle dei lavoratori stessi, che sono considerati esclusivamente merce di lavoro
L’Adunata dei Refrattari, 12 maggio 1923

Lele Odiardo

Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco in copertina dell'ultimo numero della rivista ApARTe° (cfr. Tamtam)

 

Grandi e piccoli editori

Delle mie frequentazioni di eventi editoriali del 2002 due immagini opposte mi hanno indotto a qualche riflessione.
Prima immagine. Ottobre, fiera del libro a Francoforte. L’atmosfera è in generale alquanto depressa, la stampa registra importanti defezioni, soprattutto dagli Stati Uniti, e un calo del numero degli espositori. Impressiona soprattutto l’aria che si respira tra gli stand francesi. Il fatto è che in coincidenza con la fiera è arrivata la notizia che il gruppo Vivendi, in grave sofferenza per una crisi finanziaria che lo attanaglia e che ha portato alle dimissioni del suo capo e fondatore, ha deciso di ritirarsi dal settore editoriale e ha ceduto tutte le case editrici che possedeva al gruppo concorrente, quello di Hachette. Per le sorti del libro in Francia è un terremoto; il nuovo colosso controllerà ben più del cinquanta per cento della produzione libraria nazionale e ne condizionerà pesantemente le sorti. Per dare un’idea, è come Mondadori acquisisse l’intero pacchetto delle case editrici del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera. In giro, nel padiglione 6 della Buchmesse, si vedono facce tese e sguardi vacui: i dirigenti delle case editrici assorbite sanno che si troveranno a dover convivere con sigle editoriali che il giorno prima erano dirette concorrenti, con cataloghi specularmente simili, e che questo vuol dire una sola cosa: teste che cadono, tagli di budget, riduzione di personale, ridimensionamento dei programmi editoriali. E prima ancora che dall’alto piovano direttive in questo senso, si adeguano. Non si parla più di acquisizione di diritti, di nuovi progetti di creatività, ma solo di come limitare i costi, magari ripescando e riciclando vecchi titoli. Negli occhi di molti redattori, autori e illustratori puoi leggere la frustrazione di chi non ha più la possibilità di poter svolgere con passione e professionalità un lavoro così bello come com’è quello di chi fa libri.
Seconda immagine. Roma, fine novembre, Palazzo dei Congressi dell’EUR. Seconda giornata di “Più libri più liberi. Fiera della piccola e media editoria”. Nei giorni che hanno preceduto l’inaugurazione ci sono state polemiche perché molti editori si sono iscritti in ritardo e gli spazi disponibili erano esauriti. Qualcosa si è recuperato collocando gli stand anche nei corridoi laterali. Gli stand sono tutti montati con lo stesso modulo e non esiste quindi una gerarchia, come si vede per esempio al Salone di Torino dove gli editori più ricchi e potenti affittano grandi spazi e creano all’interno delle mega-librerie e costringendo tutti i partecipanti a sforzi finanziari eccessivi per conquistarsi una certa visibilità. Qui a Roma un pubblico numeroso, attento e desideroso di conoscere, può visitare gli stand uno a uno, parlando direttamente con gli editori e con molti autori, può scoprire l’esistenza di numerosi cataloghi pieni di titoli interessanti e che in libreria restano invisibili, sepolti come sono sotto tonnellate di sedicenti best-seller e sotto la pigrizia e l’ignoranza di molti sedicenti librai. L’idea che si ricava smentisce tanti luoghi comuni, prima di tutto quello secondo cui “gli italiani non leggono”. E, nonostante qualche confusione sul piano organizzativo e logistico, risulta evidente come la congiuntura economica difficile abbia spinto tante case editrici “piccole e medie” a fare sempre più ricorso all’ingegnosità e alla ricerca di titoli validi, ad avanzare nuove proposte, a creare nuove collane. Esattamente il contrario di quanto avviene nei grandi gruppi.
Al vostro modesto cronista di vicende editoriali è sorto a questo punto un dubbio. Probabilmente quello che avviene nell’industria libraria non ha molti punti di analogia con certi fenomeni che si riscontrano in tanti altri settori della vita sociale in tutto il mondo. L’economia globalizzata mostra oggi tutti i suoi limiti: crisi finanziaria, recessione economica, stabilimenti che chiudono, l’ambiente che si deteriora, gli spazi di democrazia che si restringono, venti di guerra, prospettive politiche che mancano. Un quadro del genere non può che indurre al pessimismo più nero. Se non che, forse, se ribaltiamo la nostra prospettiva, possiamo vedere come non solo nel piccolo universo secondario di che produce libri, nascano oggi, al di là delle ideologie e della coscienza soggettiva che se ne ha, nuove e vitali prospettive che ci confermano che “un altro mondo è possibile”.

Guido Lagomarsino