rivista anarchica
anno 33 n. 288
marzo 2003


 

Premio Tenco

“L’ultima edizione del Premio Tenco, svoltasi a Sanremo dal 24 al 26 ottobre scorso, aveva come specificità le traduzioni degli autori italiani di testi stranieri importati stavolta non da distributori commerciali ma semplicemente da conoscenze, gusto e passioni musicali. Aggiungiamoci senz’altro che il tema, prettamente letterario, ha assunto una tematica altra a causa degli ultimi preoccupanti scenari guerraioli internazionali. Una sorta di valore aggiunto in grado di creare una “corrispondenza” e un arricchimento delle culture con un contributo sostanziale per la universalizzazione/globalizzazione dei popoli e delle culture.
Il convegno parallelo ha suscitato un buon interesse… e qualche stravaganza: come nel caso di Enrico Medail che ha citato Daniele Silvestri al Tribunale della Poesia accusandolo di vilipendio nei confronti dell’Arte poetica e di oltraggio nei confronti di Arthur Rimbaud e di Leo Ferré, perché la sua traduzione del brano “On n’est pas sérieux quand on a dix-sept ans” contenuto nell’album “Ferré, l’amore e la rivolta” dei Têtes de Bois non è stata ritenuta fedele all’originale. Molto suggestiva è stata inoltre la proiezione dell’opera rock teatrale di Tito Schipa Jr, Orfeo 9. Realizzata circa trent’anni fa, l’opera di stampo ambientalista fu la prima della piccola serie italiana diventata successivamente film a cui parteciparono tra gli altri anche Renato Zero e Loredana Berté come attori. I due dischi di Duilio Del Prete su Jacques Brel (quest’anno inoltre ricorre il ventennale della morte) e di artisti vari su Sergio Endrigo invece li segnaleremo più avanti sulla rubrica “Non (solo) per cantare”.
La (grande) musica se l’è potuta gustare immediatamente il solito folto pubblico presente in sala, non quello più numeroso di casa, quello no, non deve “distrarsi” dalle operazioni tr(i)onfi varie… Alla stessa stregua, il lavoro della troupe televisiva di Rai 2 vedrà la luce in qualche improvvisa notturna televisiva di quest’inverno per le solite “minoranze”, occasionali o di nicchia, comunque non informate.
Vale la pena ricordare che i riconoscimenti della rassegna si suddividono in premi e targhe. I premi, che sono un riconoscimento alla carriera e vanno per lo più ad artisti stranieri cui si riconosce una finalità culturale nell’ambito della propria attività, sono andati quest’anno allo scozzese Donovan, al newyorchese Arto Lindsay, allo spagnolo Enrique Morente e al brasiliano di Salvador de Bahia, Gilberto Gil, fresco Ministro alla Cultura nel primo governo di sinistra della storia della Repubblica del Brasile. Le targhe, divise per categorie, sono invece assegnate ad artisti italiani relativamente agli album pubblicati nell’ultimo anno (il periodo considerato va dal 1° settembre al 31 agosto dell’anno successivo); a votare sono circa 150 giornalisti musicali. Daniele Silvestri è stato il più votato nella categoria del miglior album con il suo “Unò-duè” mentre il sempreverde Enzo Jannacci ha realizzato il miglior brano con “Lettere da lontano” scritta insieme al figlio Paolo. I migliori interpreti sono stati i romani Têtes de Bois con il disco interamente dedicato al poeta e cantante anarchico Leo Ferré, “Ferré, l’amore e la rivolta”, invece la categoria del miglior disco d’esordio se l’è aggiudicata Sergio Cammariere per “Dalla pace del mare lontano”. Infine Davide Van De Sfroos ha realizzato il miglior album in dialetto, “…e semm partii”. Questi artisti, insieme agli altri invitati, Vinicio Capossela, Roberto Vecchioni, Bruno Lauzi, Gino Paoli, Tosca, Moreno Veloso, Radiodervish, Mauro Pagani, Luca Carboni, Andrea Sisti, Bobo Rondelli, Stefano Bollani, Oliviero Malaspina, Luca Faggella, oltre a presentare le proprie canzoni, hanno tradotto e interpretato Atahualpa Yupanqui, Jacques Brel, John Lennon, Bob Marley, Juan Manel Serrat, Don Mc Lean, Tom Waits, Claude François, Charles Trenet, Michelle Lagrande, Leo Ferré, Donovan.

Stefano Starace

Ritorno a Salvia

Giovanni Passanante, nato a Salvia di Lucania, il diciassette novembre 1878, nei pressi del largo Carriera Grande a Napoli, aveva tentato, armato di pugnale, di uccidere il re Umberto I di Savoia. Il colpo sferrato dal giovane, però, non andò a segno e la lama si conficcò nella gamba del primo ministro Cairoli, accorso prontamente in difesa del sovrano. Il povero rivoluzionario fu condannato a morte prima ancora che il processo fosse istruito. Lo stesso re, però, commutò la pena capitale in quella dei lavori forzati a vita: “Una punizione – commentava in una nota l’onorevole Bertani – più atroce della morte che consiste in una lenta agonia. Nessuno può negare la sua colpa e, per quanto grave, non può esistere una punizione più dura di queste. Non è un castigo, è una vendetta peggiore del patibolo”. Sepolto in una cella sotto il livello del mare, nel buio totale e legato ad una catena di diciotto chilogrammi di peso, come una bestia, marcì in galera per il resto della sua breve vita, costretto a cibarsi dei propri escrementi e a stare disteso. Morì nel 1910 nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino, senza rivedere mai più la sua terra d’origine. A Salvia di Lucania fu imposta una ingiusta e vessatoria clausola per riparare al torto perpetrato dal suo cittadino, Giovanni Passanante. Da allora, il paesello lucano in provincia di Potenza ha assunto il nome di Savoia di Lucania. L’eccessiva clemenza per chi torna dopo molti anni sul suolo patrio, trascinandosi dietro non solo polemiche e veleni, ha, giustamente, risvegliato nella cittadinanza del paese lucano il diritto di tornare all’antico nome di Salvia. In effetti, se deve esserci perdono, che ci sia perdono per tutti. In quel gesto, accaduto oltre un secolo fa, Passanante espresse tutta l’avversione di gran parte del popolo per la casa sabauda. Fu così che l’eco del gesto fece il giro della penisola al grido di “viva Passanante”. Lo stesso poeta Giovanni Pascoli scrisse una Ode a Passanante, vedendosi “tributare” come riconoscimento letterario una condanna a quattro mesi di carcere. In fin dei conti, i cittadini chiedono solo la fine di un balzello che non ha più motivo d’essere, per tornare ad essere il paese del baccalà con peperoni secchi, del buon vino e dei cavatelli ad otto dita, piuttosto che l’emblema delle punizioni sabaude. I salviani chiedono, inoltre, che la crudeltà nei confronti di una storia ormai sepolta abbia fine, così come deve terminare la persecuzione dei pochi resti del Passanante, esposti a Roma piuttosto che tumulati nel cimitero natìo. Nel Museo Criminologico, infatti, sono esposti il cranio e il cervello dell’anarchico lucano, la cui testa fu decapitata in pieno ventesimo secolo per metterla in bella mostra, come monito per le future generazioni. Visto che il rientro della casata sabauda è imminente, e visto che sarà inevitabile il loro passeggio per Roma, sarebbe opportuno che i Savoia ed i poveri resti di Passanante evitassero di incontrarsi.

Fabio Amendolara

Sabato 25 gennaio, un lungo serpentone composto da alcune migliaia di persone – prevalentemente anarchici provenienti da tutta Italia – ha attraversato il centro di La Spezia, in occasione di una manifestazione antimilitarista promossa dall’“Assemblea antimilitarista e antiautoritaria” tenutasi a Modena, con l’adesione di decine di gruppi e iniziative libertarie, tra le quali anche la nostra rivista e il circolo “Pasquale Binazzi” della Spezia – attivissimo nell’organizzazione pratica del corteo. Nelle foto (fatteci avere dagli anarchici del “Binazzi’) alcuni aspetti della manifestazione.