rivista anarchica
anno 33 n. 288
marzo 2003


musica e pace

Il cielo sopra Baghdad
di Salvatore De Siena

Il Il gruppo musicale “Il Parto delle Nuvole Pesanti” ha preso parte al concerto per la pace, in Irak, lo scorso novembre 2002. Ecco il resoconto di uno dei suoi appartenenti.

Siamo partiti per Baghdad con ovvia apprensione, visti i venti di guerra che soffiano da occidente, ma siamo tornati ricchi di un’esperienza umana e soprattutto con le immagini negli occhi di un popolo ritrovato, di un popolo che nei media sembra non esistere e che invece ha una grande voglia di vivere.
Insieme a noi sono partiti per questa pericolosa missione di pace tanti artisti (tra gli altri Goran Kuzminac, i Mandara, Luca Fagella, il chitarrista partenopeo Antonio Onorato, i Cuba Kabbal, Enrico Capuano) mentre altri (Daniele Silvestri, Max Gazzé, Noir Désir) hanno dovuto rinunciare per la coincidenza con altri impegni (Mozambico, Corsica).
L’idea di fare un concerto per la pace a Baghdad è venuta a Tusio De Iuliis, presidente dell’associazione “Aiutiamoli a vivere” che da anni è impegnata in Iraq in favore delle vittime civili della guerra e dell’embargo, in collaborazione con l’associazione “Poiesis” e con la casa discografica “Storie di Note” che ha contattato gli artisti e organizzato il concerto di Baghdad dell’8 novembre e quello del 10 a Bakouba.
Siamo partiti il 3 novembre dall’aeroporto di Fiumicino diretti ad Amman. Da lì abbiamo proseguito il viaggio per Baghdad con grandi taxi che fanno la spola da un paese all’altro poiché non è possibile raggiungere direttamente la capitale irakena in aereo. Alla frontiera ci hanno bloccato per molte ore, nonostante la lista di tutte le persone e degli strumenti musicali fosse già stata consegnata alle autorità governative irakene molti giorni prima proprio per evitare questi lunghi controlli. Finalmente all’alba ci hanno fatto passare e così ci siamo inoltrati nella terra dell’antica civiltà mesopotamica dei sumeri e degli assiro-babilonesi e, dopo aver attraversato il deserto e la terra fertile dell’Eufrate, distesa lungo il Tigri, abbiamo raggiunto la capitale delle mille e una notte.
A Baghdad abbiamo camminato per le strade, incontrato il popolo del “Suk” ( il grande mercato popolare posto nella parte vecchia della città), sentito il frastuono infernale del traffico in cui i pedoni ingaggiano vere e proprie battaglie per riuscire ad attraversare le strade cittadine, tra macchine vecchie e contrassegnate dai parabrezza lesionati dal fragore delle bombe scoppiate durante la guerra. Gli autisti usano il clacson per qualsiasi motivo, forse anche per pregare Allah. Abbiamo visitato musei, scuole, manifestato davanti alla sede dell’Onu insieme ai pacifisti irakeni e americani. Siamo entrati nell’ospedale pediatrico dove sono ricoverati bambini senza speranza o con malformazioni causate dall’uranio impoverito utilizzato dagli americani durante la guerra nel golfo. Ma sicuramente le cose che più ci hanno colpito sono le migliaia di bambini che ci seguivano mentre suonavamo per strada improvvisando cortei che spesso diventavano fiumi di gente: i loro sorrisi, la loro voglia di vivere in pace, la mancanza di odio nei confronti del popolo americano.
Baghdad purtroppo vive la guerra tutti i giorni, anche quando non si odono le esplosioni delle bombe, a causa dell’embargo che ormai dura da oltre un decennio e che ha prodotto effetti devastanti specialmente sulla popolazione anziana e sui bambini. Basti pensare all’alto numero di decessi per mancanza di medicinali e al reddito mensile medio degli irakeni: prima della guerra con gli americani era di circa 1.500 dollari, attualmente è sceso intorno ai 100 dollari. Tutto ciò nonostante l’Irak sia il maggior produttore al mondo di petrolio e ne possiede la maggiore riserva per tutto il prossimo secolo.
A Baghdad si respira un’aria da vigilia bellica, anche se noi non abbiamo mai avuto problemi di nessun genere durante tutta la nostra permanenza e nonostante la gente si sforzi di dissimulare la paura di un altro sacrificio che certamente non vuole. Si vive in uno stato di massimo allarme. Infatti le autorità irakene, per motivi di sicurezza, non ci hanno consentito di fare il concerto nello stadio nazionale di Baghdad. Praticamente ci hanno detto che non potevano assicurare la nostra incolumità se avessimo suonato all’aperto in quanto, attraverso i servizi segreti, avevano saputo che gli americani avevano assoldato dei mediorientali per compiere attentati contro gli occidentali presenti in Irak in modo da avere pretesti in più per attaccarli. Ovviamente non sapremo se queste preoccupazioni avevano dei fondamenti ma certamente prova il clima teso che regna in Irak.
Sta di fatto che siamo stati costretti a suonare nella enorme sala convegni dell’hotel Palestina dove eravamo alloggiati. Devo dire però che contrariamente a quanto temevamo, il concerto è rimasto libero dai controlli di regime: nella sala entrava ed usciva gente comune irakena, giornalisti, pacifisti americani e uomini di partito. Il finale del concerto è stato molto bello perché, insieme a tutti gli altri artisti italiani, irakeni, americani, africani presenti nel pubblico (in tutto una cinquantina), abbiamo improvvisato su un nostro brano, “Sule”, una preghiera ognuno nella lingua del proprio paese che ha finito per coinvolgere tutto il pubblico in una sorta di “danza antibellica”.
Noi siamo rientrati in Italia il 10 novembre, mentre alcuni artisti sono rimasti per il concerto di Bakouba, una città di 100.000 abitanti a est di Baghdad. Mi hanno raccontato che questo concerto si è tenuto nello stadio con un pubblico di circa diecimila persone ed è stato preceduto dal lancio dei paramotoristi, anche loro al seguito della spedizione, che sono atterrati nello stadio tra l’entusiasmo dei presenti.
Tutto il viaggio è stato fotografato da Antonio Mannu e Michele Stallo che stanno organizzando due bellissime mostre fotografiche sul popolo irakeno e sulla nostra missione di pace.
Inoltre, il viaggio è stato seguito anche dalla troupe di registi di “Luna Rossa/il cinema nel presente”, la stessa che ha girato il film documentario sul G8 di Genova, e che sta realizzando un nuovo film documentario dal titolo “Il cielo sopra Baghdad”.
Da questa esperienza è nata anche l’associazione “Salaam Baghdad” fondata dai protagonisti del “Cielo sopra Baghdad” e che si propone di proseguire l’impegno per la pace attraverso un lavoro di sensibilizzazione del mondo dell’arte a livello internazionale.
E questo importante impegno sociale inizia a raccogliere anche prestigiosi riconoscimenti.
Tanti programmi televisivi e radiofonici vogliono averci in trasmissione per raccontare l’esperienza irakena mentre la città di Cosenza ci ha consegnato un premio per il coraggio e il particolare impegno in favore della pace dimostrato in occasione del viaggio a Baghdad.
C’è da sperare che le molteplici iniziative in favore della pace riescano a scongiurare la guerra, anche se sarà molto difficile, vista la determinazione dello sceriffo americano.

Salvatore De Siena
(Il Parto delle Nuvole Pesanti)