rivista anarchica
anno 33 n. 294
novembre 2003


anarchici


Massimo Ortalli, ideatore e curatore di questa rubrica, passa per questo numero la mano a Gianni Alioti. Dal prossimo numero riprenderà a curarla di persona.

 

Quando i migranti eravamo noi!

“Migrante è tuo padre e tua madre e altri ed altre prima di loro. Siamo tutti migranti, ma solo alcuni vengono costretti ad essere clandestini: quando verrà il tempo in cui uomini e donne saranno liberi cittadini e la nostra patria il mondo intero?” (Primo Levi)

Se un migrante viene in Italia in cerca di un lavoro, al di fuori dei flussi migratori regolati e controllati dallo Stato, è un “clandestino”. Se, invece, un imprenditore italiano crea un’azienda fittizia nei paesi da cui provengono i migranti, solo allo scopo di reclutare manodopera a basso costo da impiegare in Italia, con contratti e salari dei paesi di provenienza, è tutto “regolare”. In quest’ultimo caso non assistiamo né a manifestazioni di sdegno, né a richieste di «tolleranza zero», che per loro natura hanno come bersaglio i “clandestini”.
In questi anni abbiamo assistito all’abbattimento virtuale delle frontiere degli Stati, per favorire la libera circolazione di merci, capitali, servizi e conoscenze su scala globale. Viceversa si continua ad impedire la libera circolazione delle persone alzando nuovi muri, come quello interminabile che divide le frontiere del Messico da quelle degli USA, paesi pionieri per ironia della storia – insieme al Canada – del primo trattato con cui, senza regola alcuna, si è creata un’area di libero scambio.
Pertanto, sul piano del diritto internazionale e delle teorie del libero mercato, l’unico fattore della produzione al quale è negata la libertà di movimento è il lavoro.
È curioso e paradossale che i «liberisti» in economia e i sostenitori del processo di globalizzazione senza regole siano, e non solo in Italia, tra i più convinti sostenitori della chiusura delle frontiere ai migranti.
Nel nostro paese si arriva alle bassezze degli ex-fascisti, che raccolgono firme per negare i diritti politici di cittadinanza ai migranti ormai integrati stabilmente nella nostra economia e ai deliri leghisti, che vorrebbero accogliere a “cannonate” i migranti che attraversando il canale di Sicilia o quello di Otranto sfuggono dalla miseria e da un futuro che nel loro paese gli è stato rubato.
Miseria! La stessa vera e unica causa dell’emigrazione transoceanica che, tra il 1880 e la prima guerra mondiale, portò circa 9 milioni (ripeto 9.000.000) di italiani nella Mèrica, contando solo le persone emigrate in Argentina, Brasile e Stati Uniti.
La fuga, inclusiva a piedi in pieno inverno, per arrivare al porto d’imbarco di Genova, coinvolgeva interi paesi e poteva assumere aspetti di vera liberazione. Un esodo che, di certo, non fu frenato dalle classi dirigenti italiane (quello che oggi i politici nostrani vorrebbero farsi garantire da quelle “extracomunitarie”), che al contrario vedevano con sollievo un’emigrazione che costituiva, per usare un’espressione almeno non ipocrita del ministro Sonnino, una “valvola di sfogo per la pace sociale”.
Dietro l’emigrazione transoceanica, non c’erano gli scafisti criminali senza scrupoli di oggi, ma c’erano gli interessi degli armatori e delle società di navigazione italiane (1). Ma ciò non evitava che con il viaggio in mare iniziava per i migranti una vera odissea. La traversata oceanica con le navi a vapore durava da 21 a 30 giorni, dipendendo dalla destinazione. Stivati in piroscafi abilitati a trasportare un numero di persone di tre volte inferiore (e spesso destinati al trasporto di carbone), pessimamente alimentati – quando non lo erano con cibi deteriorati –, coricati nei piani inferiori della nave in cuccette accatastate o direttamente nel pavimento, soggetti ad epidemie (in particolare vaiolo), gli emigranti soffrivano durante il viaggio di una mortalità elevata per fame, malattie o asfissia, soprattutto tra i bambini.
È questa la sorte toccata alle famiglie dei nonni paterni e materni di Zélia Gattai, scrittrice brasiliana moglie di Jorge Amado. Le due famiglie (che non si conobbero nell’occasione) partirono da Genova nel febbraio del 1890, sulla stessa nave “Città di Roma” con destinazione porto di Santos in Brasile. Gli uni i Da Col provenivano dal Veneto in fuga dalla miseria alla ricerca di fortuna, gli altri i Gattai provenivano dalla Toscana e partivano, con Giovanni Rossi e altre 150 persone di diverse condizioni sociali e professionali, per fondare una colonia sperimentale socialista libertaria in Brasile, la Colonia Cecilia, nelle terre del Paraná donate dall’imperatore Pedro II.
Nel suo libro di memorie “Città di Roma”, Zélia Gattai ricorda i racconti dei nonni, degli zii e della madre ascoltati da bambina. Ho pensato che alcuni di questi riguardanti il viaggio e le ragioni per cui emigrarono, siano interessanti farli conoscere in italiano (il libro non è stato ancora tradotto), per la loro spontaneità e immediatezza, ricordandoci sempre di una frase che il mio amico don Andrea Gallo ama ripetere: “Chi è senza memoria è senza futuro”.

1. Non esenti da colpe per le moltissime vittime che l’attraversata transoceanica ha mietuto, sia per cause dovute ad epidemie, sia ad altre cause riconducibili in ogni modo alla responsabilità delle compagnie di navigazione. Come i 52 morti per fame delle due navi “Matteo Bruzzo” e “Carlo Raggio” che partirono nel 1888 da Genova alla volta del Brasile, o quei 24 morti per asfissia imbarcati nel piroscafo “Frisca” nel 1889.

Gianni Alioti

 

Zélia Gattai memorialista, scrittrice e fotografa, è nata il 2 luglio 1916 a San Paolo, figlia di Ernesto Gattai, anarchico italiano emigrato in Brasile e morto nel 1950, a soli 54 anni, dopo essere stato sequestrato e torturato dai militari al potere. Zélia ha raccontato la vita degli emigranti italiani in Brasile nel suo primo libro, Anarchici grazie a Dio (1979, tr. it. 1983) e alla figura del padre ha dedicato di recente Città di Roma (2000).
Ha conosciuto Jorge Amado nel 1945, durante una manifestazione (ne parla in un altro libro di memorie, Un cappello da viaggio, tr. it. 1985). Da allora, fino alla morte dello scrittore nel 2001, non si sono più lasciati. Zélia e Jorge hanno preso insieme la strada dell’esilio nel 1948 e sono rimasti per 5 anni lontano dal Brasile. Nel 1960 si sono trasferiti da Sao Paolo a Bahia, con i due figli Paloma e Joao Jorge. Nel 1978 hanno ufficializzato la loro unione. Nel 2001 Zélia Gattai è stata eletta all’Academia Brasileira de Letras nel seggio che era stato di suo marito.

 

Scherzi da preti
di Zélia Gattai

Alla mamma piaceva contare storie, soprattutto quelle della famiglia. Noi bambini stavamo lì, curiosi, e lei non ci lasciava senza. Cominciò dall’inizio.
«La gente viveva una vita tranquilla, là nel Cadore. Il nonno era un segantino, viveva tagliando legname. Lavoro molto pesante, ma lui lo sopportava. Usciva molto presto di casa e tornava solo prima di sera, dopo aver tagliato non so quanti tronchi d’albero, che erano portati in zattere dal Piave. Il legname di Perarolo del Cadore era di ottima qualità, usato in tutta Italia. Gli abitanti del luogo vivevano tagliando alberi e preparare legname per l’esportazione.
La famiglia Da Col andava aumentando. Cominciavano a sorgere difficoltà economiche. Per tanto lavoro il salario del nonno era piccolo. Carolina non aveva ancora compiuto due anni ed era già il quinto figlio dei miei genitori. Zio Gigio il più vecchio, con otto anni, zio Angelino, sette, zia Margherita, sei, e io, quattro.
Fu in questa occasione che cominciarono a correre voci che rappresentanti dei “fazendeiros” di caffè, del Brasile, erano arrivati, promettendo mari e monti, contrattando famiglie intere per lavorare nelle “fazendas”. L’America, dicevano, è il paradiso! Il Brasile, la terra della cuccagna! La terra dell’abbondanza, della ricchezza!
Le promesse erano tante che tutto il mondo si entusiasmò. Avrebbero ricevuto i soldi per il viaggio e il denaro sufficiente per arrivare ad una tale “fazenda”, in Cândido Motta, nell’interno dello Stato di San Paolo.
Molte famiglie si iscrissero, disposte ad imbarcarsi nell’avventura, per arricchire. Gli inviati dei “fazendeiros” parlavano italiano e avevano una buona lingua.
La grande decisione fu presa: nonno Eugenio e nonna Pina, così come molte famiglie, firmarono il contratto.
Tutta quella gente dette credito alle promesse che gli fecero, senza nemmeno lontanamente sospettare che stavano per essere portati in un paese dove la schiavitù era appena stata abolita e che loro, italiani di braccia forti, lavoratori di prima categoria, sarebbero andati a sostituire la manodopera schiava.
E fu in questo “scherzo da preti” che i miei genitori caddero, disse mamma, piena d’indignazione, esaltata come se loro fossero caduti la vigilia o quel giorno stesso nel cosiddetto scherzo da preti.
Ci portarono al porto di Genova, e là, spinti come animali, fummo imbarcati nella nave
Città di Roma, che partiva per il Brasile

 

L’attraversata
dei Gattai

di Zélia Gattai

“L’attraversata da Genova per il porto di Santos fu lunga e penosa”, raccontava zio Guerrando (uno dei fratelli di Ernesto Gattai padre di Zélia. NdC). “Non posso dimenticare. Ammucchiati e tristi come buoi in cammino verso il mattatoio, gli immigranti vomitavano nei fondi caldi e scuri, a lato delle caldaie della nave, un vero inferno. La gente andava sopportando senza reclamare. Tutti avevano una paura terribile di ammalarsi, finendo per morire in alto mare. Lo sapete no? spiegava lo zio, che nelle navi dell’epoca non c’erano frigoriferi per conservare i cadaveri, e i corpi di quelli che morivano durante l’attraversata erano cacciati in mare.
Hiena ancora poppava e il latte della mamma era il suo alimento principale. Siccome io ero il più grande dei figli,
proseguiva zio Guerrando, fui incaricato di stare attento ai miei fratelli più piccoli, in quanto la mamma cominciò a stare male, con vomiti e giramenti di testa, e non era in condizioni di guardarci. Il viaggio sembrava non avere fine e, con tanta sofferenza, il latte della mamma terminò. Mia sorellina non era abituata con altri alimenti, ma fu costretta a mangiare quello che mangiavamo tutti, cioè cibo pesante e grasso, uno schifo! Il risultato, come potete immaginare, fu disastroso. Provocò una tale dissenteria nella bambina. (…). La mamma era disperata, piangeva senza smettere, singhiozzava e ripeteva: “Se mia figlia muore, io muoio con lei, mi butto in mare……”
Mio padre uomo coraggioso e vivace, all’improvviso restò silenzioso, triste. Vuoi vedere che si sente in colpa di ciò che sta accadendo, pensai. Penso che fosse proprio così.
Quell’infelice di mio padre, doveva star soffrendo molto, non si allontanava dalla moglie e dalla figlia. Disanimato, mancava persino alle riunioni che il gruppo della Colonia Cecilia organizzava. Quei compagni avevano sempre cose da discutere.
Loro discutevano, litigavano? –
domandai curiosa.
Non erano discussioni litigiose, solamente conversavano …
Alle volte io mi avvicinavo per vedere se coglievo alcune cose di quello che dicevano, ma non capivo un’acca,
rise zio Guerrando, finivo per addormentarmi.
(…). Per fortuna stavamo arrivando al porto di Santos, ancora un giorno di viaggio, e la mia sorellina non sarebbe finita in bocca ai pesci, né lei né la mamma.
(…). Nel porto di Santos, s’incontrava la famiglia Gattai, senza sapere quale direzione prendere, una bambina agonizzante nelle braccia della madre.
(…). Una nave stava aspettando gli immigranti per portarli ad un porto del Paraná. Tutti quanti partirono, meno la nostra famiglia.
Hiena resistette ancora due giorni in terra ferma. Fu sepolta a Santos.”

 

Zélia Gattai

L’attraversata
dei Da Col

di Zélia Gattai

Il viaggio dei Da Col non fu differente da quello dei Gattai. Carolina si ammalò e nonna Pina pregò, senza fermarsi, chiedendo a Dio che non si portasse via la vita della figlia.
Nonna Pina pregava e cantava una ninnananna antica, nel dialetto veneto, canto tanto triste, ritmo di litania, che calmava e faceva dormire i più renitenti degli insonni. Io conoscevo bene questa ninnananna. Mia mamma la cantava per addormentare i figli (…). Mi ricordo bene delle parole, in quanto anch’io l’ho cantata per i miei figli e, alcune volte, cullata mi addormentai con loro. (…). Quando mia mamma la cantava per me, aspettavo la parte che più mi piaceva: “La mamma che t’ha fatto si consuma… si consuma poco, poco a poco, come la legna verde vicino al fuoco…”.
Dio udì le preghiere di quella madre disperata, udì il suo canto doloroso e Carolina arrivò viva in terra, grazie a Dio” diceva nonno Eugenio.
Mia mamma, che con il passare degli anni diventò quasi o per intero non credente, non pensava così. Interpellata, certe volte, sul miracolo di Dio, che non aveva permesso che sua sorellina fosse buttata in mare, rispondeva:
E dove stava Dio, quando morirono tre passeggeri, di cui un bambino? Io ero molto piccola – disse –, ma ricordo bene quando gettarono quei tre poveretti in mare, i familiari gridavano disperati.
Vuoi vedere che loro non pregarono, non chiesero a Dio…
– arrischiò Maria Negra che ascoltava la conversazione.
E c’è bisogno di chiedere? Perché chiedere? – domandò mia madre.
Dio non sa cosa fa? Per caso lui non conosce i suoi obblighi? Io che non sono Dio non aspetto che mi chiedano aiuto, quando c’è bisogno, nella misura delle mie possibilità. Ora, se lui può tutto, è infinitamente potente, come dicono, non dovrebbe avere tutta questa vanità di volere che gli chiedano, aspettare che lo implorino per risolvere i casi……
Credo! Donna Angelina! Che peccato! La signora dubita di Dio! Attenta, perché può essere castigata
– esplose Maria Negra, spaventata davanti a questa immensa eresia che finì per sentire.
Castigata io? Castigata per dire quello che penso? Castigata per dire la verità? In che mondo stiamo? – Mamma s’indignava di fronte a ciò che chiamava l’ignoranza di Maria Negra. – Tu stessa stai insultando Dio, Maria, quando dici che lui non ammette libertà di pensiero…che castiga senza dolore né pietà…un bel prepotente!
Assistetti a varie discussioni come questa, discussioni che mi fecero pensare, che mi misero dubbi nella testa, che mi lasciarono curiosa. Come sapere dove sta la verità? I miei dubbi e le mie curiosità possono essere considerate, da alcuni religiosi, come peccato, mancanza di rispetto a Dio. E gli atei radicali? Cosa possono pensare? Devono pensare che sono appena una povera di spirito, una ignorante dubbiosa dell’ovvio. Ho l’abitudine, da molto tempo, di non etichettare i miei pensieri, sono arrivata ad avere mie proprie idee, seguire la mia direzione secondo la mia testa, e mi è andata bene. Continuo a ripetere a tutte le ore, senza alcuna costrizione: grazie a Dio e se Dio vuole, ringraziare io ringrazio, ma chiedere…non chiedo niente.

 

Simile ma...
completamente differente

di Zélia Gattai

Nonno Eugenio una volta disse che le storie delle nostre famiglie, la Gattai e la Da Col, erano simili ma completamente differenti. Tutti risero, domandandogli: «Come può essere che si sia simili ma completamente differenti, nonno?».
E lui spiegò molto bene: Noi e loro non siamo italiani? Solo che loro sono toscani e noi, veneti. Molto differenti, non è vero? Loro erano anarchici e noi cattolici. Più differenti di così è impossibile. Il loro viaggio aveva una finalità politica. Volevano riformare il mondo. Il nostro aveva una finalità economica. Volevamo guadagnare soldi. Né loro riformarono il mondo né noi guadagnammo denaro. Viaggiammo sulla stessa nave, la Città di Roma. Avevamo cinque figli, loro anche”. Nonno Eugenio fece una pausa, la voce trattenuta, parlò: Questo viaggio ci rubò una figlia, e ne rubò una anche a loro: Hiena e Carolina”.

Brani tratti da: Zélia Gattai, Città di Roma, Record, Rio de Janeiro, 2000.

 

Bibliografia

Per quanti fossero interessati ad approfondire il tema dell’immigrazione italiana in Brasile e del ruolo degli anarchici, consigliamo la seguente bibliografia:

Cubero Jaime/Di Lembo Gigi/Morelli Leonardo
Nel sole di un paese grande che libero forse non è stato mai. Resoconto dal «nuovo» Brasile, Milano, Zero in condotta, 64 pp., 1989

Felici Isabelle
L’immigrazione italiana a Sao Paolo attraverso la stampa anarchica (1890-1920), in Atti del convegno Lavoratori e Sindacato nell’emigrazione italiana in America Latina 1870-1970, Brescia, 1992

Felici Isabelle
La Colonia Cecilia. Fra leggende e realtà, Colloque Giovanni ROSSI de la BFS, Pisa, 27/03/1993

Felici Isabelle
Gli anarchici italiani di San Paolo e il problema dell’organizzazione operaia 1898-1917, in La riscoperta delle Americhe, Atti del convegno – Brescia 25-27/11/1992, Milano, Teti, 1994

Felici Isabelle
La Colonia Cecilia, in RSDA, a.III, v. 2, 1996

Gattai Zélia
Anarquistas, graças a Deus/Anarchici grazie a Dio!/Zélia Rio de Janeiro, Record, 1979/Frassinelli, 1983/Paris, Stock, 1982

Rodrigues Edgar
Lavoratori italiani in Brasile, Casalvelino Scalo, Galzerano ed., 270 pp., 1985

Zane Marcello
Anarchia e nostalgia. La diaspora degli anarchici italiani in Brasile 1890-1907, in La riscoperta delle Americhe, Atti del convegno – Brescia 25-27/11/1992, Milano, Teti, 1994.