rivista anarchica
anno 33 n. 295
dicembre 2003 - gennaio 2004


canzoni & rivoluzione

“Cantando espero a la muerte...”
di Arianna Fiore

 

La rivoluzione spagnola (1936-1939) non fu solo resistenza al colpo di Stato e collettivizzazioni, ma si espresse anche per mezzo di canzoni.

Siamo andati all’assalto, cantando, tra i fiori e i venti profumati dell’estate, adesso, stiamo assistendo, impotenti, alla fine. È stato tutto un sogno, un sogno antico e necessario a cui non siamo stati capaci di conferire la saggezza dei fatti e l’evidenza della storia, ma molti, un giorno, dovranno chinare il capo e vergognarsi per averci abbandonato. (1)

Questo stralcio del diario di una anonima miliziana libertaria, nei giorni in cui il grande esilio spagnolo stava ormai per avere inizio e centinaia di migliaia di persone senza più illusioni e speranza varcavano a piedi il confine, sottolinea il modo in cui si andava all’assalto, «cantando», cosa che conferisce al canto, sottolineato proprio nel primo inciso di questa citazione, in apparenza digressivo, un ruolo fondamentale tanto più quanto più chi scrive non sembra averne una totale consapevolezza.
In questo lavoro vorrei evidenziare, seguendo idealmente la linea tracciata involontariamente da questa miliziana della Colonna Durruti, il ruolo che durante la guerra civile spagnola ebbero le canzoni, cercando di analizzarne le tematiche, l’origine e le principali motivazioni, dedicandomi principalmente ai canti anarchici.
La canzone popolare e più specificatamente l’uso che di questa si fece durante un’esperienza totalizzante come la Guerra civile spagnola, è stato uno dei mezzi più diretti ed efficaci per esprimere sentimenti ed opinioni in modo solo apparentemente semplice e spontaneo, ma soprattutto collettivo, riuscendo almeno in parte a compensare la lacuna di individualità che nel corso dei secoli avevano acquisito la letteratura e la poesia, riservate, nella loro accezione più tradizionale, ad una ristrettissima classe colta. La cultura orale e quella scritta non interagiscono mai in maniera passiva, ma per la loro sopravvivenza sono quasi costrette a dipendere l’una dall’altra, per avere delle possibilità di evolversi. Sono due forme culturali in interazione e il loro scambio, soprattutto in questo caso, è da considerarsi fruttuoso e per nulla unidirezionale. Nel caso delle canzoni della Guerra civile spagnola infatti la cultura orale ha spesso fornito il materiale di base per ciò che veniva scritto, mentre i testi stampati rientravano nel circuito della tradizione orale, dove tornavano ad essere trascritti subendo magari qualche modifica.

Canzone antimonarchica

Per fare un esempio abbastanza noto Los reyes de la baraja, da canzone d’amore di un innamorato che pur non essendo re dice alla madre della sua fidanzata che sono ben quattro i re che può portare in dote, quelli del mazzo di carte, si trasforma in tempo di guerra in canzone antimonarchica.

Si tu madre quiere un rey
La baraja tiene cuatro:
rey de oro, rey de copas,
rey de espadas, rey de bastos.

Corre que te pillo
corre que te agarro
Corre que te lleno
la cara de barro

del olivo me retiro,
del esparto yo me aparto
del sarmiento me arrepiento
de haberte querido tanto.
(2)

Nella versione bellica sovente vengono omesse le ultime due strofe, anche se a volte la seconda era ancora possibile ascoltarla nel periodo 1936-39.
Il poeta Federico García Lorca prima di morire si occupò della rielaborazione dei temi tradizionali, nello sforzo costante di liberare il patrimonio culturale spagnolo dai confini territoriali e culturali del folklore peninsulare. Non si trattò solo di una ricerca personale delle proprie radici andaluse, ma fu soprattutto un fondamentale recupero delle melodie, del ritmo musicale, dei testi e delle tradizioni gitane.
In modo parallelo al nuovo tipo di canzone sociale, nella prima metà del XX secolo, si torna a considerare la relazione tra la poesia colta e quella popolare definita, questa volta, dagli autori del ’27. Questi poeti, tra cui possiamo citare Gerardo Diego, Alberti e Lorca, rielaborano il populismo decimononico andando direttamente alle fonti, stilizzandole in quello che oggi conosciamo con il nome di «neopopulismo». (3)
Durante la Guerra molte di queste melodie popolari verranno riprese e diventeranno nuovamente attuali.
La melodia di A las barricadas, inno anarchico la cui composizione è attribuita allo scrittore polacco Waclaw Swiecicki, che godette della più grande diffusione fra le masse dei lavoratori polacchi e tedeschi, era già nota ai tempi della Rivoluzione russa, mentre l’Internacional, aveva già avuto più di un’occasione per essere cantata, e la Marsigliese fin dal titolo non nasconde la sua origine gallica.

Rinnovamento radicale

La canzone popolare della Guerra civile del ’36 ha costituito nel suo insieme una grande occasione di rinnovamento radicale nell’ambito della canzone popolare spagnola, riuscendo a trasformarsi a sua volta anche in strumento efficace contro l’avversario, che, nel caso del conflitto spagnolo, trattandosi di una guerra civile, riusciva a capire perfettamente il testo cantato.
Quello che si cercava di ottenere, dall’una e dall’altra parte della barricata (se ci vogliamo limitare ad una superficiale divisione in due parti della barricata, quando in realtà sappiamo che ce ne furono molte di più), era di convincere gli altri, anche attraverso le canzoni, a rimettere in discussione il proprio punto di vista e ad abbandonare le proprie convinzioni, o più semplicemente, si cercava di scoraggiare l’avversario, vantando situazioni inverosimili al punto che difficilmente si potrebbe riconoscere, in quei testi, la realtà della retroguardia di un campo di battaglia. Ascoltiamo quindi inni manichei che propongono ideali nobili, alti, perfetti contrapposti alla malvagità, alla rozzezza ed alla bassezza del nemico, oppure, per il secondo caso, fantomatici pasti pantagruelici, dove si ostenta un’abbondanza di cibo irreale.
Tuttavia c’è una differenza sostanziale fra le canzoni intonate dai nazionalisti e quelle dei repubblicani: mentre il bando nacional esaltava i valori della tradizione gerarchica e di quella cattolico-clericale, il bando republicano proclamava passioni politiche rivoluzionarie, intendendo con questo termine una tensione volta ad una trasformazione della realtà e della tradizione, un rinnovamento sociale tanto di tipo prevalentemente libertario, come di tipo comunista specie nelle canzoni scritte dopo il maggio del 1937.
Le «destre» cantavano nei loro inni l’eterna gloria della Chiesa cattolica, della tradizione e dell’esercito, istituzioni storiche che nella Spagna di inizio secolo continuavano a rappresentare il potere ed i freni imposti al proletariato di fabbrica ed alla grande realtà dei contadini nullatenenti. Los nacionales sottolineavano il tema dell’inseparabilità fra Stato e Chiesa, e della difesa del nazional-cattolicesimo, mentre dall’altra parte i canti ci presentavano la preoccupazione de los rojos di fronte al pericolo di avvento del fascismo, dando voce alla volontà e alla disperata lotta per tentare di resistere.
Da un lato abbiamo la ricerca della libertà, e dall’altro la volontà di far proseguire il modello di società autoritaria e conservatrice: i temi sono diametralmente opposti.
Mentre le destre trovarono nella Chiesa un saldo alleato che portò loro il consenso della considerevole fascia di popolazione tenacemente ancorata alla fede religiosa, le sinistre si ribellarono contro la tradizione con una determinazione spesso sfociata in un odio ed una violenza fino ad allora sconosciuti nella società spagnola:
L’anticlericalismo virulento e corrosivo che non smette di manifestarsi non riguarda il cielo ma i suoi rappresentanti impuri sulla terra… che benedicono gli aerei fascisti, solidarizzando così con il nemico e con il male. (4)
Dal punto di vista retorico le canzoni dei reazionari hanno un legame più diretto e riconoscibile con la tradizione letteraria, sono state scritte cercando di attenersi ai canoni di uno stile aulico e difficile, spesso retorico, mentre le canzoni della parte repubblicana attingono prevalentemente alla tradizione popolare spagnola, e riuscirono a diventare una intensa, libera e sincera espressione popolare.

Miliziani della FAI-CNT

Esorcizzare la morte

La guerra è logicamente il tema principale per entrambi gli schieramenti, in quanto evento scatenante, unica grande protagonista di tutto quello che stava accadendo.
Le canzoni di guerra si intonarono fondamentalmente per esorcizzare il grande problema della morte: cantando le milizie di proletari estranei al mondo militare si davano coraggio ed affrontavano il pericolo con più spensieratezza, con più ardore, e per ottenere questi scopi i canti dovevano essere una sintesi indovinata di musica e testo, dove tutto veniva riassunto in modo molto concentrato ed efficace. Non stupisce quindi la ripetitività di certe tematiche o di certi termini usati spesso e in diverse canzoni con l’obiettivo di rimanere più profondamente impressi nella memoria popolare.
Naturalmente i temi più toccati erano quelli che stavano più a cuore ai combattenti, soprattutto quelli per cui stavano mettendo in gioco la propria vita.
Nelle canzoni troviamo spessissimo accenni alle dure condizioni in cui si era trovata la popolazione, per lo più contadina, nel corso della storia spagnola, e l’espressione ripetuta dell’impegno a lottare per non ricadere nella schiavitù, questa volta ad opera del fascismo. Quindi grande spazio lo ha generalmente la figura dei gioghi che non devono più essere imposti, o delle catene, che saranno finalmente spezzate:

Hijos del pueblo te oprimen cadenas,
y esa injusticia no puede seguir.
(5)

Un altro argomento è ovviamente il bisogno ed il dovere di sconfiggere un nemico che rappresenta un pericolo incombente che tutti condividevano: il fascismo.
A parte le numerose somiglianze fra le tematiche del bando republicano è però fondamentale ricordare che gli anarchici si ritrovarono a combattere per raggiungere obiettivi diversi da quelli dei partiti repubblicani. Com’è noto nel corso della guerra gravi contrasti insorsero fra anarchici e comunisti: è doveroso quindi operare, fin dall’inizio, una grande distinzione all’interno della stessa parte repubblicana.
Già nella canzone di lotta più famosa, l’Internazionale, troviamo questa enorme differenziazione tra le due ideologie. Il ritornello anarchico dice, senza nemmeno nominare la parola «internazionale»:

Agrupémonos todos
en la lucha social
con la FAI lograremos
el éxito final.
(6)

Mentre il Partido Comunista de España preferisce affidarsi al refrain classico:

Agrupémonos todos
en la lucha final
el género humano
es la Internacional.
(7)

Rivolgendoci poi alle strofe, possiamo riscontrare nella versione anarchica una certa missione di captación, intesa nel senso libertario del termine, come ricerca e conversione di militanti:

La anarquía ha de emanciparnos
de toda la explotación,
el comunismo libertario
será nuestra redención.
(8)

Nella strofa della versione del PCE. invece si cerca di promuovere i futuri diritti sottolineando però contemporaneamente anche i doveri, con una terminologia classica più vicina e consona alla descrizione degli ideali del partito.

Basta ya de tutela odiosa
que la igualdad ley ha de ser.
No más deberes sin derechos,
ningún derecho sin deber.
(9)

Né repubblica né patria

Gli anarchici non cantavano né a favore dello stato repubblicano, né tantomeno della patria. Mentre tutti coloro che si trovarono nel ’36 in Spagna a combattere stavano dando la vita per un qualche tipo di patria, per la difesa di un certo tipo di Spagna, vuoi di destra, falangista, carlista, cattolica, tradizionalista, vuoi di sinistra, comunista, socialista, liberale, trotzkista, vuoi monarchica, vuoi repubblicana, vuoi satellite dell’Unione Sovietica, l’unico grande obiettivo degli anarchici era la libertà, intesa come condizione di chi non subisce controlli, coercizioni, impedimenti, ed ha la possibilità di agire in modo autonomo. (10)
Libertà non solo dal fascismo, ma intesa nel senso assoluto ed antiborghese del termine, e questo è il punto che viene affrontato più spesso nelle sue varie ed innumerevoli sfaccettature tematiche:

Esos burgueses, asaz egoistas,
que así desprecian la Humanidad,
serán barridos por los anarquistas,
al fuerte grito de libertad.
(11)

La libertà rappresenta qui il fine ultimo da ottenere spazzando via la borghesia; la libertà è il grido che si innalzerà al momento della giustizia finale, e non deve venire fraintesa con l’idea più astratta e retorica che la parola evoca in altre occasioni:

El bien más preciado es la libertad,
luchemos por ella con fe y valor.
(12)

Questi versi ricordano le seguenti parole di Malatesta: «La libertà non si conquista e non si conserva se non attraverso lotte faticose e sacrifici crudeli (…) La libertà piena e completa è certamente la conquista essenziale, perché è la consacrazione della dignità umana, ed è il mezzo unico per il quale si possono e si debbono risolvere i problemi sociali a vantaggio di tutti». «Il concetto della libertà per tutti, che implica il precetto che la libertà dell’uno è limitata dall’eguale libertà dell’altro, è concetto umano; è conquista, è vittoria, forse la più importante di tutte, dell’umanità contro la natura».
Ecco quindi come la libertà prende corpo e si identifica con l’obiettivo principale della lotta di ogni uomo, di tutti gli uomini nel reciproco rispetto, il bene più prezioso in cui tutti devono credere con fede e coraggio.
Il concetto di libertà anarchica venne sperimentato nelle zone dove la CNT e la FAI riuscirono a testare le proprie effettive possibilità di riuscita, come nella Catalogna e nel Levante.

Miliziana della FAI-CNT

Liberati da un potere opprimente

La collettivizzazione delle campagne liberò i contadini dal potere opprimente dei grandi proprietari terrieri, della borghesia e della Chiesa, che si videro da un giorno all’altro espropriati e privati di ogni forma di potere e di supremazia gerarchica. Furono molti i piccoli e medi commercianti e i proprietari terrieri che vennero costretti, loro malgrado, a prendere parte alle collettivizzazioni, nel nome della Rivoluzione Sociale. Come ricorda Soledad Estorach in un’intervista che ebbe luogo a Parigi il 6 gennaio 1982:

Requisimmo i grandi cinema e li trasformammo in mense popolari. Dove prendevamo il cibo? Dove riuscivamo! Andavamo dai negozi del luogo e lo domandavamo. I poveri commercianti dovevano darci tutto quello che avevano. Chiaro, non gli faceva molto piacere. Qualcuno di loro diceva che li stavamo rovinando. Ma non si poteva fare altrimenti, erano i primi giorni di rivoluzione, bisognava trovare il cibo per la gente. Cavolo, dopo andavamo con dei camion ai grandi mercati e prendevamo il cibo anche da lì. (13)

L’espropriazione della proprietà privata costituì quindi un passo molto concreto, anche se rappresentò solo la prima tappa verso la socializzazione, fine ultimo dell’anarchia. Gli sforzi e la lotta per arrivare a questo traguardo sono presenti in numerose canzoni libertarie:

Salud proletario: llegó el gran día
dejemos los antros de la explotación,
no ser más esclavos de la burguesía,
dejemos suspensa la producción.
Iguales derechos e iguales deberes
Tenga por norma la sociedad,
y sobre la tierra los humanos seres
vivan felices en fraternidad.
(14)

Nessun serva!

Quindi il sogno, l’ideale utopico a cui tutti aspirano è una società «giusta», basata sui diritti di uguaglianza e dove nessuno sia più costretto a vivere come servo.
Un ulteriore tema importante, e molto ricorrente, è l’invito all’unità dei popoli: alla base di questa proposta di lotta si trova un concetto direttamente collegato alla specifica situazione in cui gli anarchici si trovarono coinvolti negli anni del conflitto: alla necessità di unire gli sforzi per riuscire a riscattare la situazione e la condizione di inferiorità a cui il popolo era da sempre stato soggetto.
Questo bisogno di unità, di coordinamento di sforzi, di intervento con coesione è molto sentito e ripetutamente espresso nei canti, anche perché bisogna ricordare che le divisioni, trasformate poco a poco in profonde e dolorose lacerazioni, rappresentarono un grave ostacolo per la gestione della guerra:

Al ruido del cañón,
obreros, contestad:
unión, unión hasta obtener
el triunfo de la paz.
(15)

Alla base di questa disperata ricerca di unione e di pace, mai completamente raggiunta e mai in pieno soddisfatta, sta la basilare differenza fra due ideologie diffuse nel proletariato spagnolo in realtà molto distanti: l’unione che gli anarchici chiedevano ed invocavano non coincideva affatto con l’unità dell’esercito ottenuta dai comunisti con lo scioglimento delle milizie e con la loro conseguente militarizzazione. L’obiettivo libertario da raggiungere attraverso l’unione era la sperata ed attesa rivoluzione sociale, i comunisti in quel momento non la stavano cercando, chissà se l’avevano rimandata ad un futuro ancora da determinare, comunque sicuramente l’avevano posticipata alla fine della guerra. La cosa certa è che agli occhi di molti anarchici sembrava loro stessero combattendo la rivoluzione sociale con ardore ancora più grande di quello che invece stavano mettendo in campo per debellare il fascismo.
Sono per questo struggenti le parole dell’Internacional, nella sua versione anarchica, o l’invito ai figli del popolo, dal titolo del famoso inno Hijos del pueblo:

Arriba los pobres del mundo,
en pie los esclavos sin pan;
alcémonos todos que llega
la revolución social.

Levántate, pueblo leal,
al grito de revolución social.
(16)

Abbattere le disuguaglianze

Il problema del nemico da combattere è forse il punto che differenzia maggiormente le canzoni anarchiche da quelle generalmente repubblicane.
Gli inni libertari non contengono solo la protesta del «popolo» verso la minaccia del fascismo, ma anche lo sfogo di tutta la classe operaia che da più di un secolo stava portando avanti la lotta per la completa emancipazione, per l’affermazione dei propri diritti.
La Guerra civile costituì infatti l’evento scatenante di tutte le proteste radicate da secoli negli sfruttati in Spagna e fu considerata come il momento atteso per realizzare la rivoluzione che avrebbe potuto finalmente liberarli da ogni tipo di oppressione. Ma non c’era solo il fascismo da abbattere: la Spagna era soprattutto il regno (meglio sarebbe dire «la repubblica») in cui vigeva una società basata sui privilegi e sui valori della borghesia, del clero, dell’oligarchia e dei proprietari terrieri, protetti da leggi ingiuste, e da un esercito da sempre schierato contro operai e contadini. Mise «in atto» tutto quello che da tempo ormai si viveva e si sentiva come «in potenza».
Il movimento anarchico spagnolo voleva abbattere un modello sociale basato sulle disuguaglianze, sull’umiliazione di persone che non avevano potuto far altro per tutta la vita che abbassare la testa e continuare ad obbedire, sul dover lavorare per qualcuno gratis, con un sistema di corvée che poco era cambiato dall’epoca feudale. Sono numerosissime le canzoni che invitano l’ascoltatore a sollevarsi contro chi «da sempre» aveva goduto di questi privilegi; la rivoluzione sociale consisteva anche in questo, nel sovvertimento di un ordine sociale cementato da secoli e secoli di consuetudine ed imposizioni.
Alla base delle canzoni anarchiche troviamo allora una dicotomia di nemici da combattere: da una parte il fascismo, pericolo imminente ed immediato, incombente e urgente, dall’altra tutto quello contro cui si stava lottando già da molto tempo: l’ingiustizia, lo sfruttamento, un mondo retto da principi di disuguaglianza e privilegi. La struttura propone quindi una sorta di negazioni:

Ni militares ni curas,
ni jueces ni gobernantes,
podrán detener los pasos
de anarquistas militantes.
(17)

Dalla Marsellesa anarquista possiamo ricavare due strofe rivolte contro questi tipi di privilegi, una contro quelli ecclesiastici e statali, l’altra contro l’esercito, che sempre più sovente veniva visto dalla popolazione di orientamento libertario come una casta che lavorava per cercare di evitare e reprimere il cammino verso un qualsiasi tipo di emancipazione; ai militares, curas, jueces, gobernantes corrispondono qui le patrie, gli dei e i re:

No quede en pie el Estado y sus leyes,
que siempre al pueblo, feroz esclavizó,
y la ignorancia caduca conservó
con sus patrias, sus dioses y sus reyes.
[…]
Que al pedir pan, por hambre acosado,
el proletario con potente voz,
le contesta mortífero y feroz
el fusil del verdugo uniformado.
(18)

Stretta di mano tra il non-dittatore Francisco Franco (secondo Sergio Romano) e il non-dittatore Benito Mussolini (secondo Silvio Berlusconi)

Pericolo da fermare

Il momento della Guerra civile è quindi più specificatamente l’ora della rivoluzione per tutti quelli che da tempo speravano che le cose cambiassero.
Abbiamo detto che anche il fascismo è presente nei testi del ’36, sia repubblicani che anarchici, ed è visto come pericolo da fermare assolutamente, anche a costo della vita. Spesso è rappresentato con termini che lo fanno immaginare come un qualcosa di pericoloso ed orribile, ma anche assolutamente plastico, altre volte invece si tende a ridicolizzare sia il generale Francisco Franco che il franchismo, quasi per dissacrare l’avversario, per convincere il miliziano che non è poi così difficile vincere se tale è il nemico da combattere:

En la batalla la hiena fascista
por nuestro esfuerzo sucumbirá.
(19)

Otra vez el sangriento estendarte
los tiranos se atreven a alzar,
los tiranos se atreven a alzar.
[…]
Mirad las hordas de traidores
Que el suelo patrio van a hollar.
¿Para quiénes son esas cadenas
que forjando iracundos están?
que forjando iracundos están?
(20)

Los cuatro generales, los cuatro generales,
los cuatro generales
mamita mía que se han alzado,
para la Nochebuena, para la Nochebuena,
para la Nochebuena, mamita mía
serán ahorcados.
(21)

In questi brani oltre a raffigurare l’immagine della iena fascista che osa calpestare la terra per invadere e provocare dolore, troviamo anche il simbolo delle catene, che come abbiamo già visto viene usato sovente nei testi anarchici della Guerra civile, catene che il franchismo voleva imporre, o che i paria da troppo tempo erano costretti a portare e che dovevano finalmente essere spezzate. La famosa Hijos del pueblo, forse il testo libertario più noto, inizia appunto con un energico invito a strappare queste catene, a liberarsene, affermando chiaramente che è preferibile la morte ad una vita di schiavitù.

Hijos del pueblo, te oprimen cadenas,
y esa injusticia no puede seguir.
Si tu existencia es un mundo de penas,
antes que esclavo, prefiere morir.
(22)

Questo testo riassume le tematiche principali dei canti anarchici, in quanto vi si può riscontrare tutto l’odio ed il risentimento accumulato in lunghi anni, la speranza personale, l’antagonismo sociale, ed il disperato bisogno di libertà ed uguaglianza. Nel testo si dice anche che il livello di sopportazione è arrivato ormai al limite, ed il miliziano preferisce dare la vita, facendo eco alla celebre frase della Pasionaria, «más vale morir que vivir de rodillas», che con l’altro suo motto «¡No pasarán!» (23) è spessissimo citata in numerose canzoni.
Gli autori dei testi approfittarono della celebrità di questi motti e contribuirono a diffonderli inserendoli nelle canzoni e «nobilitandole» con parole d’ordine d’autore che sicuramente le renderanno più riconoscibili.
I simboli ed i motti, usati all’inizio singolarmente diventarono in un secondo tempo formule di riconoscimento per determinate fazioni o gruppi politico ideologici. Nel nostro caso essi diventano i protagonisti dei ritornelli delle canzoni, ed aiutano chi sta ascoltando ad una facile e veloce identificazione della posizione ideologica che il testo sta difendendo.

Sventolio di bandiere rossonere

Tutte le canzoni anarchiche, per esempio, traboccano di immagini dove la bandiera rossonera sventola in un orizzonte infuocato dal «sol dell’avvenire», o di pugni che si sollevano con decisione e forza per dare una svolta alla situazione.
Anche i colori ricorrono sovente per tutte le parti in guerra riuscendo a contribuire alla plasticità dell’immagine cantata. Curiosamente sovente i colori non coincidono: per esempio falangisti fanno spesso uso dell’azzurro, tingendo con questo colore camicie, cielo e mare, mentre i proletari per descrivere il loro nemico preferiscono usare il nero, probabilmente grazie all’infelice popolarità che in Spagna ebbero le Camicie Nere di Mussolini. Per descrivere invece se stesso e la propria lotta il bando repubblicano (ma ancora una volta è necessario, per maggior precisione, limitare il campo a comunisti, anarchici, socialisti e trotzkisti, l’ala più a sinistra) ricorre molto al rosso, oltre ai tre colori della bandiera repubblicana (eccezion fatta naturalmente per gli anarchici).

Amor y justicia no tienen barreras;
¡el mundo es del hombre, aquí su destino,
sin otros distingos, ni otras fronteras!
¡La roja bandera todo lo ha de envolver!
(24)

Per i franchisti dietro alla parola «los rojos» non si nascondeva solo il nemico, ma genericamente tutti i mali da cui la Grande España si sentiva minacciata; i rossi erano, a seconda dei casi, peccatori, eretici, atei, senzadio, traditori, senza morale, distruttori da distruggere.
Ma il bando repubblicano non solo identificava il popolo leale con il colore rosso ma lo invitava anche alla rivolta:

Rojo pendón, no más sufrir,
la explotación ha de sucumbir.
Levántate, pueblo leal,
al grito de revolución social!
(25)

Per concentrarsi poi sugli anarchici il rosso, colore della rivoluzione ed il nero, colore dell’anarchia, costituivano la bandiera dell’anarcosindacalismo, simbolo della ribellione estrema e della rivoluzione sociale contro la costrizione di uno stato autoritario e centralista.

Color rojo tiene el fuego,
color negro tiene el volcán;
colores rojo y negro tiene
nuestra bandera triunfal.
(26)

Un altro tema-simbolo molto sfruttato è quello dei personaggi che in una maniera o nell’altra si sono resi famosi durante la Guerra civile o anche precedentemente, e quindi sono impiegati come modello o esempio da seguire.
Se da una parte vediamo i nazionalisti elevare a livello di veri e propri idoli sia Franco che José Antonio Primo de Rivera (il mito di quest’ultimo è incrementato soprattutto dalla sua morte, che ne ha fatto un vero e proprio martire) anche la parte repubblicana inneggiava agli eroi caduti per la rivoluzione o semplicemente ai protagonisti che si erano distinti con le azioni più eroiche.
Famoso è l’Himno de Riego, inno della Repubblica, o i testi dedicati al Campesino, o al generale Miaja per la difesa di Madrid.

Espressioni d’affetto

Fu però un eroe anarchico, Buenaventura Durruti, noto a tal punto da entrare con diritto in una sorta di mitologia bellica libertaria, ad essere ricordato con più affetto dalla memoria collettiva, sia per la sua partecipazione diretta alla guerra, che per la sua forte personalità e coraggio e perché anche lui perse la vita dopo pochi mesi dall’inizio del conflitto. Il 20 novembre 1936, giorno della sua morte, in ogni parte della Spagna non occupata dalle truppe golpiste vennero scritti poemi commemorativi, discorsi, canzoni, alcune divenute molto note, come quella in cui venne data una melodia alle parole di Lucía Sánchez Saornil (27), altre meno, altre immediatamente dimenticate, ma tutte valsero a dimostrare il grande affetto che i combattenti e la gente comune provavano per questo leader miliziano.
Gli anarchici cantarono molto anche ballate dedicate ai «martiri», cioè ai compagni morti per la difesa della libertà in altre parti del mondo ed in altri periodi storici, potremmo con termini molto tecnici definirle diacroniche e diafasiche: divennero famose le ballate dedicate a Sacco e Vanzetti, ai Martiri di Chicago, a quelli della Comune di Parigi e agli anarchici conosciuti a livello internazionale.
Le persone che partecipavano alla guerra civile diventavano molto più famose se morivano in modo eroico nel campo di battaglia, uccisi dall’acerrimo nemico.
Il tema della morte eroica è infatti fra quelli che ricorrono più sovente, saper morire bene diventa molto importante in una guerra che, per la prima volta al mondo, pur svolgendosi all’interno delle frontiere di un solo paese, assunse dimensioni internazionali.
La morte eroica fu considerata come una prova che riscattava ogni mancanza commessa durante la vita, il miliziano andando a combattere sapeva che la morte era un rischio probabile al quale andava incontro. Egli doveva però affrontarlo con coraggio in quanto era il passo necessario per poter lasciare ai propri figli un mondo di speranza e di dignità.
La guerra di Spagna, nonostante la sua dimensione mondiale, il numero dei combattenti che vi presero parte, le numerose nazionalità coinvolte, rimane comunque una guerra civile: fratello contro fratello. E se fino ad ora abbiamo notato le differenze, non si può comunque evitare di riscontrare delle grandi somiglianze di base. Il cattolicesimo fu, ad esempio, una delle caratteristiche principali della penisola iberica, credenti o meno non era possibile non venirne influenzati.
Il franchismo canta apertamente i valori della tradizione cattolica e Cristo ne è uno scontato protagonista; ma il mito del miliziano che dà la vita per i suoi figli, per salvarli dal presente di dolore, per dare loro un futuro più giusto, luminoso, intende la morte come necessaria per fare in modo che il paradiso sia una realtà da vivere e non da aspettare, non nasconde forse dietro di sé una croce redentrice? L’anarchia deve essere conquistata con fe y valor, questo è un fatto prioritario, la fede religiosa diventa politica, ma non scompare, si trasforma.

Cantando espero a la muerte

Il miliziano ricorda quindi una vittima che presenta connotazioni simili a quelle dei primi martiri cristiani, in quanto si sacrifica volontariamente per la libertà e per l’anarchia.
Il poeta Miguel Hernández, morto il 28 marzo 1942, in prigione, durante la dittatura franchista, dice a proposito nel suo poema Vientos del pueblo:

Cantando espero a la muerte
que hay ruiseñores que cantan
encima de los fusiles
y en medio de las batallas
(28)

e in quest’ambientazione con connotazioni positive e naturalistiche riesce a sublimare la morte in guerra.
Numerose canzoni riprendono l’immagine della morte eroica, la collegano al desiderio dei combattenti proletari di uscire da un’esistenza di dolore. Perciò i miliziani delle canzoni non temono nessun sacrificio:
L’integrità nell’ora della morte è stata sempre una virtù lodevole in terre dove un profondo e tragico senso mistico-religioso ha dato alla vita un valore di transito verso un’altra vita migliore. (29)
Specularmente il tema del clero corrotto è più che frequente, appare in quasi tutti i testi di protesta, ed è bersaglio delle peggiori accuse. A parte quelle secolari di simonia e corruzione, nel 1936-1939 il peccato peggiore della Chiesa fu quello di tradimento degli ideali dichiarati, quelli di giustizia e dei diritti degli uomini. Ma già Dante, che in fede cattolica non aveva nulla da invidiare alla cattolicissima Spagna degli anni ’30, aveva denunciato la corruzione ecclesiastica e sembra quasi ritrovare in queste strofe popolari un accenno esplicito ai famosi versi del canto XIX dell’Inferno:

E se non fosse che ancor lo mi vieta
La reverenza de le somme chiavi
Che tu tenesti ne la vita lieta,
I’ userei parole ancor più gravi,
Che la vostra avarizia il mondo attrista,
Calcando i buoni e sollevando i pravi.

La Chiesa cattolica perse nei decenni che precedettero la Guerra civile ogni tipo di credibilità e di fiducia da parte di ampi settori popolari, e gli anarchici iniziarono a cantare con una veemenza sempre maggiore contro ogni forma di autorità civile e religiosa, che si identificava ormai con l’accezione peggiore del termine potere:

Es hora que caiga tanta dictadura,
vergüenza de España por su proceder.
No más militares, beatas ni curas, abajo la Iglesia, que caiga el poder.
(30)

Madrid, il "puente de los Franceses" oggi, in una foto di Arianna Fiore

Benedettini e anarchici

Sembra quasi che la tradizione degli Ordini Minori e mendicanti faccia risentire in queste proteste anarchiche la propria eco; in fondo era stata la regola benedettina a predicare l’osservanza dei tre voti che nel 1936, a distanza di secoli, erano ormai più solo i libertari a rispettare: povertà, castità ed obbedienza, una vita ascetica senza asprezze eccessive, con un forte vincolo comunitario alla base. La povertà non è difficile scorgerla, ma se ci discostiamo dalla contingente situazione di bisogno e di miseria in cui spesso le milizie si ritrovavano, la possiamo anche identificare nel programma di abolizione della proprietà privata; la castità e l’obbedienza riflettono il grande rigore anarchico (un opuscolo del periodo invitava a dividere la giornata in tre parti: 8 ore da dedicare al lavoro, 8 ore da dedicare allo studio e le rimanenti 8 per dormire), una mistica dell’ideologia, una fede cieca in un Paradiso che dovrà arrivare, non dopo la morte ma in questa terra, ma che dovrà comunque arrivare, come ricorda l’Internacional:

La tierra serà el Paraíso
libre de la humanidad.
(31)

Sono proprio le capacità di convincimento che la Chiesa ebbe sul popolo ed in particolare sulle donne, un altro grande problema per i rivoluzionari. Per vincere le elezioni politiche del novembre 1933 la destra infatti aveva esteso il diritto di voto alle donne, riuscendo a salire al governo. Nel 1936 però, anche se ancora fermamente religiose, molte donne iniziarono a criticare questa Chiesa che non le difendeva in nessun caso e anzi le obbligava a sacrifici ed enormi sofferenze. Commovente è, a questo proposito, la preghiera della madre di un miliziano morto in battaglia:

Viernes Santo, Viernes Santo!
gemía la pobre vieja-
Si hubiese tenido un hijo,
Virgen de la Macarena,
No como lo tuviste,
Sin dolor y por sorpresa,
Sino como yo lo tuve,
Porque lo parí de veras,
Con desgarros, con ahogos
Y con fiebres en las venas,

Y te lo hubieran matado
Los cristianos que te rezan,
¡Cómo les maldecirías,
Virgen de la Macarena!
(32)

Linguaggio ispirato alle leggi dell’emozione

I termini usati nelle canzoni della Guerra civile spagnola appartengono principalmente al linguaggio bellico, o alla terminologia propria delle rispettive parti politiche che parteciparono al conflitto e possiamo parlare di due retoriche diverse. Anche i migliori poeti cercarono di evitare di dare un valore ermetico alle parole, perché durante la guerra era necessario fare uso di una terminologia più diretta, esplicita e cruda per far arrivare il messaggio con più chiarezza ed incisione possibile: possiamo parlare in questo caso di literatura de urgencia. Così facendo, il linguaggio di questi testi non s’ispirò alle leggi della tradizione poetica, ma a quelle dell’emozione, e cercò di comunicare il proprio messaggio nella maniera più efficace possibile, riuscendo a fare di queste due caratteristiche, emozione e chiarezza, due aspetti imprescindibili ed indispensabili dei testi. Molte canzoni furono scritte sotto il rumore degli spari e nel buio delle trincee, e quindi è assolutamente normale e lecito che partecipino a pieno titolo all’impegno politico in cui si inserivano tutti i canti bellici.
Finalmente, negli anni trenta, l’aspetto populista che stanno assumendo gli avvenimenti in Spagna, fa in modo che i poeti del momento adottino una serie di metri popolari – romances, coplas, serranillas – e utilizzino un linguaggio naturale nei loro versi che continueranno così fino alla conclusione della guerra». (33)
Per questo il linguaggio usato era il più colloquiale possibile, spesso monotono nella sua ripetitività, volendo evitare l’uso frequente delle figure retoriche più barocche, privilegiando l’uso di parole che evocano immagini molto chiare, esplicite e plastiche, ricorrendo per esempio a metafore e anafore:

Pongamos alta la frente
los curvados del trabajo
que en la cúspide del monte
luce el sol del porvenir.
(34)

Per le canzoni della parte repubblicana si può parlare spesso di lavori di tipo documentaristico, perché evocano con precisione luoghi e nomi propri degli eroi protagonisti delle battaglie:

Ni el castillo de Montjuich
ni el mismo Alcalá del Valle
han de temer los obreros
cuando se echen a la calle.
(35)

Anche la canzone Montjuich è dedicata interamente ad un avvenimento preciso ed addirittura un verso ricorda con esattezza la data in cui morì fucilato Francisco Ferrer i Guardia, il pedagogo della Escuela Moderna:

No se me olvida
La fecha infausta:
13 de octubre
tornas a mí.
Y a mi memoria
Vienen los ayes
De las torturas
De ese Montjuich.
(36)

C’è una quantità di aggettivi che indica la volontà di sottolineare con fermezza la propria ideologia contro quella dell’avversario.
Lo stile, retorico ma molto semplice, è apparentemente spontaneo, c’è molta enfasi, intensità, e il testo è spesso ridotto con molta tensione all’essenziale.
Un espediente al quale ricorrono le canzoni è quello di richiamare direttamente l’attenzione, con l’uso del vocativo. Spesso ci si rivolge al miliziano, o all’operaio, protagonista del fronte cittadino, ma è anche frequente l’invocazione a cose e luoghi, dandogli quasi un’identità umana, antropomorfizzandoli:

Puente de los Franceses,
Puente de los Franceses,
Puente de los Franceses,
mamita mía
nadie te pasa
porque los madrileños
porque los madrileños
porque los madrileños
mamita mía
que bien te guardan.

Dove ci si rivolge direttamente al vecchio ponte della Città Universitaria che fu per mesi il luogo in cui si scontrarono repubblicani e nacionales. Sempre nella stessa famosissima canzone:

Madrid que bien resistes,
Madrid que bien resistes,
Madrid que bien resistes,
mamita mía
a los bombardeos.
(37)

Madrid città-madre

Ora il riferimento è rivolto invece alla resistenza della città di Madrid, che simboleggia qui i suoi abitanti.
Non è difficile vedere un riferimento dietro alla parola Madrid del termine madre, e Madrid diventa una città-madre, pronta ad accogliere, a consolare, a stringere fra le sue braccia il miliziano stanco di tanta guerra. Ma se Madrid è una madre, anche la Spagna perde ogni connotato di patria, e diventa, come amava dire don Miguel de Unamuno, una Matria, in contrapposizione quindi alla patria, e diventa a sua volta la Madre Terra, per cui si sente l’amore per le proprie origini, è una Matria che ti dà la vita accogliendoti nel suo grembo.
Molto usati sono anche l’esclamazione e la ripetizione, come esempio nelle varie versioni della Marsigliese del canzoniere di Gante, accomunate tutte da un ritornello comune che costituisce un filo conduttore, con l’intento di fissarne i sentimenti fondamentali.

Apréstate a alzarte,
Oh! Sol del porvenir,
queremos vivir libres
y nunca más servir!
(38)

In altre canzoni, con un tono decisamente polemico, l’obiettivo del testo si raggiunge grazie alla formulazione di domande ed esclamazioni:

Esta tierra que no es mía,
esta tierra que es del amo,
la riego con mi sudor,
la trabajo con mis manos.
Pero dime, compañero,
si estas tierras son del amo,
¿Por qué nunca lo hemos visto,
trabajando en el arado?
(39)

Le domande il più delle volte, come in questo caso, sono retoriche, nel senso che preparano una spiegazione e la risposta chiarificatrice che arriva puntuale nella strofa successiva:

Con mi arado abro los surcos
con mi arado escribo yo
páginas sobre la tierra
de miseria y de sudor.

La metrica è varia ed irregolare, tutt’altro che carente come invece si potrebbe pensare.
La presenza della metrica è dovuta alla moda delle canzoni popolari del tempo che erano inni e marce con una cadenza ed un ritmo molto sicuri e decifrabili, anche se non si può negare che molti testi furono scritti usando un metro libero.
Le canzoni popolari prese dalla tradizione sono generalmente dotate di una struttura formale che si è mantenuta nel tempo, e quindi anche nei rifacimenti bellici, seguendo una sorta di formularismo, mentre quelle che hanno più problemi e più difficoltà di identificazione stilistica sono quelle d’urgenza.
Corrisponde quindi al vero l’affermazione di Spencer, che anticipando di qualche anno l’inizio della guerra, ma comprendendo profondamente l’atmosfera che nel 1927 si iniziava già a respirare, rilevava e conferiva il dovuto valore al nuovo grande fenomeno di produzione di poesia e canzoni popolari che, da lì a pochi anni, e grazie ad un conflitto che forse era già prevedibile, avrebbe avuto il suo massimo sviluppo:

In un mondo in cui la poesia è stata abbandonata, o che si è convertita in un esaltato mezzo di espressione di pochi specialisti, questo risveglio, tramite la poesia, di un senso positivo del domani, è tanto lodevole quanto la stessa lotta per la libertà. (40)

Madrid, novembre 1936, i funerali di Buenaventura Durruti

La disperazione dell’esilio

Nel 1939, a esilio ormai cominciato, per la Spagna peregrina non rimaneva che l’eco disperata del grido di dolore di un poeta, León Felipe, che rappresenta la disperazione dell’esilio, cosciente come tutti che ormai gli sconfitti avevano perso ogni cosa, la fattoria, i campi, il grano, la Patria; una sola cosa era comunque rimasta loro, la voce antica della terra, la canzone, intesa nel senso medievale, che nessuno avrebbe potuto cancellare dalla memoria collettiva.
Andandosene gli esiliati avevano lasciato dietro solamente un silenzio attonito, un mondo vuoto e senza canzone, perché il popolo ormai era incapace di pronunciare parola, o semplicemente non gli fu più permesso.

Tuya
es la hacienda,
la casa,
el caballo
y la pistola.
Mía es la voz antigua
de la tierra.
Tú te quedas con todo
y me dejas desnudo
y errante por el mundo...
mas yo te dejo mudo...
¡Mudo!
¿Y cómo vas a recoger el trigo
y a alimentar el fuego
si yo me llevo la canción?
(41)

Se il titolo di questa riflessione richiama un verso del poeta Miguel Hernández, che purtroppo non poté attendere la morte cantando circondato dagli usignoli ma dalle pareti di una cella franchista, mi sembra giusto concludere con questo testo di León Felipe, che, per sua fortuna, la canción se la llevó como compañera de su largo destierro.

Arianna Fiore
(Le traduzioni dal castigliano sono della autrice)

Note

1. Il manoscritto appartiene ad un lotto di riviste ed opuscoli sulla guerra di Spagna in vendita presso la libreria Pinkus di Zurigo ritrovato nel 1970. Il diario è stato pubblicato con il titolo La cuoca di Buenaventura Durruti, La cucina spagnola al tempo della «guerra civile». Ricette e ricordi, Roma, Derive e Approdi, 2002; dell’autrice sappiamo solo il nome di battaglia, Nadine, la sua passione per la cucina e quanto lei ha voluto raccontare di se stessa al proprio diario.
2. «Los reyes de la baraja», in HOMENAJE A FEDERICO, MUSICA, POESIA E DUENDE DI FEDERICO GARCIA LORCA, (cd), Il Manifesto, Finzioni. Trad.: Se tua madre vuole un re / il mazzo di carte ne ha quattro: / re di danari, re di coppe, / re di spade, re di bastoni. / Corri che ti piglio, / corri che ti prendo, / corri che ti sporco / il viso di fango. / Dall’oliveto mi allontano / dal canneto mi allontano, / dal sarmento io mi pento / di averti amato tanto.
3. J.L. MURILLO AMO, (tesi di laurea), España: mito y realidad en el cancionero de la Guerra Civil española, Michigan, Tulane University, 1993.
4. SALAUN S., Romancero libertario, Ruedo Ibérico, Alençon, Francia, 1971;
5. Hijos del pueblo, in: Confederación Nacional del Trabajo, Exilio Confederal, risguardo del disco ufficiale della CNT. Trad.: Figli del popolo, ti opprimono delle catene, / e questa ingiustizia non può continuare.
6. La Internacional anarquista, in Cancionero Revolucionario, Ediciones Tierra y Libertad, Imp. Castrera, Bordeaux, s.d. Trad.: Raggruppiamoci tutti/ nella lotta sociale / con la FAI raggiungeremo / la vittoria finale.
7. La Internacional, in Cancionero Revolucionario, Partido Comunista de España, Comisión Provincial de Agitación y Propaganda, Santander, 1937. Trad.: Raggruppiamoci tutti / nella lotta finale / il genere umano / è la Internazionale.
8. Trad.: L’anarchia deve farci emancipare / da ogni tipo di sfruttamento / il comunismo libertario / sarà la nostra redenzione.
9. Trad.: Basta con l’odiosa tutela / l’uguaglianza deve diventare legge. / Non più doveri senza diritti, / nessun diritto senza il dovere.
10. Mi piacerebbe ricordare tra le numerose definizioni del concetto di libertà le parole di un protagonista della Guerra civile spagnola, Camillo Berneri, secondo il quale, «la libertà è il potere di obbedire alla ragione» e la base di questo concetto di libertà è la relatività, perché la società anarchica non è «la società dell’armonia assoluta, ma la società della tolleranza».
11. Hijos del pueblo, op. cit. Trad.: Quei borghesi, così egoisti, / che tanto disprezzano l’umanità, / saranno spazzati via dagli anarchici, / al forte grido di libertà.
12. A las barricadas, in: Confederación Nacional del Trabajo, Exilio Confederal, risguardo del disco ufficiale della CNT. Trad.: Il bene più caro è la libertà, / lottiamo per lei con fede e valore.
13. MARTHA A. ACKELSBERG, Mujeres Libres. El anarquismo y la lucha por la emancipación de las mujeres, Virus Editorial, Barcellona, 1999, pp.124-125.
14. Himno anarquista, in: Cancionero revolucionario, Ediciones «Tierra y Libertad», Imp. Castrera, Bordeaux. Trad.: Salve proletario: è arrivato il grande giorno / lasciamo gli antri dello sfruttamento, / non essere più schiavo della borghesia, / lasciamo sospesa la produzione. / Uguali diritti ed uguali doveri / abbia per norma la società, / e sulla terra gli esseri umani / vivano felici in fraternità.
15. La marsellesa de la paz, in: M. BAJATIERRA, Canciones anarquistas, Airones de guerra contra el capitalismo y contra el Estado, Biblioteca Plus Ultra, Madrid, s.d. Trad.: Al rumore del cannone, / operai, rispondete: / unione, unione fino ad ottenere / il trionfo della pace.
16. La Internacional, in Cancionero revolucionario, op. cit. Trad.: In piedi i poveri del mondo / in piedi gli schiavi senza pane, / alziamoci tutti che arriva / la rivoluzione sociale. Alzati, popolo leale / al grido di rivoluzione sociale.
17. Jota libertaria, in Cancionero Revolucionario, op. cit. Trad.: Né militari né preti, / né giudici né potenti / potranno fermare la marcia / di anarchici militanti.
18. La marsellesa anarquista, ibidem Trad.: Non rimanga in piedi lo Stato e le sue leggi / che sempre ha schiavizzato ferocemente il popolo, / e la decrepita ignoranza conservò / con le sue patrie, le sue divinità e i suoi re. / Che al chiedere il pane / spinto dalla fame / gli risponde feroce e criminale / il fucile del boia in uniforme.
19. Hijos del pueblo, in: Colección de canciones de lucha, Ediciones Pacific, Madrid, 1980. Trad.: Nella battaglia la iena fascista / grazie al nostro sforzo soccomberà.
20. La Marsellesa, in: Cancionero Revolucionario, ediciones «Tierra y Libertad», Imp. Castrera, Bordeaux. Trad.: Un’altra volta il sanguinoso stendardo / i tiranni si permettono di alzare, / i tiranni si permettono di alzare / Guardate le orde di traditori / che stanno per calpestare il suolo della patria. / Per chi sono quelle catene / che stanno forgiando pieni di ira? / che stanno forgiando pieni di ira?
21. Questa canzone ebbe molto successo durante la guerra civile tanto che ebbe numerosi rifacimenti e cambiò in seguito alle vicende della guerra. Fu molto provocatoria perché la versione popolare a cui si rifaceva, ripresa da Federico García Lorca nel suo lavoro di riscoperta della tradizione canora spagnola, cantava come protagonisti non i quattro generali, Franco, Sanjurjo, Mola e Queipo de Llano, come ricorda la seconda strofa della versione bellica, ma quattro muleros che si recavano al fiume per far abbeverare le loro bestie. Trad.: I quattro generali, i quattro generali / i quattro generali / mammina mia che si sono alzati / la notte di Natale, la notte di Natale / la notte di Natale, mammina mia, / saranno impiccati.
22. Hijos del pueblo, in: Confederación Nacional del Trabajo, op. cit. Trad.: Figlio del popolo, ti opprimono catene, e questa ingiustizia non può continuare. / Se la tua esistenza è un mondo di dolore, / piuttosto che essere schiavo, scegli la morte.
23. Trad.: «Vale di più morire che vivere in ginocchio» e «Non passeranno».
24. E. GANTE, (Ed.), El Cancionero Revolucionario, (folleto mensual), Biblioteca Tierra y Libertad, Madrid, 1932. Trad.: Amore e giustizia non hanno barriere; / il mondo è dell’uomo, qui il suo destino, / senza altre distinzioni, né altre frontiere! / La bandiera rossa deve avvolgere ogni cosa!
25. Anarquistas, in: M. Bajatierra, Canciones anarquistas, Airones de guerra contra el capitalismo y contra el estado, Madrid, Biblioteca Plus Ultra, s.d. Trad.: Rosso stendardo, non più soffrire, / lo sfruttamento deve finire. / Alzati popolo leale / al grido di rivoluzione sociale!
26. Trad.: Colore rosso ha il fuoco, / colore nero ha il vulcano / colore rosso e nero ha / la nostra bandiera trionfale.
27. J. LLARCH, Cantos y poemas de la Guerra Civil de España, Daniel’s libros Editor, Barcelona, 1987.
28. Vientos del pueblo, in: D. PUCCINI, Romancero de la resistencia Española, Ediciones Península, Barcellona, 1982. Trad.: Cantando aspetto la morte / che ci sono usignoli che cantano / in cima ai fucili / e in mezzo delle battaglie.
29. J.L. MURILLO AMO, op. cit.
30. J. LLARCH, op. cit. Trad.: È ora che cada così tanta dittatura / vergogna della Spagna per quello che ha fatto. / Mai più militari, beghine e preti / abbasso la Chiesa, che cada il potere.
31. Trad.: La terra sarà il Paradiso / libero dell’umanità.
32. J.L. MURILLO AMO, op. cit. Trad.: Venerdì Santo, Venerdì Santo! / gemeva la povera vecchia / Se avessi avuto un figlio / Vergine della Macarena, / Non come lo hai avuto / senza dolore, all’improvviso / ma come io l’ho avuto / perché io l’ho partorito per davvero / con dolore, con affanno / e con febbre nelle vene / e te lo avessero ucciso/ i cristiani che ti pregano / come li malediresti / Vergine della Macarena!
33. J.L. MURILLO AMO, op. cit.
34. Himno de la internacional in: GANTE, op. cit. Trad.: Alziamo la fronte, / noi curvati dal lavoro / che sulla cima del monte / brilla il sole dell’avvenire.
35. Amarrado a la cadena, in Cancionero Revolucionario, op. cit. Trad.: Né il castello di Montjuich / né lo stesso Alcalá del Valle / devono temere gli operai / quando scendono in strada.
36. Montjuich, in: Ibidem. Trad.: Non mi si cancella dalla mente / la triste data / 13 di ottobre / ritorni nella mia mente / E alla mia memoria / tornano gli echi / delle torture / di quel Montjuich.
37. Puente de los Franceses, in: DIAZ VIANA L., (Ed.), Canciones Populares de la Guerra Civil, Taurus Ediciones, Madrid, 1986. Trad.: Ponte dei Francesi / Ponte dei Francesi / Ponte dei Francesi / mammina mia / nessuno ti passa / perché i madrileni / perché i madrileni / perché i madrileni /mammina mia / come ti proteggono! Madrid come resisti bene / Madrid come resisti bene / Madrid come resisti bene, mammina mia / ai bombardamenti!
38. Himno de los malhechores, in: GANTE, op. cit. Trad.: Sii pronto ad alzarti / O Sole dell’avvenire! / Vogliamo vivere liberi / e mai più servire!
39. En la plaza de mi pueblo, in: J. LLARCH, op. cit. Trad.: Questa terra che non è mia / questa terra che è del padrone / la innaffio con il mio sudore / la lavoro con le mie mani. / Ma dimmi, compagno / se queste terre sono del padrone / Perché non lo abbiamo mai visto / lavorare nei campi? Con il mio aratro apro i solchi / con il mio aratro io scrivo / pagine sulla terra di miseria e di sudore.
40. D. PUCCINI, Romancero de la Resistencia Española, Ediciones Península, Barcelona, 1982.
41. Trad.: Tua / è la tenuta / la casa/ il cavallo / e la pistola. / Mia è la voce antica / della terra. / Rimane tutto a te / e mi lasci nudo / ed errante per il mondo… / ma io ti lascio muto… / Muto! / E come puoi raccogliere il grano / ed alimentare il fuoco / se mi porto via con me la canzone?

Fucilazione di Francisco Ferrer i Guardia in un'opera di Flavia Costantini