rivista anarchica
anno 33 n. 295
dicembre 2003 - gennaio 2004


anarchici

 

I sei Salvatori

È una Palermo onirica e concreta, fantastica e reale, la città che Fulvio Abbate ricorda e racconta nel bel romanzo Zero maggio a Palermo (Baldini & Castoldi, 2003). Una Palermo speciale, quale mai è stata raccontata («il «romanzo di Palermo», non un «romanzo su Palermo», esattamente!»), caoticamente popolata da un mondo uscito dalla feconda immaginazione dell’autore, ma nello stesso tempo vero, in carne e ossa, conosciuto e riconoscibile. Il popolo della città, la sua gente, i mafiosi malacarne, i compagni edili, i dipendenti comunisti della Regione, l’alto sottoproletariato, i fascisti delle palestre, i goliardi col berretto a punta, l’amico Dario, i Beati Paoli e il loro irraggiungibile segreto, le cugine Silvì e Vartan, le studentesse fuori sede sempre ben disposte... e poi Salvatore Cuore di Zundapp, l’anarchico motociclista che finalmente ha raggiunto il paradiso dei pezzi di ricambio, e i suoi sei compagni, i sei Salvatori, bizzarri anarchici con lo stesso nome e con una sola identità, affascinanti coscienze critiche e ammalianti richiami per una scelta di libera trasgressione.
Uscito una prima volta nel 1990 e ristampato di recente, Zero maggio a Palermo ci riporta agli inizi degli anni settanta quando l’Italia in generale, e con essa il capoluogo siciliano, vissero, finalmente, la straordinaria stagione di quei mutamenti sociali, politici ed esistenziali che, pur contraddittoriamente, riuscirono a trasformare questo paese, almeno per qualche tempo, in un posto più disponibile e sensibile ad un discorso di civile libertà. Ed è all’interno di questo processo di trasformazione collettiva che si svolge l’avventura esistenziale di Ale, il giovane protagonista, spinto alla prematura militanza in una periferica sezione del PCI dal bisogno di dare un senso più profondo, non solo individuale e generazionale, al passaggio dall’adolescenza alla maturità. Romanzo di formazione, dunque, come spiega Abbate nella sua «Nota, tredici anni dopo», ma anche romanzo di «affabulazione civile», animato dal desiderio di «mettere in comunicazione, fra gli altri, Albert Camus e Pier Paolo Pasolini con Raymond Queneau e Màrio de Andrade. Magari attraverso la mediazione di Brecht». Ecco dunque, in questo viaggio ricco di fantasiose metafore e di terranei accadimenti, gli incontri con la città, con l’anima della città, «una città magmatica che trabocca sempre di magia, nel bene e nel male [...] con le sue strade, le sue chiese, le sue ingiustizie e la sua umanità», e con i suoi abitanti, i malacarne, a rappresentarne la tragica immutabilità; e le inconsapevoli ma libere ragazzine, che nella loro incoercibile propensione a buttare per aria la morale dei nonni senza chiedersi perché, ne rappresentano lo scomposto processo di trasformazione. E agli antipodi di questi «incivili» protagonisti, troviamo i protagonisti «civili», gli ingenui e diligenti compagni della sezione del PCI e gli anarchici, gli anarchici palermitani, qui connotati con una accezione volutamente paradossale, ma pur sempre fisicamente presenti. Come furono fisicamente presenti, eccome!, nella Palermo di lotta di quegli anni ormai lontani.
Gli anarchici, dunque. Salvatore Cuore di Zundapp, il settimo Salvatore, volato nel paradiso dei pezzi di ricambio dopo un incidente in moto, causato, probabilmente dalla solita pazzesca impennata. E i suoi strani, imprendibili compagni a lui sopravvissuti, sempre assieme a formare un perenne «collettivo», un’unica entità. E a tentare, come il demonio nel deserto di sant’Antonio, il giovane Ale, combattuto fra la militanza «seria», ma pesantemente ingessata, nel Partito comunista, e il desiderio di spiccare quel volo liberatorio che gli permetterebbe di atterrare su una dimensione di sostanziale alterità. E forse, se non fosse per la paura di doversi poi chiamare Salvatore come loro, nulla lo tratterrebbe dal salto definitivo.
Sia come sia, comunque, questi anarchici «fantastici» sono anche sei compagni in carne e ossa, impegnati nel romanzo come allora si era impegnati nel quotidiano, nelle manifestazioni per la liberazione di Valpreda e Marini, nella denuncia delle criminali trame statali, nella lotta sui posti di lavoro e di studio, nella «vigilanza» antifascista, nelle manifestazioni controculturali. Come lo furono, nella realtà di quei tempi, i «vecchi» compagni del «Mackhno», del «Pinelli», del «Friscia», i compagni della FAI e della Federazione anarchica palermitana, soliti a riunirsi nella mitica sede di Piazza Meli 5, e che a lungo, soprattutto negli anni settanta, furono al centro della vita della Federazione Anarchica Italiana, ricoprendo importanti incarichi, come la Commissione di Corrispondenza, la redazione del settimanale «Umanità Nova», la Commissione di relazioni internazionali. Più volte Abbate lascia capire di avere avuto regolare frequentazione con loro, e di avere anche simpatizzato con il forte movimento anarchico palermitano degli anni settanta, apprezzandone l’anima libertaria e non dogmatica e la sua capacità di colloquiare orizzontalmente con la città, e ancora oggi riscontriamo, nella sua variegata produzione intellettuale, la stima, priva di preconcetti e pregiudizi, che porta per gli uomini e le idee dell’anarchismo. E se anche la caratterizzazione dei sei Salvatori e delle loro esperienze è accentuatamente paradossale, vi ritroviamo, comunque, gli echi di azioni concrete di cui ancora abbiamo testimonianza. In due dei brani riportati, si narra di uno scontro notturno fra i sei Salvatori e un gruppo di fascisti delle palestre e di una contestazione «controculturale» al Festival Pop che si tenne nel capoluogo siciliano nel 1971. Su quest’ultimo episodio ho rintracciato un raro volantino, addirittura bilingue, distribuito in quell’occasione, felicemente in grado di dimostrare la sostanziale attinenza fra quanto descritto nel romanzo e quanto effettivamente avvenuto.
Vari sono, dunque, i protagonisti di Zero maggio a Palermo, e, a fianco dei nostri anarchici, Ale con il suo desiderio di cambiare il mondo, e Palermo, affascinante e inafferrabile città, piena di misteri e cose straordinarie, amata e abbracciata, felice di essere presa ma anche sfuggente ad ogni comprensione che non sia quella dell’immaginazione. E nel desiderio di Ale di cambiare il mondo, desiderio che passa attraverso l’ingenua adesione a un partito ricco di generosi militanti ma anche burocraticamente ingombrante e oppressivo, la consapevolezza dell’impossibilità di cambiare Palermo, e quindi il mondo. Eppure la necessità di provarci, nonostante l’inadeguatezza degli strumenti a disposizione.
Nel concludere la sua «Nota, tredici anni dopo» l’autore scrive: «Non mi è quasi mai capitato di rileggere il libro per intero, un po’ per pudore o addirittura vergogna, ma anche perché sono trascorsi molti anni dalla storia. [...] Ciononostante, se oggi i Salvatori tornassero a chiamarmi dalla strada dicendo: «Ma che ci stai a fare ancora con quelli lì, dai, vieni con noi!» benché nel frattempo abbia scoperto il disincanto, non esiterei a raggiungerli nel piazzale della vita, perfino in mutande, sventolando magari la loro bandiera, quella dei refrattari che ritengono la libertà e la rivolta valori assoluti, senza comunque dimenticare che per molti uomini e donne essere stati comunisti in Sicilia ha significato credere che la storia possa esistere davvero, nonostante la mafia e la convinzione di quartiere che la terra sia ferma sotto una pioggia lenta e acida».
Così Abbate onora una storia piena di ombre ma anche di grandi luci dedicandola ai compagni della sua vecchia sezione, e io, con lui, dedico questo «Ritratto in piedi» ai due anarchici di Palermo che ancora oggi, con mio grande piacere, collaborano a questa Rivista.

Massimo Ortalli

Nota. Di Fulvio Abbate «A-Rivista» ha pubblicato una breve autobiografia nel n. 288 del marzo 2003. A questa rimando, per maggiori notizie sull’autore e sulla sua attività intellettuale.

 

Cuore di Zundapp
di Fulvio Abbate

Forse adesso Dario, invasato com’è dal pensiero del tesoro, non si ricorda più di Salvatore Cuore di Zundapp, il motociclista anarchico, omonimo di altri sei anarchici, che da qui passava ogni pomeriggio e non ci salutava mai perché aveva fretta di raggiungere l’officina di via Empedocle Restivo. Eppure Cuore di Zundapp era anche suo amico, tiepidamente ma lo era. D’altronde, Salvatore non aveva molto tempo da dedicare ad altro che non fosse la sua moto lucida e immortale. Ci pensano gli altri sei Salvatori a perpetuarne la memoria come fosse un dépliant degli ultimi modelli in commercio. Loro ormai ne hanno preso in appalto il cordoglio, certi come sono che Cuore di Zundapp si trova al sicuro in paradiso, non quello solito, bensì un altro paradiso in tutto simile a un magazzino di concessionaria, il paradiso dei pezzi di ricambio: dove su una scaffalatura lui riposerà beato e lucente accanto a carburatori, marmitte, valvole e ogni altro accessorio meccanico.
Salvatore Cuore di Zundapp, in realtà, nel paradiso pezzi di ricambio non c’è ancora arrivato, ma comunque vi giungerà presto, cioè quando i cappuccini, dentro le loro catacombe, avranno terminato di farlo bello e presentabile di fronte all’Eterno.
Cuore di Zundapp conosceva soltanto le parole più facili, gli era ignoto il termine «irreversibile» che avrebbe accompagnato il referto del suo coma; comunque per lui i motori non avevano segreti. I suoi amici l’avrebbero presto trafugato dall’obitorio, se lo sarebbero portato via di nascosto per consegnarlo proprio ai cappuccini. Avrebbero detto:
«Prendetelo, è il nostro caro Salvatore. Se per cortesia lo fate tornare com’era prima... Grazie».
I frati, in effetti, sarebbero ben lieti di fare questo piacere ai Salvatori. Metterebbero subito Cuore di Zundapp sul tavolo di marmo per cominciarne l’imbalsamazione; forse lavorerebbero scalzi ed euforici di fronte al nuovo arrivato, perché secondo loro Salvatore starà bene tra le mummie dei secoli passati: ufficiali con la feluca, frati, notai, gentiluomini, garibaldini, piccole vergini rivestite con un cartoccio di merletti, e anche un feto cresciuto come un anatroccolo bruciato dal sole. Tutti morti assai antichi del Sette e Ottocento.

 

Come Anarchik
di Fulvio Abbate

Mi mancano i sei Salvatori. Li ho visti davvero poco da quando Cuore di Zundapp non c’è più. Vengono a cercarmi in sezione però si fermano davanti al cancello, restano ad aspettarmi in strada, dove li raggiungo per salutarli con due baci ciascuno. Non è per sospetto che preferiscono tenersi lontano dagli altri compagni, è solo un capriccio della loro irrequietezza inspiegabile. Sono tutti e sei anarchici.
Spesso litigano perché si chiamano tutti e sei Salvatore: non si capiscono e vengono quasi alle mani, ma non decidono mai di stabilire un ordine gerarchico che li faccia chiamare primo, secondo, terzo, come si fa per i calciatori omonimi. Spruzzando con la vernice nera su muri e saracinesche, hanno riempito il quartiere di A cerchiate, che si mostrano accanto ai SUCA segnati dai fessi. I Salvatori cercano di somigliare nell’aspetto ad Anarchik, l’omino con cappellaccio e camicione neri che ghigna nel loro fumetto preferito. Con queste e altre prodezze da qualche tempo hanno costituito il loro circolo sotto i portici.
Stavolta, dopo che ci siamo salutati, mi chiedono:
«Scusa Ale, toglici una curiosità, che ci stai a fare con i comunisti? Lo sai che se continui a frequentare la sezione nessuna ragazza ti guarderà mai? Vieni con noi, dai...»
Ci penso e scopro che mi prendono per il culo: e poi che fatica pendere dalle labbra dell’anarchia, che non si sa mai quando arriva; comincia con la preistoria e si perde in un futuro che i Salvatori descrivono beato; e io dovrei crederci? Poi, se diventassi anarchico, dovrei vestirmi di nero come loro, e magari chiamerebbero Salvatore anche me.
Dicono che già dal tempo delle camicie rosse gli anarchici erano presenti e attivi, e che lo stesso Garibaldi entrava e usciva dagli uffici londinesi della Prima Internazionale e quando incontrava Bakunin si baciavano lungamente. Questo racconto è quello che maggiormente mi tenta, perché io quando penso alla spedizione dei Mille mi commuovo o meglio vorrei esserci stato. Immagino subito i garibaldini che si dedicavano al bel canto nelle case dei notabili liberali palermitani e i loro ufficiali agli avamposti del Cassaro. Peccato che i Salvatori non sono poi così intelligenti non sanno leggere nei miei occhi, loro subito dopo cambiano lusinga dicendomi:
«Cosa vuoi? Diccelo e provvediamo».
E si mettono in attesa di una risposta.

 

Thank you Paliermo
di Fulvio Abbate

Ma improvvisamente ecco una lettera dei Salvatori. Come gli sarà venuto in mente agli anarchici di spedirmi proprio una lettera? Forse si tratta della prima che scrivono. È quindi un fatto veramente eccezionale, dimostra che mi vogliono davvero bene. Parlano soltanto del festival dove sono andati ieri sera. Mi sarebbe piaciuto esserci anch’io alla Favorita, avrei portato ovviamente anche Dario e Silvana. Certo, potremo andarci nel corso della settimana, però non è lo stesso che assistere al giorno d’apertura. Insieme agli anarchici ci saremmo divertiti di sicuro tutti. E invece devo accontentarmi di un racconto scritto.
«Caro Ale, ma che ci fai ancora coi comunisti? Tu e quello scemo di Dario non capite niente. Se venivate ieri sera al Palermo Pop vi sareste divertiti come ci siamo divertiti noi. Se ti raccontiamo quello che abbiamo visto vi prende l’invidia e diventate rossi di rabbia. Siete proprio due stronzi e questo è soltanto un complimento. Ora senti cosa ti sei perduto perché hai preferito stare dietro al tuo amico e ai Beati Paoli. Tra parentesi dovete sapere che questa ragione ci fate pena e chissà che non vi togliamo il saluto. Ma voi lo sapevate davvero che ieri cominciava il festival pop? E lo avete visto Monte Pellegrino illuminato e psichedelico? E magari avete visto pure i manifesti incollati ovunque. Ti stiamo parlando di una cosa importante con tanto pubblico speciale di capelloni e figli dei fiori che dicono fate l’amore non fate la guerra. C’erano pure i tifosi del Palermo e anche se non c’entravano niente, nessuno se l’è sentita di togliergli le bandiere rosanero. C’era pure la zia che sudava perché faceva caldo e loro avevano i caschi e le divise pesanti.
Tutto è cominciato tranquillamente, il bordello è venuto solo quando un cantante americano alla fine della canzone si è abbassato i pantaloni e si è uscito una minchia lunga e nera. Una cosa che non è piaciuta ai palermitani tanto che hanno detto di fargliela vedere a sua sorella. L’hanno pure arrestato portandoselo via coi pantaloni ancora abbassati tanto che non poteva camminare e gli sbirri dovevano trascinarlo e dargli pugni nei fianchi tanto per gradire. Ovviamente in mezzo al pubblico c’erano pure molti compagni che ogni tanto si stufavano delle canzoni e cominciavano a gridare diciamo basta diciamo basta come fanno quelli senza tetto davanti al municipio quando si riunisce il consiglio comunale e intanto non ci sono case scuole e ospedali nei quartieri popolari. E qui si parla si parla e intanto noi moriamo di sete e di fame. La musica però riprendeva e nessuno diceva più niente solamente suca ogni tanto. Il pubblico giovanile era tanto e tutti pieni di carinerie tipo buongiorno ti voglio bene e baci in bocca e nessuno voleva fare la guerra ma soltanto l’amore. Come lo fanno gli ippi che avevano tatuate le margherite sulla fronte e quindi erano guardati di traverso dagli sbirri che dicevano questi sono tutti drogati dalla testa ai piedi. Noi che eravamo vestiti di nero siamo riusciti a entrare a gratis e nessuno se n’è accorto proprio perché c’era già così buio che per entrare a gratis bastava evitare i riflettori. Subito ci siamo messi insieme agli altri compagni. Ma non c’erano soltanto anarchici c’erano pure comunisti di ogni tipo. Noi dopo un po’ c’eravamo già rotti la minchia e allora abbiamo deciso che non era giusto divertirsi mentre Valpreda stava chiuso in carcere. Per questo motivo abbiamo cominciato a gridare anche noi diciamo basta diciamo basta e poi ci siamo messi a lanciare sacchetti di sabbia contro il palco dove uno stronzo continuava a cantare. Siamo riusciti a fare una tempesta con tutta quella sabbia che sembrava a un certo punto di stare nel deserto. Tutti scappavano e si coprivano gli occhi accecati e sbattevano tra di loro e si rotolavano senza volerlo. I1 presentatore ha tentato di fermare tutto dicendo ragazzi per carità così succede una carneficina ma non diceva fate l’amore non la guerra. Ma intanto un commissario se n’è fregato di quello che diceva il presentatore e così gli sbirri hanno caricato con i manganelli e gli scudi di plastica per ripararsi dalla sabbia e dagli sputi. Noi come ammaestrati a questo punto abbiamo cominciato a correre e loro dietro e noi a ridere e loro a bestemmiare. Alla fine chi le ha prese non c’entrava nulla e nel fuggi fuggi qualcuno s’è rotto la gamba e qualcuno la testa e qualcuno s’è strappato i vestiti mentre Monte Pellegrino allegramente guardava la scena e se ne fregava. Pure che s’erano messi a fare l’amore hanno preso certi colpi di manganello sul culo e la schiena come regalo. E piangevano ancora quando è tornata la calma. E poi il presentatore ha il coraggio di dire che le forze dell’ordine sono nervose e bisogna comprenderle visto che sono in piedi da stamattina e forse preferirebbero stare altrove. A questo punto chi la salva più la situazione? Mentre i feriti vengono accompagnati fuori all’ospedale e se ne vanno zoppicanti e continuano a piangere.
Arrivati a un certo punto s’affaccia sul palco uno che non si sa chi è. Sembrava una seppia enorme anzi una foca con una collana d’oro col medaglione, l’orologione e l’anello sempre d’oro al mignolo. Si mette a cantare con una voce che sembra quella di uno che borbotta e rutta perché ha mangiato troppo. Fatto sta che questa cosa che sembra un pachiderma riesce a fare tornare il silenzio mentre gli squaglia il grasso della panza. Tanto che noi diciamo ma chi è la madonna nera di Tindari? Gli basta un gesto del mignolo con l’anello d’oro per fermare il bordello. Così gli sbirri tornano composti e noi pure ci alziamo in piedi dicendo ma questo chi l’ha visto mai? I1 pachiderma ha capito che qui non si scherza coi cazzi e deve risolvere al più presto la situazione perché se non la risolve lui non la risolve nessuno e dice thank you Paliermo tank you very much Paliermo. Poi va sul bordo del palco per salutare meglio il pubblico ma quelli che stanno lì sotto appena lo vedono si tolgono perché dicono se questo cade giù ci ammazza tutti l’avete visto quanto pesa, è tutto sugna. Però nemmeno a crederci il pachiderma se ne viene fuori con una sorpresa. Si mette a cantare l’Internazionale e a nessuno di noi ci sembra vero e siamo subito tutti felici mentre gli sbirri si mangiano il fegato telefonano alla questura e chiedono che dobbiamo fare? L’orco marino ha cantato e ruttato proprio l’Internazionale e noi l’abbiamo salutato coi pugni chiusi che si alzavano e placavano la tempesta boreale dei sacchetti di sabbia. Mentre cantava il pachiderma si gonfiava sempre di più come un orco marino e sollevava la testa. Così il pubblico ha potuto vedere che c’aveva veramente le branchie nascoste dentro il doppiomento. Poi ha ipnotizzato tutti con la luce del brillante che aveva al mignolo. E noi ci siamo messi a dondolare con gli occhi drogati nel vuoto. Perfino Monte Pellegrino si è fatto fioco e nessuno ha avuto più la forza di applaudire mentre il pachiderma finiva di cantare e se ne andava rimbalzando come un pallone sulla sabbia. Dice che si chiama Barry White ed è il cantante del futuro ma noi non l’abbiamo mai sentito nominare. E tu Ale come ti saresti divertito. Salvatore Salvatore Salvatore Salvatore Salvatore Salvatore.»

 

Laterizi democratici
di Fulvio Abbate

Soltanto gli anarchici, non molto tempo addietro, li hanno incontrati nel tratto di strada in cui via Abruzzi si divide in due corsie. Ci hanno poi raccontato che i fascisti sparavano ad altezza d’uomo con la lanciarazzi: ed erano saette velenose che ferivano soltanto l’aria. Ovviamente i Salvatori non hanno fatto finta di niente, e, senza pensarci troppo, hanno accettato la provocazione e quindi lo scontro.
Che è cominciato con una sassaiola, ma di sassi non se ne trovavano, allora i nostri amici hanno fatto ricorso ai laterizi accatastati nel cantiere di un edificio in costruzione; e che rumore d’inferno facevano quei mattoni cadendo, si spaccavano in mille pezzi, quindi i fascisti dovevano cercare riparo dietro le auto parcheggiate, nel mezzo di un’ecatombe di parabrezza, vetrine, insegne, cartelli che andavano in frantumi; e i fascisti carponi a tentare di ripararsi, e i Salvatori a dargli addosso con certe mazze di legname da costruzione, armi mediate lì per lì, fornite dagli stessi edili che intanto s’erano affacciati dai ponteggi per incitare all’antifascismo militante, e certamente se la situazione si fosse messa male per gli anarchici, gli edili sarebbero intervenuti gettando calce viva e fumante. Perché gli edili palermitani – anche se sono costretti a distruggere e costruire sui prati di ossa, e sui giardini degli emiri – non sono fessi, pure loro sanno del colpo di Stato, e hanno conosciuto la faccia velenosa di chi nel ‘60 dette l’ordine alla polizia di sparare, uccidendo qui a Palermo il compagno Vella della sezione Montegrappa e poi due ragazzini che avevano ancora le facce degli orsacchiotti.
A un certo punto uno dei fasci ha tentato una sortita ricorrendo alle arti marziali: s’è staccato dal gruppo urlando come un ossesso, comunque non gli è andata bene perché gli anarchici prima l’hanno fatto avvicinare, e quando se lo sono trovato davanti gli hanno tirato in faccia il suo stesso secchio di colla dimenticato all’angolo di via Umbria. Il fascista sembrava annegato dentro il bianco d’uovo, dopo il gesto inatteso dei Salvatori, non vedeva più nulla e gridava inferocito, prometteva vendette, e bestemmiava contro i suoi capi che non potevano intervenire perché la pioggia di laterizi democratici continuava a tempestarli senza sosta. Anche gli edili si erano messi a combattere, e gridavano ai fascisti cornuti e altri insulti. La lanciarazzi era ormai scarica, e intanto i Salvatori potevano castigarli e per scherno mettersi a ballare e spernacchiarli. Mentre gli edili ballavano sulle impalcature del fabbricato che stavano costruendo. Lo immagino il livore dei fasci, mica fasci qualunque, ma cinture nere dell’alto sottoproletariato stagionato in palestra e al bigliardino, elementi guasti che passano i pomeriggi in un seminterrato al neon per imparare le mosse del judo e poi gridano in coro: «Camerata... Presente!» E poi vanno dalle puttane di piazza Borsa.
E adesso sei anarchici, traditori dell’alto sottoproletariato, grazie all’aiuto dei compagni edili, riuscivano a bloccarli con un diluvio di materiali da costruzione: laterizi, refrattari, tufo, ceramiche, calce, sputi, insomma tutto il campionario. Ma c’è di più, perché i Salvatori, nonostante il tafferuglio, continuavano a raccontarsi i fatti loro: parlavano di me e di Dario, dicendosi: «Proprio simpatici quei due comunisti, peccato che adesso non ci sono. È stata una buona idea presentare Silvana ad Ale, anzi, più tardi lo chiamiamo per sapere come gli va, si, più tardi andiamo a trovarlo».
E intanto la Giovane Italia s’allontanava, i fasci erano proprio costretti a volare via dal piazzale dopo la prova di forza titanica dei Salvatori che quest’arte della potenza non l’hanno appresa in nessuna polisportiva. Perché gli anarchici massacrano senza vanità atletiche, gli anarchici sono gli stessi che in Spagna, nel ‘37, facevano il tiro a segno contro la statua di Gesù di Madrid. Gli anarchici non pensano di dover somigliare al discobolo che cerca l’eleganza nel disegno dei muscoli sul corpo, gli anarchici guardano il bersaglio e non piangono, si tengono le lacrime per quando Palermo si chiamerà Giusi. E intanto i fasci scappavano fuori dal quartiere, e i sei Salvatori dietro, ululanti come lupi, chissà dove hanno imparato a ululare i Salvatori? Ululavano così bene da far gelare di paura i condomini di via Sardegna e pure i fasci cercavano di nascondersi dentro l’unico bar rimasto aperto. Mentre il quartiere sprangava le porte di fronte all’uomo lupo, temendone il ritorno che fa paura...
Non un solo esercente dava più ricovero ai fasci, che erano costretti a nascondersi in un garage, certi di trovarsi ormai al sicuro, ma agli anarchici è bastato annusare l’asfalto per raggiungerli rotolando come pietre.

Brani tratti da: Fulvio Abbate, Zero maggio a Palermo, Baldini&Castoldi, Milano, 2003

Volantini e documenti


Il Festival Pop è:

L’occasione che la società ha creato per strumentalizzare i movimenti di contestazione:

Condizionandone i comportamenti,

Creando una fittizia atmosfera di libertà all’interno della quale si favorisce l’azione di repressione degli organi di Stato.
Non una lotta contro la polizia perché incarcera un compagno, ma perché organo della repressione di Stato.
Non una lotta contro il biglietto di ingresso, espressione di privilegio, ma contro l’organizzazione di questo Pop, che trasforma i raduni dei giovani in speculazioni.

Esiste un’autorganizzazione sociale cancellatrice di ogni forma di autentica libertà:
LO STATO

Palermo 7/9/’71


Assodato che questa vita sociale si svolge secondo un copione ben prestabilito da chi comanda; non c’è dubbio: la vita è teatro!

Teatro nel quale tu sei “libero” di fare solamente ciò che ti impone il copione.
Anche il fascista è libero come te di essere schiavo di uno Stato.
II fascista vuole uno Stato forte ed autoritario quindi un copione, molti altri vogliono altri Stati quindi altri copioni.
Ti sei mai chiesto se per la tua effettiva libertà esiste una reale differenza tra i copioni?

Esci dal teatro
distruggi qualunque copione
realizza te stesso.

Gli anarchici
Palermo 27/11/71


Omaggio ai bravi & buoni studenti della facoltà di Agraria
Per inaugurare il “Nuovo” semestre di lezioni abbiamo pensato di dedicarVi questa poesia scritta nel 1901 da un certo Signor Malfatti, la cui Eredità Culturale è stata sicuramente recepita e portata avanti (con impegno) dal Nostro Caro nonché Brillante Ministro della Pubblica Istruzione F. M. (Franco Maria, Ndr) Malfatti.
Firmato
Nucleo Studenti Pentiti

Poesia
“Il bravo fanciulletto va diligente a scuola;
legge nel suo libretto, scrive qualche parola.
Impara a far di conto; chiamato è sempre pronto,
e nell’ora di spasso gioca senza far chiasso.
Del fanciulletto attento il maestro é contento;
e a casa il fanciulletto trova carezze e affetto”.
Malfatti

P.S.: mamme, papà, fratelli e sorelle maggiori lo giuriamo al cospetto della dea normalità che… non lo facciamo più.
Nucleo Studenti Convertiti (ex pentiti)
Palermo s.d.