rivista anarchica
anno 34 n. 296
febbraio 2004


storiografia

Alcune schede tratte dal «Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani»

Barbieri, Pompeo Scipione
Nasce a Mezzana, frazione del comune di San Giuliano Terme (Pi), l’8 ottobre 1881 da Carlo e Angela Morganti, operaio perforatore. Giovanissimo si avvicina agli ideali anarchici e diventa in breve tempo un buon propagandista. Sue conferenze sono già segnalate nel 1907 in diverse località della Toscana. Da quell’anno fino al 1910 lavora allo stabilimento fiat di La Spezia, in questo periodo diventa un assiduo collaboratore del settimanale «Il Libertario» e stringe amicizia con Pasquale Binazzi e Zelmira Peroni. Partecipa al III convegno degli anarchici toscani (Pisa 26 dic. 1910). Nel 1911-12 è particolarmente attivo nelle campagne antimilitariste e tiene diverse conferenze e comizi in provincia di Pisa e Livorno contro la Guerra italo-turca. Collabora al settimanale «L’Avvenire anarchico» e prende parte al V convegno fra gli anarchici della Toscana (Pisa mag. 1914), dove viene nominato segretario della neo costituita Unione Anarchica Toscana, incarico che però lascia nel mese di settembre. Nello stesso anno è chiamato dai gruppi della Carnia a tenere un giro di conferenze di propaganda in provincia di Udine. Deciso oppositore dell’intervento italiano nella Grande Guerra, nel maggio del 1915 viene arrestato a Pisa per aver partecipato a una manifestazione antinterventista non autorizzata, rimanendo in carcere per due mesi. Alla fine del 1919, per motivi di lavoro, torna a risiedere a La Spezia, dove riprende la collaborazione con «Il Libertario», entrando nella redazione insieme a un altro pisano, Mario Lami. B. prende parte alle lotte operaie del Biennio rosso e alle prime azioni armate contro il fascismo. Dopo l’ennesimo arresto nel febbraio 1923 decide di emigrare clandestinamente a Marsiglia dove prosegue la sua attività di agitatore, particolarmente impegnato nella campagna pro Sacco e Vanzetti. Trovato un impiego come operaio ai cantieri navali di Seyne-sur-Mer muore per un incidente sul lavoro il 15 giugno 1928. (F. Bertolucci)
Fonti: ACS, CPC, ad nomen; Pompeo Barbieri, «La Diana», Parigi, 1° ago. 1928;
Bibliografia: ACPC, ad nomen.

Unione Anarchica Valdarnese (1920 circa)

Caleffi, Giovannina
Nasce a Gualtieri (RE) il 4 maggio 1897 da Giuseppe e Caterina Simonazzi, agricoltori, genitori di cinque figli. Il padre emigra a Pittsburgh (Usa) insieme al figlio maggiore. Giovannina (comunemente chiamata Giovanna) frequenta la scuola a Gualtieri e, dal 1914, a Reggio Emilia dove si trasferisce per completare gli studi. Frequenta il circolo socialista assistendo ad alcune conferenze di Camillo Prampolini, sentendosi socialista a sua volta. A 15 anni perde la fede cattolica sostenendo parecchie discussioni in famiglia. Ha come insegnante Adalgisa Fochi, scrittrice conosciuta e attiva conferenziere nel circolo femminile socialista. Consegue la licenza nel 1915 e comincia a insegnare nella scuola elementare a Santa Vittoria di Gualtieri (RE) prima, e l’anno dopo, già di ruolo, presso le scuole elementari di Montecchio Emilia (RE). In quello stesso anno conosce C. Berneri, figlio della sua insegnante Fochi, studente liceale iscritto alla FGS (organizzazione che lascerà nel 1916 avvicinandosi a posizioni anarchiche). Camillo si trasferisce ad Arezzo, dove la mamma insegna, e Giovanna lo raggiunge dopo circa un anno. I due si sposano il 4 novembre 1917 a Gualtieri, con il consenso dei genitori perché entrambi minorenni. Il 1° marzo 1918, assente Camillo richiamato alle armi e quindi inviato al confino, nasce la primogenita della coppia Maria Luisa. Successivamente la famiglia si trasferisce a Firenze. Qui, il 5 ottobre 1919, nasce la seconda figlia Giliana. La loro casa diventa punto di riferimento di compagni anarchici e dell’antifascismo. Fra i molti amici e conoscenti ci sono: Gaetano Salvemini e i promotori del Circolo di cultura fiorentino fra cui Piero Calamandrei, i fratelli Rosselli, Ernesto Rossi, Piero Jahier. Giovanna fino a questo momento si è occupata dell’educazione delle figlie. Non si impegna direttamente nella militanza e tuttavia vive i disagi dell’appartenenza all’anarchismo del marito. Nelle sue memorie ricorda che Camillo diceva di lei a Salvemini: «non è anarchica nel senso di essere una militante, però accetta le mie idee e le condivide in gran parte». Con l’avvento del fascismo cominciano per la famiglia le pressioni della polizia. Camillo subisce due aggressioni. Impossibilitato a continuare l’insegnamento per il rifiuto di giuramento al regime, è costretto a espatriare nell’aprile del 1926. Giovanna trascorre insieme alle figlie e alla suocera alcuni mesi presso la casa paterna a Gualtieri, e il 1° agosto dello stesso anno, varca la frontiera a Ventimiglia in maniera fortunosa. La famiglia si riunisce e va ad abitare alla periferia di Parigi in una casa a Saint-Maur-des-Fossés. La vita scorre tra grosse difficoltà finanziarie. Nel 1929 il marito cade nel tranello approntato dalla spia dell’Ovra, Ermanno Menapace, che gli è diventato amico carpendone la stima. Per questo motivo subisce una serie di arresti ed espulsioni che lo conduce a una travagliata peregrinazione attraverso l’Europa. C. prende le sue difese, scrive ai compagni, si rivolge all’avvocato Paul De Bock di Bruxelles, si accolla il peso di mantenere la famiglia. Nel 1933, grazie all’aiuto di sua sorella, e consigliata da Louis Lecoin, apre una drogheria in rue de Terre-Neuve, 20, il cui retro diviene rifugio dei fuorusciti anarchici. Questa sua attività, e l’essere moglie di Berneri, comportano per lei un’attenta sorveglianza da parte delle autorità. Il 2 dicembre 1934, il Ministero dell’Interno francese chiede informazioni politiche su di lei alla Prefettura di Milano, in seguito ad accertamenti su Maria Bibbi, sua amica, che risulta lavorare nel negozio. Il momento è propizio al nazifascismo: in Italia sta per cominciare l’avventura etiopica e la Guerra di Spagna è alle porte. Camillo parte per cercare di liberare la Catalogna e Giovanna è di nuovo sola a occuparsi delle bambine. Ben presto i contrasti tra anarchici e comunisti in Spagna portano all’eliminazione sistematica di chiunque si opponga alla ferrea egemonia staliniana. Berneri è assassinato, assieme a Francesco Barbieri, dai comunisti il 5 maggio 1937 a Barcellona. Giovanna accorre al funerale con la figlia Maria Luisa. Il dolore per la perdita del marito la spinge ad abbracciare le sue idee sostituendosi a Camillo nella corrispondenza con gli anarchici d’America che chiedono contributi per le varie iniziative. Assiste i compagni italiani che, espulsi dalla Francia, vengono internati nei campi di concentramento. Un suo appello è pubblicato senza firma, per motivi di sicurezza, su «L’Adunata dei refrattari» nel 1939, tradotto e diffuso sulla stampa da Emma Goldman. Si fa promotrice a Parigi, del Comitato «C. Berneri» e nel 1938 pubblica una raccolta di scritti del marito dal titolo Pensieri e Battaglie, con prefazione della stessa Goldman. Negli anni continua a mantenere vivo il ricordo di Camillo, scrivendo articoli su giornali, riviste, e difendendone la memoria. Scoppia la Seconda Guerra mondiale, l’esercito tedesco occupa la Francia, e per ordine delle autorità consolari fasciste a Parigi, viene arrestata il 28 ottobre 1940 e resta tre mesi nel carcere de La Santé. Nel febbraio 1941 viene deportata in Germania e rimane in prigione cinque mesi. Dopo alcuni trasferimenti in varie carceri tedesche, è condotta in Austria per essere consegnata alle autorità italiane. È inviata al carcere di Reggio Emilia e condannata il 25 agosto a un anno di confino a Lacedonia (AV), «per aver svolto all’estero attività sovversiva dimostrandosi elemento pericoloso per gli ordinamenti politici dello Stato». Scontata la pena si dà alla latitanza nell’Italia meridionale perché, ritornata a Gualtieri, le viene negato il passaporto per la Francia con il timore che riprenda l’attività sovversiva. Si ritrova con Cesare Zaccaria, amico di vecchia data della famiglia, e va a vivere con lui nel febbraio del 1943. Finita la guerra la nuova coppia collabora alla rinascita del movimento anarchico insieme ad Armido Abbate, Pio Turroni e altri. I due pubblicano il giornale clandestino «La Rivoluzione libertaria» (1944), il giornale «Volontà», che in seguito alle decisioni del Congresso di Carrara (1945) è sostituito dalla rivista «Volontà», alla quale collaborano Silone, Camus, Salvemini ecc. e a cui C. dà un contributo fondamentale. Pensa che la cosa più importante da fare sia quella di attualizzare l’anarchismo, a dieci anni dall’uscita di «Volontà», scrive: «Non si tratta di una rivista fatta da intellettuali, da gente colta, dalla penna facile per i quali lo scrivere è un piacere o una professione. «Volontà» è messa insieme, in generale, con il modesto contributo di lavoratori che sentono impellente il bisogno di esprimere la loro critica anarchica alla società ed agli avvenimenti attuali e di inserirvi le loro idee di rinnovamento sociale e di giustizia». Rilevante rimane la lettera che scrive, da Napoli il 12 aprile 1945, ai compagni della FCL di Livorno in cui mette in discussione l’opportunità di adesione da parte della locale federazione al Cln, come proponeva la stessa, ricordando ai compagni l’esperienza spagnola. Intensa anche l’attività editoriale, cura le edizioni RL e la Collana Porro dando alle stampe numerose pubblicazioni: da Malatesta a Volin, da Fabbri a Carlo Doglio. Affronta la campagna a favore del controllo delle nascite, insieme a Cesare Zaccaria, con la pubblicazione di un opuscolo Il controllo delle nascite (1948), immediatamente sequestrato, contenente una raccolta di articoli apparsi nel 1947 su «Volontà», che dimostra come l’eccesso della popolazione sia uno dei principali mali che affligge molti paesi e in particolare l’Italia. I due sono processati per propaganda contro la procreazione e assolti entrambi con formula piena nel maggio del 1950. Scrive su varie testate anarchiche e no: «Umanità nova», «L’Adunata dei refrattari», «Controcorrente» di Boston; «Il Mondo», «Il Lavoro nuovo» di Genova ecc. Nell’estate del 1948 concretizza un progetto a lei molto caro: assicurare vacanze a bambini di «compagni del Sud» presso «famiglie del Nord Italia». Questo esperimento pilota, in attesa di fare qualcosa di meglio, continua nell’estate 1949. Nell’aprile dello stesso anno, deve superare il secondo e più grande dolore della sua vita: la morte della primogenita Maria Luisa di 31 anni. È così deciso tra quelli che vogliono onorarne la sua memoria con un’opera libera e benefica, di fondare una colonia per bambini a suo nome, con sede in Italia, ma aperta ai figli di anarchici di tutti i paesi. L’idea primaria è di realizzarla a Cesenatico, ma l’impresa non si concretizza a causa della modesta somma raccolta. Il 1° luglio 1951, la colonia diviene una realtà, anche se più modestamente, grazie a Zaccaria, che mette a disposizione la sua casa di campagna a Piano di Sorrento, ospitando tre gruppi di tredici bambini. Quest’esperienza positiva dura sette anni, concludendosi nell’estate del 1957, con un deficit di Lit. 112.419 e senza la disponibilità della casa di Piano di Sorrento (a causa della fine del rapporto con Zaccaria). Si stabilisce a Genova Nervi nel 1956, dove trasferisce anche la sede amministrativa di «Volontà», dal gennaio 1959 (n. 1), anche la pubblicazione avviene a Genova Nervi. In questo numero viene pubblicata la lettera di Zaccaria che spiega il suo abbandono del Movimento anarchico e della rivista, seguita da una nota di redazione. Giovanna non vuole rinunciare a proseguire l’esperienza positiva della colonia e tenta di sollecitare compagni e amici arrivando dopo varie peripezie, all’acquisto di un terreno nella pineta di Ronchi (MS) a 700 metri dal mare: nasce così la Comunità «Maria Luisa Berneri», adoperandosi con abnegazione fino alla sua morte. La Colonia continua per altri tre anni con le quattro persone che costituiscono il nuovo gruppo della Comunità, dopo la rinuncia della figlia Giliana, unica erede. Giovanna muore tra le braccia di Aurelio Chessa il 14 marzo 1962, per scompenso cardiaco, mentre sta uscendo dall’ospedale di Genova Nervi, dove è stata ricoverata per una grave malattia. (F. Chessa – G. Sacchetti)
Fonti: ACS, CPC, ad nomen; ivi, Berneri Camillo; ivi, Berneri Giliana; ivi, Berneri Maria Luisa; ivi, Zaccaria Cesare; AFBC, Epistolario, Giovanna Caleffi; ivi, Fondo Serge Senninger: Memoria ms. di Giovanna Caleffi; ivi, Epistolario Cesare Zaccaria; ivi, Memoria orale di Celestino Caleffi 1998; ivi, Memoria scritta di Suzanne Képès, dic. 1998; ivi, Memoria orale di Serge Senninger, 7 set. 2002; ivi, Fondo Colonia M.L. Berneri; ivi, Fondo Aurelio Chessa; ivi Fondo Vernon Richard; G. Bianco, Ricordo di Giovanna Berneri, «Il Lavoro Nuovo», Genova, 15 e 16 mar. 1962; È morta Giovanna Berneri, «Avanti!», 16 mar. 1962; «un», 25 mar. 1962; «Freedom», march 24 1962; Giovanna Berneri, «Controcorrente», Boston, mar.-apr. 1962; U. Marzocchi, Giovanna Berneri, «Volontà», apr. 1962; Quelli che ci lasciano, «Ar», 5 apr. 1962.
Bibliografia: Scritti di C. (con C. Zaccaria e indicata come G. Berneri): Società senza stato, Napoli 1946; Controllo delle nascite. Mezzi politici per avere figli solo quando si vogliono, Milano 1955. Scritti su C.: F. Montanari, Giovanna Caleffi, «L’Almanacco», Reggio Emilia, n. 31, 1998; F. Chessa, Italia: le donne di casa Berneri, Giovanna Caleffi, «BAP», n. 12, 1999; G. Boccolari, F. Chessa (a cura di), Storie di anarchici e anarchia – L’Archivio Famiglia Berneri – Aurelio Chessa, catalogo della Mostra, Reggio Emilia, 11 mar.-9 apr. 2000.

Giovanna Caleffi con le figlie Maria Luisa (alla sua destra) e Giliana Berneri

Cannito, Sante
Nasce ad Altamura (Ba) il 28 giugno 1898 da Graziantonio e Anna Rosa Bellacicco, maestro muratore. In un paese che agli albori del Novecento conta oltre l’80 per cento di analfabetismo, C. riesce a terminare gli studi elementari, si appassiona alla storia e l’approfondimento di questa sua passione si trasforma nel tempo in scelta politica di stare dalla parte dei più deboli. Allo scoppio del primo conflitto mondiale viene inviato nelle trincee del Friuli e, con l’avvento del fascismo («che fu la fame per tutti i lavoratori», come ha scritto nei suoi Frammenti) si trasferisce per due anni a New York. Il contatto con l’ambiente industriale americano, la vita condotta nel quartiere di Brooklyn in una casetta di legno (proprio sotto il famoso ponte) che condivide con il padre, i problemi che gli emigrati si trovano ad affrontare, il lavoro come muratore che lo porta a contatto con altri emigrati di varie origini, la miseria e l’oppressione, contribuiscono a fargli maturare quelle idee di giustizia sociale, poi affinate con la lettura dei testi di Kropotkin (La conquista del pane) e de «Il Martello» di Carlo Tresca che gli aprono nuovi orizzonti. La sua adesione al sindacalismo degli IWW e la condanna a morte di Sacco e Vanzetti maturano definitivamente C. alle idee anarchiche. Ritorna in Italia, ancora sotto il tallone fascista, ed è attivo nella sua Altamura dove il regime mette in atto l’isolamento dei suoi oppositori (socialisti e anarchici vengono perseguitati, controllati e repressi). Nelle fasi cruente della liberazione C. allaccia i rapporti con Tommaso Fiore e altri antifascisti, restando sempre fermo nelle sue idee libertarie. Dopo la liberazione, nel luglio del 1945, partecipa al convegno dei Gruppi Libertari Pugliesi e negli anni successivi sarà sempre attivo nell’opera di sensibilizzazione sociale sul territorio in occasione di eventi importanti come le occupazioni delle terre da parte dei contadini. Nel dopoguerra partecipa al movimento delle cooperative della sua città dove contribuisce a creare la Muratori ed Affini il cui statuto presenta caratteristiche e finalità libertarie, motivo per cui è invisa ai partiti e, nonostante all’inizio ottenga degli appalti per i lavori di ricostruzione ad Altamura, nel 1948 è costretta a sciogliersi a causa degli ostracismi del potere locale. C. continua nel suo lavoro di maestro muratore, mentre sul piano sociale è attivo nella battaglia contro il tentativo militare di installare i missili nella zona tra Altamura e Gravina (1960-63). Negli anni Settanta sull’onda delle lotte operaie e studentesche si registra anche ad Altamura una presenza anarchica organizzata che vede C. partecipare al lavoro e alle discussioni politiche con entusiasmo insieme alle giovani generazioni, in un rapporto aperto e comunicativo, disponibile al dialogo. Muore il 4 maggio 1994, all’età di 96 anni, mentre è ospite di un suo nipote a Isernia. (F. Schirone)
Fonti: P. Castoro, Sante Cannito. Un uomo lungo un secolo, «UN», 22 mag. 1994; B. Tragni, L’ultimo anarchico è andato a concimare la terra, «La Gazzetta del Mezzogiorno», inserto cultura, 8 mag. 1994.
Bibliografia: S. Cannito: Frammenti di storia Altamurana, Altamura 1980 (1994, 3ª ed.).

Giuseppe Ciancabilla

Del Papa, Ugo
Nasce a Carrara (MS) il 18 settembre 1875 da Romualdo e Lucia Pracchia, ornatista. Vicino all’anarchismo fin da giovanissimo e «caldo propugnatore di quelle delittuose teorie» secondo la definizione della Prefettura di Massa, il 22 agosto 1894 viene condannato a cinque mesi di carcere e una multa per grida sediziose. Dopo un periodo di emigrazione a New York, torna a Carrara nel 1911 per divenire «malgrado la sua mal ferma salute, l’anima del partito anarchico locale»: infatti fino al 1915 è protagonista assoluto, al fianco di Alberto Meschi, delle vittoriose battaglie combattute dal proletariato apuano sotto la bandiera della locale CdL, della quale è vice-segretario. La sua opera, insieme a quella del segretario Meschi, è infatti determinante per la riorganizzazione della massima istituzione operaia apuana, uscita pressoché distrutta dalla serrata padronale del 1905 e da quel momento in poi condannata a una stentata sopravvivenza fino a tutto il 1910. L’arrivo di Meschi, unito all’ascendente di Del Papa negli ambienti libertari carraresi e all’iniziale appoggio del locale Psi, fanno letteralmente rifiorire la CdL della regione dei marmi, dando inizio ad una lunga serie di importanti affermazioni operaie. Nell’estate del 1911 arrivano i primi miglioramenti delle condizioni di lavoro dei cavatori a seguito di uno sciopero durato due settimane; un anno dopo ha luogo il grande sciopero di tutti i lavoratori del marmo per l’ottenimento della pensione, conclusosi con una storica affermazione; nella primavera del 1913 tocca ai lavoratori del piano di Carrara, Massa e Versilia conquistare l’orario unico di otto ore; poi, fra la fine del medesimo anno e l’inizio del 1914, la CdL è chiamata a difendersi da una spietata quanto pretestuosa serrata padronale tesa a distruggerla, come accaduto nel 1905 e da una misteriosa quanto innocua esplosione avvenuta nel cortile di una caserma dei carabinieri a Carrara, della quale vengono ingiustamente accusati alcuni dirigenti camerali, fra cui lo stesso D., Meschi e Riccardo Sacconi. Arrestati e poi inevitabilmente scarcerati i tre e conclusasi la serrata, stavolta la CdL, ben più forte di quanto non lo fosse nove anni prima, riesce a sopravvivere senza danni. Nel medesimo periodo D. è redattore sia de «Il Cavatore» (organo di stampa della CdL) che de «Il ’94» (periodico anarchico locale), ambedue fondati nel 1911 a ulteriore testimonianza della rinascita del movimento operaio nei paesi del marmo. A causa della sua sempre cagionevole salute, aggravatasi in seguito a lunga detenzione nel carcere di Massa nel corso del 1912 inflittagli per «eccitamento all’odio di classe», si ammala di tubercolosi e muore a Carrara il 1° giugno 1916. (M. Giorgi)
Fonti: ASMS, Questura di Massa, Sovversivi deceduti, ad nomen.
Bibliografia: H. Rolland, Il sindacalismo anarchico di Alberto Meschi, Firenze 1972; L. Gestri, Capitalismo e classe operaia in provincia di Massa-Carrara, Firenze 1976, ad indicem; A. Bernieri, Storia di Carrara moderna (1815-1935), Pisa 1983; M. Giorgi, Alberto Meschi e la Camera del Lavoro di Carrara (1911-1915), Carrara 1998.

Emilio Canzi (a sinistra) e Giuseppe Mioli in Spagna

Garino, Maurizio
Nasce a Ploaghe (SS) il 1° novembre 1892 da Michele e Nicoletta Chiglioni, operaio. Nel 1895 la famiglia si trasferisce a Torino e nel 1900 a Cassine (AL). Dopo le scuole elementari e una breve permanenza in un collegio religioso G. inizia a lavorare come apprendista falegname, diventando poi modellista meccanico. Ritornato a Torino nel 1906, nel 1908 aderisce al Fascio Giovanile Socialista Torinese. Di orientamento astensionista, si avvicina all’anarchismo durante l’agitazione pro Ferrer, nell’autunno 1909. Agli inizi del 1910 G. è, con Ferrero, uno dei fondatori della Scuola Moderna, una sorta di circolo culturale finalizzato alla formazione culturale e politica dei militanti operai, che pubblica anche un proprio bollettino semestrale. Attivo nella campagna contro la guerra tripolina, dopo la firma della convenzione tra la Fiom e il Consorzio automobilistico torinese (gen. 1912) duramente contestata dai disorganizzati perché in cambio del «sabato inglese» aboliva le tolleranze e introduceva la trattenuta sindacale obbligatoria, G. aderisce al nuovo SUM, sorto per opera dei sindacalisti rivoluzionari, e partecipa allo sciopero proclamato dal SUM, risoltosi dopo più di due mesi con una grave sconfitta. L’esperienza negativa della divisione sindacale lo induce a farsi portatore nell’ambito del Fascio Libertario Torinese, insieme con Ferrero, della scelta unitaria a favore della fiom, anche dopo la costituzione, nel novembre 1912, dell’usi. Il grande conflitto nel settore d’auto della primavera 1913, risoltosi favorevolmente per la Fiom, segna l’eclissi del SUM, a cui farà seguito una sezione torinese dell’usi guidata da Ilario Margarita. Nel giugno 1914 G. ha un ruolo di primo piano negli scioperi della Settimana rossa. Arrestato per «violenza privata, minaccia e porto d’arma», viene tuttavia prosciolto. Lo scoppio della guerra lo vede su posizioni rigidamente antiinterventiste. Il suo attivismo politico e sindacale lo costringe a cambiare continuamente posto di lavoro (Fonderie Subalpine, Acciaierie Fiat, Officine Savigliano ecc.). Dichiarato abile (anche se riformato alla visita di leva), ottiene l’esonero come «operaio specialista». Contrario alla partecipazione al Comitato di mobilitazione industriale, la sua intensa partecipazione ad azioni rivendicative gli costa l’esonero (ma verrà poco dopo nuovamente riformato) e il posto di lavoro. Tra un licenziamento e l’altro, è sempre in prima fila nelle agitazioni e partecipa ai moti torinesi dell’agosto 1917. All’interno della Sezione torinese della Fiom è, con Ferrero, tra gli oppositori della linea sia della segreteria sezionale che di quella federale e lo scontro di tendenze si fa così acceso che, in occasione del Convegno Regionale Metallurgico del 22 settembre 1918, si deve ricorrere al referendum di lista per la nomina dei delegati. Ma, soprattutto, ai riformisti appare «strano che nei delegati a questo convegno si debba includere dei compagni anarchici (quale Garino) che non possono essere favorevoli che alla assoluta autonomia della Organizzazione» (C. Artesani, Ai compagni, «La Squilla», 12 set. 1918). Preoccupazione principale dei riformisti è la possibile saldatura tra il «gruppo libertario», fautore dell’autonomia sindacale ma a loro avviso deciso a «nascondere dietro il paravento dell’unità sindacale il [suo] sogno di conquista», e la corrente massimalista, i cosiddetti «rigidi», convinta della subalternità del sindacato al partito (G. Gotta, Ognuno al suo posto, «La Squilla», 19 ott. 1918). In effetti, agli inizi del 1919 l’opposizione alla linea del Comitato Direttivo si va coagulando in un blocco anarco-massimalista. Le Commissioni interne, riconosciute dall’accordo del 20 febbraio 1919, tendono superare le proprie prerogative sfuggendo al controllo dell’organizzazione e in qualche modo sostituendosi ad essa. Dall’agosto 1919, a iniziare dalla fiat Centro, le Commissioni interne procedono alla elezione dei commissari di reparto che danno vita ai Consigli di Fabbrica, ciascuno dei quali nomina un Comitato esecutivo che a sua volta assume le funzioni di Commissione interna. Il 17 ottobre la prima riunione dei Comitati esecutivi dei Consigli costituisce un Comissariato centrale dei Consigli. Il 1° novembre l’assemblea della Sezione torinese della FIOM approva «a grande maggioranza» l’odg. Boero-Garino, favorevole alla «costituzione dei Consigli operai di fabbrica, mediante l’elezione dei Commissari di reparto» (p. t. [P. Togliatti, L’Assemblea della Sezione Metallurgica Torinese, «L’Ordine nuovo», 8 nov. 1919), mettendo in minoranza il vecchio Consiglio Direttivo ed eleggendone uno nuovo, provvisorio, al cui interno Ferrero, pare su indicazione di G. che declina un primo invito, assume le funzioni di segretario. Contestualmente, viene istituita una Commissione di studio sui consigli, alla quale partecipano anche G. e Ferrero, e che tiene spesso le sue riunioni nei locali de «L’Ordine nuovo». Da qui nasce anche la consuetudine con gli ordinovisti e con Gramsci, che scriverà dei due anarchici in termini estremamente positivi (Cosa intendiamo per demagogia, «Avanti!», ed. piemontese, 28 ago. 1920), e una collaborazione che si esprimerà nel manifesto Per il Congresso dei Consigli di fabbrica, apparso ne «L’Ordine nuovo» del 27 marzo 1920. Al Convegno straordinario della FIOM a Firenze (9-10 nov. 1919) Boero e Garino riescono a ottenere che i vertici federali consentano all’«esperimento dei Consigli di fabbrica» intesi come «la continuazione dell’opera delle Commissioni interne coordinata con quella dell’organizzazione» (M. Antonioli, B. Bezza, p. 575). Nell’aprile 1919 G. è, come rappresentante degli anarchici torinesi, tra i fondatori dell’Ucai al Congresso di Firenze, dove è designato quale membro del Consiglio generale. Nel dicembre dello stesso anno partecipa al Congresso straordinario della CdL di Torino e presenta una mozione a favore dei Consigli, ritenuti «ai fini dei principi comunisti-antiautoritari, organi assolutamente antistatali e possibili cellule della futura gestione della produzione agricola e industriale». Quando, nel maggio 1920, si tiene a Genova il Convegno nazionale della FIOM, difende la linea conflittuale dei metallurgici torinesi e «deplora la mancanza di solidarietà del Comitato centrale e della Confederazione del lavoro» (ivi, p. 590). Nel giugno successivo interviene con Ferrero al Congresso anarchico piemontese proponendo il medesimo odg del Congresso camerale e se ne farà portatore anche al Congresso bolognese dell’UAI (1°-4 lug. 1920). Protagonista dell’occupazione delle fabbriche, nel settembre 1920, al Congresso nazionale della Fiom tenuto a Milano, all’Umanitaria, appoggia l’odg Ferrero e rimprovera ai dirigenti nazionali di avere in qualche modo illuso «la massa operaia che non distingue se il movimento fosse sindacale o politico, aveva creduto che voi sareste andati fino in fondo, che voi l’avreste condotta al gran gesto rivoluzionario» (ivi, p. 625). Nel 1921 entra a lavorare in una cooperativa, di cui poi diventerà dirigente e che verrà trasformata in seguito in società per azioni per evitare di essere fascistizzata. Durante il ventennio, infatti, rimane a Torino subendo continui arresti e persecuzioni. Dopo l’8 settembre 1943 riorganizza il movimento anarchico torinese e dà vita al Circolo di Studi Sociali. Prende parte alla guerra di liberazione; arrestato nell’ottobre 1944, viene rilasciato grazie a uno scambio di prigionieri. Dopo la Liberazione partecipa alla vita del movimento libertario piemontese ricostituendo la Scuola Moderna, che pur svolgendo una intensa attività culturale con l’organizzazione di diverse conferenze sui più svariati temi, non avrà più quel carattere formativo dei militanti che aveva avuto in passato. Dirigente dell’ANPPIA, muore a Torino nell’aprile 1977. (M. Antonioli – T. Imperato)
Fonti: ACS, CPC, ad nomen; U. Marzocchi, Maurizio Garino, «un», 19 giu. 1977.
Bibliografia: scritti di G.: L’occupazione delle fabbriche nel 1920, «Era nuova», 1° apr. 1950; L’incendio della Camera del Lavoro di Torino (1922), in Dall’antifascismo alla resistenza. Trenta anni di storia italiana, Torino 1961. Scritti su G: P.C. Masini, Anarchici e comunisti nel movimento dei Consigli a Torino, Torino 1951;Trentennio; G. L[attarulo] – R. A[mbrosoli], I consigli operai. Un’intervista con il compagno Maurizio Garino, «A», apr. 1971; M. Antonioli, B. Bezza, La Fiom dalle origin al fascismo, 1901-1924, Bari 1978, ad indicem; EAR, ad nomem; MOIDB, ad nomem; M. Revelli, Maurizio Garino: storia di un anarchico, «Mezzosecolo», n. 4, 1980/82.

Pompeo Barbieri

Giaconi, Maria
Nasce a Cave di Sassoferrato (AN) il 26 settembre 1892 da Sabatino e Filomena Sebastianelli, contadina. Seconda di quattro fratelli, fino all’età di vent’anni vive con i genitori, non mostrando interesse per la politica. Nell’autunno 1911 parte alla volta degli Stati Uniti per raggiungere un fratello, colà emigrato e si stabilisce a Peckville. Conosce e sposa Adolfo Ligi – minatore, anch’egli originario di Sassoferrato –, diventando un’attivista del locale movimento libertario. Le autorità indicano in lei e in Ligi due «anarchici pericolosi, conosciuti come tali e per conseguenza allontanati e spregiati dall’elemento sano per le loro idee» (Vice-Consolato in Scranton, 24 apr. 1933). In particolare, G. è ritenuta la leader dei sovversivi nella colonia di Peckville e per questo motivo è sottoposta a sorveglianza. Nell’aprile 1932 spedisce del denaro a Ernesto Bonomini, «l’uccisore del fascista Bonservizi». Qualche settimana più tardi le autorità intercettano una sua lettera per Malatesta, alla quale è allegato uno chèque, «parte ricavato dalla festa datasi il primo Maggio in Oldforge, Pa.» (Polizia politica, 1° giu. 1932). Nel 1933 G. versa una sottoscrizione a «Il Risveglio anarchico» di Ginevra, in favore del comitato pro figli dei carcerati politici d’Italia. Sfugge una prima volta ai controlli e la sua presenza viene segnalata a Ginevra, al fianco di Luigi Bertoni, ma è lecito nutrire dubbi sulla fondatezza della notizia. Nel 1935 si trasferisce con il marito e la figlia a Filadelfia e nel 1937 è a New York. Benché sia «rigorosamente sorvegliata da Agenti federali e da privati detectives» (Ministero degli Esteri, 21 feb. 1938), le autorità statunitensi ne lamentano ancora una volta la scomparsa e la sospettano di essersi recata in Spagna a combattere nelle milizie repubblicane. Stando alle fonti di polizia, durante la sua permanenza negli Usa G. sembra non avere tenuto alcun contatto con la famiglia d’origine, a eccezione di una lettera del dicembre 1940, indirizzata alla cognata Maria, ma il cui contenuto è in verità rivolto alla madre. Muore a New York negli anni Settanta. (R. Giulianelli)
Fonti: ACS, CPC, ad nomen; ivi, DPP, ad nomen; ASAN, Questura, Anarchici, b. 11, ad nomen; AFBC, Memorie di compagni. Adolfo e Maria Ligi, cass. III.19.
Bibliografia: R. Lucioli, Gli antifascisti marchigiani nella guerra di Spagna (1936-1939), Ancona [s.d.], p. 153; A. Martellini, Fra Sunny Side e la Nueva Marca. Materiali e modelli per una storia dell’emigrazione marchigiana fino alla grande guerra, Milano 1999, p. 126.

Virgilia D'Andrea

Alcune sigle e abbreviazioni

ACPC = Antifascisti nel casellario politico centrale, Quaderni dell’ANNPIA, Roma, ANNPIA, 1989-1994.
ACS = Archivio Centrale dello Stato – Roma
AFBC = Archivio Famiglia Berneri e Aurelio Chessa – Reggio Emilia
ANPPIA = Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti
ASMs = Archivio dello Stato – Massa
«BAP» = «Bollettino dell’archivio G. Pinelli»
CdL = Camera del Lavoro
CLN = Comitato Liberazione Nazionale
EAR = Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza, 6 voll. Milano-Bergamo, 1968-1989.
FCL = Federazione Comunista Libertaria
FGS = Federazione Giovanile Socialista
IWW = International Workers of the World
MOIDB = Il Movimento Operaio Italiano Dizionario Biografico, Roma, Editori riuniti, 1976-1979.
OVRA = Opera Volontaria di Repressione Antifascista
SUM = Sindacato Unico Metallurgico
UAI = Unione Anarchica Italiana
UCAI = Unione Comunista Anarchica Italiana