rivista anarchica
anno 34 n. 299
maggio 2004


ambiente

Abitare i luoghi
di Adriano Paolella

 

Insediamenti, tecnologia, paesaggio in un nuovo libro del nostro collaboratore Adriano Paolella.

Nessun paese del nostro pianeta ha programmato il suo futuro nei tempi lunghi.
Ciascuno di essi ha concentrato l’interesse nella definizione delle proprie necessità in tempi ridotti; ciascuno di essi ha pensato autonomamente ai propri bisogni alle proprie aspirazioni, al proprio posizionamento politico, economico, militare.
Ogni tentativo di far convergere le azioni in una strategia comune si è risolta nella ricerca di un minimo denominatore comune spesso così minimo da rendere gli impegni più azioni di sensibilizzazione che effettive modificazioni delle strutture produttive, insediative e relazionali.
La risoluzione della questione ambientale, di fatto, si scontra con la gestione del pianeta per stati e per gli interessi che li sostengono. Vi sarebbe necessità di grandi slanci comuni, di fraternità tra i popoli, di evidenziare le similitudini, mentre l’attuale condizione si fonda sui dissidi di potenza e di sostanza (non ci sarebbero paesi se non ci fossero contrasti tra i paesi), si fonda sulla sopraffazione degli interessi di un soggetto a danno di altri.
I governi e i maggiori gruppi economici hanno grandi interessi finalizzati al mantenimento ed all’incremento dei propri benefici, grandi anche per gli effetti negativi che comportano nel mondo, ma irrisori di fronte alle sofferenze ed al rischio che adducono all’intera popolazione del pianeta.
Sarebbe interessante verificare fino a che punto si voglia trasformare il pianeta e quale sia l’immagine del mondo che scaturisce da queste trasformazioni.
Il più grande nemico di una qualunque ipotesi di riequilibrio ambientale sembra essere la mancanza di percezione da parte dell’individuo degli effetti delle azioni proprie e degli altri.

Ragionare su tempi lunghi

La domanda che dovrebbe essere fatta è: fino a quanto? Fino a che velocità debbono andare gli autoveicoli? Fino a che velocità debbono andare i treni? Quanti spostamenti deve fare un individuo annualmente? Quante auto debbono circolare? Quanta acqua può consumare un individuo? Quanti prodotti deve acquisire? Quanto deve mangiare? E quindi, quanti metri quadrati di abitazione, quanti elettrodomestici, quanta energia per ottenere il benessere?
Si dovrebbe sapere non quello che si attende per quest’anno o il successivo ma qual è l’obiettivo a cui si tende per i prossimi 500 anni e come si attua e quali trasformazioni comporta.
Quante strade servono? E ancora dopo quante altre? Quando finirà la necessità di costruirle? Alla fine saranno sufficienti?
Serve il legno: perché, quanto? Tutto? Bene si dica: «il programma mondiale è l’eliminazione di tutte le foreste e la loro trasformazione in legno».
Solo evidenziando il programma futuro, che potrebbe essere mostruoso, si potrà uscire dalla consuetudine consolidata di continue azioni di predazione e di trasformazione ed eliminarne l’assuefazione.
La grande capacità del modello economico e sociale è produrre modificazioni in maniera tale che nel momento della loro constatazione non possano che sembrare plausibili e ragionevoli divenendo così già assimilate, già esistenti di fatto.
Nelle città contemporanee il parlare di superamento dei limiti massimi di inquinamento appare poco allarmante in quanto il cittadino è già abituato all’idea che si possano superare dal momento che egli ha già vissuto tale situazione ed è sopravvissuto.
È divenuto plausibile un mondo in cui l’aria sia piena di anidride carbonica, l’acqua non sia potabile, il rumore sia assordante. È diventato plausibile essere costretti a rinserrarsi in casa alcuni giorni all’anno per il troppo caldo o perché si è superata la soglia di tollerabilità dell’inquinamento e sentire messaggi che invitano i bambini e gli anziani a non uscire nelle ore pomeridiane; è diventato plausibile comprarsi l’acqua in bottiglie per dissetarsi, installare le finestre fonoassorbenti per poter parlare in casa udendosi l’un l’altro.
Nonostante siano stati intaccati i beni primari, quali l’aria e l’acqua, nonostante sia costretto a pagare per avere ciò che per tutti dovrebbe essere un diritto, l’individuo «occidentale» si è già assuefatto.
La coscienza che il pianeta sia un sistema complesso all’interno del quale l’uomo opera provocando e subendo effetti, unita alla consapevolezza del suo profondo stato di alterazione, ha motivato un crescente interesse nel ridurre le conseguenze negative comportate dall’attività umana attraverso il miglioramento dell’efficienza ambientale dei prodotti e delle trasformazioni.
Si è affiancata così, all’azione del conservare aree geografiche o specie animali attraverso la loro diretta protezione, quella di definire pratiche in grado di riequilibrare le interazioni tra uomo e ambiente al fine di ridurre il carico di alterazione prodotto dal primo nel secondo.

Interazioni tra uomo e ambiente

La conoscenza delle articolate interazioni esistenti tra uomo e ambiente ha fatto maturare l’ipotesi che la soluzione dei problemi, per quanto semplice, dovrà comunque considerare la complessità del sistema e superare i limiti posti dall’agire settoriale.
Il paesaggio è la forma dell’ambiente in quanto sintesi percettiva della qualità della natura, del peso dell’azione umana, della storia, e quindi dei caratteri delle comunità insediate.
Esso è la risultante dell’insieme delle azioni umane, per quanto disciplinate o incontrollate possano essere, e indica principalmente le modalità di interloquire tra attività e sistemi naturali.
Le ragioni della dequalificazione del paesaggio, nella massima parte dei casi, non sono collegate alle scelte formali ma agli interessi economici, alla tecnica e alla cultura che le motivano e le sostengono. Quando si percepiscono negativamente tali interventi di fatto si rifiutano i modelli cui essi si riferiscono.
È anche per questo che elementi tradizionali costruiti nell’ambito di economie di sussistenza e non speculative, per il benessere della comunità e non per il profitto di qualcuno, appaiono più frequentemente qualificare il paesaggio.
La qualità del paesaggio migliora quando si ricomponga la relazione tra la comunità e il sistema naturale. Il paesaggio è infatti anche il prodotto delle modalità di vita di ciascuno.
La considerazione del paesaggio quale risultante del comporsi dell’azione umana in un contesto naturale non implica la necessità di «costruire» il paesaggio, ma di progettarlo sistemicamente mirando al miglioramento complessivo della condizione paesistico-ambientale attraverso l’inibizione di fenomeni degenerativi prodotti dallo sviluppo incontrollato.

Organicità della scelta

Con queste premesse il progetto di un qualunque oggetto, manufatto, azione non è mai chiuso all’interno di una specifica competenza o di un determinato luogo ma spazia attraverso le diverse competenze settoriali a ricercare l’organicità della scelta avendo come fine la risoluzione di un problema sistemico.
Il progetto si configura come un processo temporalmente esteso in cui le fasi ideative, realizzative, manutentive e gestionali sono congruamente connesse, si configura come il mezzo a disposizione della società per orientare, per correggere gli eccessi, per valutare i risultati raggiungibili e per definire le azioni da compiere.
L’ambito operativo della progettazione è di determinare soluzioni capaci di trascendere gli interessi immediati dei singoli e di rispondere ai doveri più stringenti verso comunità e ambiente con soluzioni non contingenti ma che rimandano ad una correttezza dell’agire estesa al di là dello specifico contesto disciplinare, procedurale, normativo.
L’ambiente all’interno del processo progettuale è variabile inalienabile nella determinazione delle scelte; il mantenimento o il miglioramento delle condizioni del sistema naturale diviene obiettivo prioritario di qualunque progettazione e ciò implica la considerazione della società che con esso interagisce e quindi recupera la funzione sociale del progetto medesimo.
Ma in realtà, nella società occidentale attuale, la felicità della comunità viene perseguita attraverso l’idea di «progresso», ma non vi può essere felicità in una società in progresso. La definizione di un nuovo strumento o di una nuova situazione, anche quando finalizzato al benessere, prevede l’assimilazione del suo uso e ciò avviene nel tempo.
Il progresso modifica e la modifica richiede uno sforzo di adattamento che inibisce in quel momento la soddisfazione (vi sarà forse soddisfazione nel sapere di poter raggiungere una situazione diversa in cui si spera di poter stare meglio). Quindi la società in continuo progresso è insoddisfatta dello stato precedente, ovvero quello che motiva la ragione della ricerca di soluzioni in progresso, e in attesa di soddisfazioni dallo stato successivo e dunque è in uno stato di perenne insoddisfazione.
Questa condizione è aggravata quando l’innovazione non integra, ma sostituisce la soluzione precedente: la non conservazione è una dispersione di valori e di identità.
Il progresso porta innovazioni finalizzate per gran parte al lucro; esse, non sono richieste dalla collettività, né per la necessità né per il piacere, ma insinuano nuovi desideri.
Il ritmo di quello che viene nominato progresso risponde per gran parte all’evoluzione del mercato e dei profitti e non a quello degli uomini, risponde alla ragione di dover guadagnare di più, alla ragione di dover muovere sempre più le merci e questa frenesia struttura il tempo delle città che non corrisponde al tempo degli individui.
Una società in progresso è una società infelice e le sue città sono luoghi che rappresentano tale stato di costante alterazione.

Riduzione degli effetti negativi

Posto come obiettivo il miglioramento delle condizioni ambientali del pianeta e la qualità di vita degli uomini, ci si attende che la ricerca scientifica si muova contemporaneamente nella direzione di un aumento dell’efficienza delle trasformazioni e delle azioni dell’uomo e di una riduzione degli effetti negativi che esse comportano, e non nella direzione di una indiscriminata corsa verso il «progresso».
Il benessere della popolazione, il miglioramento delle condizioni di vita e la riduzione del degrado ambientale dovrebbero essere il motore primo della ricerca scientifica e dell’evoluzione tecnica; ma la congruità tra i percorsi di ricerca e gli obiettivi dichiarati non sembra una costante riscontrabile.
Le soluzioni tecniche che non siano uno strumento sociale ed ambientale sono solo mercato e quindi sono fortemente caratterizzate nella direzione di soddisfare gli indotti e nevrotici bisogni di quei sette, ottocento milioni di individui viziati che costituiscono il mercato iperconsumistico e ricco.
Ignorando il sistema e la sua complessità, la ricerca è sterile e va verso direzioni i cui benefici non rispondono ad una effettiva domanda diffusa e ciò fa emergere quanto sia indispensabile ricomporre le relazioni tra ricerca, finalità e progetto.

Adriano Paolella
(selezione dal volume curata da Zelinda Carloni)

 

Adriano Paolella (Napoli 1955), docente di Tecnologia dell’Architettura presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria, esperto di progettazione ambientale, è direttore di “Attenzione”, la rivista del WWF Italia.

Abitare i luoghi
insediamenti, tecnologia, paesaggio

BFS edizioni, pagg.143. Prefazione di Carlo Blasi, introduzione Salvatore Dierna.
Collana “Rovesciare il futuro”, euro 13,00
www.bfspisa.com