rivista anarchica
anno 34 n. 299
maggio 2004


canzone d’autore

a cura di Alessio Lega

 

Il “giardiniere della lingua” Julos Beaucarne

Julos Beaucarne

la poesia non è solo bella
lei è ribelle
ci sono fontane di silenzio che assassinano per secoli e secoli
le nostre orecchie sono i testimoni che devono tenerci svegli.

In Italia sarebbe davvero impensabile per la sua totale inclassificabilità.
Un filosofo. Un poeta. Uno scultore. Un militante dell’ecologia e della pace.
Un agitatore di mille movimenti, spesso inventati con la complicità di un pugno d’amici: il “Fronte di liberazione degli alberi da frutto”, il “Fronte di liberazione dell’orecchio”, ecc….
Per quel che ci interessa specificamente, un giardiniere che coltiva con strumenti musicali le sue piantagioni di linguaggio.
Julos è un fantasista dell’anima, non banalmente un artista eclettico, come ce ne sono tanti, più o meno bravi a fare una o più cose, piuttosto il paziente elaboratore di un progetto dai confini incerti ma dal sapore chiarissimo: rifondare il cuore umano in armonia con la natura interna ed esterna, cogliere l’indefinibilità delle evoluzioni dello stare con gli altri e dello stare con sé, dello stare col mondo tutt’assieme e dell’ascoltare i movimenti del proprio cuore, i voli della propria fantasia.
Di tutto ciò Julos ha fatto dei bei libri, che non si capisce se siano in versi o in prosa, degli spettacoli, che non si capisce se siano teatrali o musicali, se siano d’avanguardia o se ripercorrono i moduli dei trovieri medievali, delle animazioni radiofoniche e televisive, sempre occupando canali autonomi e autogestiti fuori dallo show-business, delle opere plastiche partendo da materiali abbandonati, come la famose e gigantesche pagode postindustriali.
Soprattutto però Julos ha fatto dei dischi, dei dischi superbi, tanti e tutti legati fra di loro.
Nessuno di questi dischi si configura come una raccolta di canzoni, ma su ognuno di essi si alternano con maggiore o minore frequenza canzoni propriamente dette, brani solo musicali, poesie musicate, monologhi, aforismi di gusto surreale, in un’alternanza che costruisce sempre delle opere di circa mezz’ora che non trovano possibili definizioni precostituite. E non solo… di disco in disco egli riprende forme e temi, mescolandoli continuamente: non è raro trovare un testo in prosa che vent’anni dopo è incredibilmente divenuto una canzone, brani musicali che, l’anno successivo alla loro prima uscita, calzano come guanti a poesie di cent’anni fa. Quest’uomo insomma, continuamente attraversato da mille stimoli, è plurale come un poeta e solo come una foresta.
Ma forse la cosa straordinaria di questi dischi è che, presi tutti assieme, rappresentano un’“opera concept”, la riuscita fotografia di uno degli artisti più profondi partoriti negli ultimi cento anni da questo strano paese, questo piccolo regno inventato e messo lì come cuscinetto fra le grandi potenze, il Belgio, che nella sua artificiosa unione di caratteri opposti, valloni e fiamminghi, ha prodotto due temperamenti unici e, verrebbe da dire complementari, quali Jacques Brel e, appunto, Julos Beaucarne.
La leggenda vuole che al tempo in cui era solo un professore di letteratura francese e un teatrante a tempo perso, Julos si trovasse, durante una vacanza in Francia, improvvisamente in panne con la sua auto in uno sperduto villaggio e senza un soldo per pagarsi le riparazioni necessarie; giocoforza si trasformò, per raggranellare qualche spicciolo, in giullare, in artista girovago: cominciò a cantare di piazza in piazza, torno torno dove si trovava, e davvero intorno a lui sentì svilupparsi l’attenzione che secoli prima era dedicata ai nostri antenati trovatori. Quest’episodio fu per lui la rivelazione di una vocazione, di un interesse, di una traiettoria.

Julos Beaucarne

Io canto per voi, non ve ne dispiaccia
Malgrado l’imbrunare, le tempeste e le piogge
Su tutte le strade, anche grandinanti
Io porto il mio passo fino al fondo dei tempi.
Per smettere il gioco bisogna che muoia
Il filo è fragile, se un giorno si rompe
Saprete allora che faccio sciopero
Che si è chiuso il cerchio di tutti i miei amori
Io canto per voi i canti più teneri
Ragazzine dolci, dal collo di panna
E anche per voi bimbi settembrini (…)
Finché i poveri uomini avranno orecchie
Esorcizzerò i fantasmi della notte

Sulla strada, enunciata nella canzone qua sopra, Julos continua tutt’oggi a muoversi con un’opera ormai imponente che consta di 26 cd, una ventina di libri, e un’infinità di spettacoli. Ovviamente mi manca lo spazio, non solo per analizzarli compiutamente, ma anche per darne notizia; faccio quindi la più che arbitraria mossa di entrare nello specifico di uno dei suoi dischi più imprescindibili e struggenti.
La vita e l’arte di Julos sono passate attraverso un’immensa tragedia, di cui non ha cessato di portare i segni.
Nella notte fra il 2 e il 3 febbraio 1975 la sua compagna di vita e d’arte, la madre dei suoi due figli, viene assassinata a pugnalate da un folle. Con l’animo in fondo a un pozzo di carbone, Julos scrive uno dei grandi capolavori della storia della canzone di tutti i tempi, un disco straziante, di incontenibile tenerezza; un disco friabile e densissimo, un capolavoro in cui il dolore non ottunde la leggerezza di uno degli animi più belli che abbiano mai trovato la via del canto. Appunto: Candelora ’75.
Tutto incentrato sull’immensa perdita, il disco è incorniciato da due canzoni sublimi. Eccone qualche verso:

Si comincia sempre con: c’era una volta / La fata della tua vita se ne va / Senza guardarsi indietro
Gli occhi blu hanno virato al nero / La terra si veste di lutto / Addio, mia bella

e
Di memoria di Rosa ho visto morire un giardiniere / Nient’altro che una pausa può bastare, signora, lascia
Il vento distendersi e senza maledirlo, aspetta / Lasciati scivolare nel vento leggero, pazienza, pazienta…
Se l’amore fugge, non ti flagellare / Hai marinato la scuola, per il letto del re
Se la sua vela bianca ora è solo nebbia / Non t’impiccare al ramo quando farà scuro

Fra queste due canzoni si avanza, per citazioni da Saint Exupéry, per frammenti poetici e musicali, per altre canzoni che compongono uno dei più onesti e al contempo pudichi poemi del dolore che mi sia capitato di conoscere. La sincerità di quest’album è abbacinante, la sua trasparenza quasi insostenibile; si tratta di un’opera preziosa, di un cristallo che si incide un percorso sideralmente profondo nell’animo dell’ascoltatore. Julos, dopo aver raggiunto l’apice del suo personalissimo lutto, con un guizzo poetico, sa riportare tutto a un discorso universale, le sue ferite diventano quelle stesse di un mondo senza pace, giustizia o libertà: “l’uomo e la donna sono capolavori in pericolo / in Belgio, in Cile, in Brasile / la legge del più forte è sempre la legge del minor sforzo…” dice, e a sostenerlo canta la sua

Lettera a Kissinger

Voglio raccontarti signor Kissinger la storia di un mio amico
Il suo nome non ti dirà nulla, faceva il cantante in Cile.
Tutto successe in un grande stadio dove c’era un tavolo
Il mio amico si chiamava Jara e fu portato là.
Gli fecero mettere la mano sul tavolo e un ufficiale
Con un solo colpo d’ascia le dita della sinistra tagliò
Con un altro colpo sezionò le dita della destra di Jara
Il sangue è sgorgato, seimila prigionieri gridarono.
L’ufficiale posò l’ascia (forse si chiamava Kissinger)
Prese a calci Victor Jara “canta – gli disse – ora che sei meno orgoglioso”
Alzando le mani senza dita, che ancora ieri carezzavano la chitarra,
Jara si alzò lentamente per obbedire al comandante
Ed intonò l’inno di lotta di Unidad Popular
Col coro delle seimila voci dei prigionieri di quell’inferno.
Una raffica di mitra abbatté allora il mio amico
(Quello che puntò l’arma forse si chiamava Kissinger).
Questa storia che ti ho raccontato, Kissinger, non è avvenuta
Nel ’42, ma ieri nel settembre ’73.

È un momento altissimo in cui personale e politico si fondono in un brivido che testimonia come un grande artista e una bella persona alla fine sappia sempre distillare gocce di luce dalla miseria dell’esistenza, senza retorica, senza voler insegnare niente a nessuno, ma con la semplice grandezza di chi può svolgere le pieghe nascoste del linguaggio di tutti i giorni e svelarcene la poesia.

Alessio Lega
alessio.lega@fastwebnet.it