rivista anarchica
anno 33 n. 300
giugno 2004



a cura di Marco Pandin

 

Richard Pinhas “Tranzition”

Eccolo di nuovo, Richard Pinhas. Gli anni gli piovono addosso sembra senza lasciargli alcun segno sulla chitarra. Ci eravamo incrociati che bazzicavo in una radio libera, metà degli anni Settanta: io teenager inquieto e brufoloso assetato di nuovi panorami musicali, lui solo di qualche anno più vecchio ma già chitarrista degli Heldon, un gruppo francese allora mitico che sperimentava miscele d’elettronica rock e politica radicale (degli Heldon in radio, oltre a un paio d’album portati chissà da chi, girava un 45 giri autoprodotto a sostegno della Rote Armee Fraktion).
Erano altri anni, è vero: descrivere Heldon con la testa, gli occhi e le orecchie di adesso è cosa semplice. Allora non era facile orientarsi nel mare delle suggestioni: nel rock c’erano persone raggruppate in collettivi militanti che prendevano il nome di Henry Cow, Amon Duul, Magma, Gong, Tangerine Dream, Faust che in quel mare scatenavano tempeste. Tempeste che si mescolavano ad altre tempeste ideologiche dalle quali spesso non ci si salvava, specie chi faceva fatica a distinguere i contorni della costa e si aggrappava a un qualche salvagente chimico, ideologico o mistico, naufragando disgraziatamente e comunque.
Nel 1973 i due visionari Robert Fripp e Brian Eno, deviando dalle rispettive rotte di relativa tranquillità creativa e commerciale, pubblicarono “No pussyfooting”, gioco di specchi già dalla copertina, un sasso che increspò quello stesso mare sonoro in un disegno di cerchi che ha generato miliardi di onde alte e non ha ancora trovato quiete.
Richard Pinhas non nasconde debiti d’ispirazione a Fripp (nel corso degli anni, anzi, gli ha dedicato più d’una partitura), ma ha senz’altro saputo costruire tutt’attorno al suono della propria chitarra una personalità ed una credibilità assai solide. Un lungo silenzio negli anni Ottanta, dopo Heldon, per poi ricominciare col rumore, coi dischi, con nuovi circuiti elettronici inventati apposta per depistare e rendere irriconoscibile il suono della cara-vecchia-sei-corde.
“Tranzition”, l’ultimo arrivato, è frutto di ossessione e di testardaggine. Un gioiello bollente di sovrapposizioni di suoni, feedback e fantascienza sonica, cerchi concentrici ipnotici realizzati accostando all’elettronica ed al computer spettri di voce umana (in “Moumoune girl” c’è un nastro originale donato a Pinhas da Philip K. Dick), le ramificazioni deliranti del violino di Philippe Simon e il rombo di tuono di Antoine Paganotti, batterista dei Magma.
Da ascoltare e riascoltare stando ben attenti a non farsi trascinare al largo: “Tranzition” è parte di una suite in continuo divenire, lunga quanto la vita.
Quelli di Cuneiform, la stessa indie americana che si è occupata di “Tranzition” (nonchè di molto altro del backcatalog di Pinhas/Heldon), hanno esplicitamente a cuore le alterne vicende di certa musica sperimentale, quella che pur traboccando di intuizioni brillanti e scorie di geniale radioattività rimane inspiegabilmente marginale.
Il loro catalogo mostra infatti alcuni chiodi fissi: l’innamoramento per il “progressive” sia storico che contemporaneo (dai Soft Machine a Robert Wyatt ai Guapo), la non-rassegnazione allo sprofondamento delle rockavanguardie sonore (da Univers Zero a Piero Milesi al Science Group), la conservazione della memoria di opere non-solo-musicali intrise di temerarietà politica (i jazz collective misti del Sudafrica razzista). Tutte cose ahimè diversamente destinate alla sepoltura sotto la polvere del revisionismo, o schiacciate dalla “popular music” intesa nel senso deteriore ed edulcorato proprio dell’appiattimento mediatico.
Se aggiungiamo a tutto questo il fatto che vende i suoi cd a basso prezzo, insomma Cuneiform meriterebbe se non un monumento almeno una nostra visita al website http://cuneiformrecords.com dove, siete avvisati, è facile lasciarsi intrappolare nella giungla brulicante di proposte (centinaia di cd, spesso di ottima fattura e pregevole contenuto, a partire da soli 4 dollari: alla faccia di chi soffia sul fuoco dei prezzi). Ne riparleremo presto.

Marco Pandin

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