rivista anarchica
anno 34 n. 302
ottobre 2004


 

Gli anarchici genovesi
dal 1943 al 1950

È uscito, per le edizioni Annexia, il libro Il movimento anarchico a Genova (1943-1950) di Anna Marsilii.
Il periodo a cavallo della fine della seconda guerra mondiale, dalla lotta resistenziale agli inizi degli anni ’50 è cruciale per le sorti del movimento anarchico uscito dal lungo tunnel del fascismo, della clandestinità, delle persecuzioni e del confino, dell’emigrazione. Gli anarchici genovesi, così come quelli di molte altre parti del Paese, si ritrovano dapprima nella lotta partigiana – costituendo formazioni combattenti autonome – e in seguito, nella costituzione della Federazione Anarchica Italiana, sintesi unitaria di federazioni e gruppi locali di notevole consistenza. Il peso del movimento non è certo paragonabile a quello ante fascismo, ma, ad esempio, la Federazione Comunista Libertaria ligure assomma ad almeno 2.000 militanti e iscritti, è in grado di pubblicare un proprio organo di stampa (L’Amico del popolo) e numerose sono le sedi aperte nei vari quartieri e delegazioni del genovesato. Anche in campo sindacale la situazione non è facile, l’unità d’azione sviluppata durante la Resistenza con i militanti degli altri partiti, porta gli operai anarchici ad aderire alla CGIL, rinunciando alla ricostituzione dell’USI, e organizzandosi come minoranza nei Comitati di Difesa Sindacale. Tuttavia gli anni dell’immediato dopoguerra sono anni di vitalità del movimento anarchico genovese e italiano, che si propone come minoranza battagliera e intransigente. Il 1948, però, segna uno spartiacque. La rottura dell’unità sindacale, il passaggio dei socialcomunisti all’opposizione, segna una fase di incertezza in molti militanti anarchici e in alcuni, un passaggio al PCI. Si apre un periodo di staticità e di ripiegamento al proprio interno e le spinte al rinnovamento che vengono da molti giovani sfoceranno nella dolorosa scissione dei GAAP. Il movimento anarchico privato di una parte del suo elemento più propulsivo si avvierà verso una fase di lento declino, interrotta solo dalla primavera del ’68.
Alle vicende genovesi di questo periodo – paradigmatiche comunque di un trend nazionale – è dedicato questo lavoro di Anna Marsilii. La ricostruzione dei fatti e del dibattito è rigorosa e – per quanto permettono ormai le scarse fonti rimaste – dettagliata e documentata. Largo spazio è anche dedicato alla vicenda dell’attentato al consolato spagnolo di Genova, ad opera dei tre giovani anarchici Delucchi, Mancuso e Busico, alla sua risonanza e al movimento di solidarietà che, a livello nazionale, si sviluppò nei loro confronti. Un libro importante, di cui c’era estremo bisogno, necessario per riportare alla luce un pezzo di storia determinante del nostro movimento e per riprendere la riflessione su scelte, o magari occasioni mancate, dei militanti di allora.

Guido Barroero

Il libro può essere richiesto alla Libreria Annexia di Stradone S. Agostino, 8r – 16123 Genova – tel. 0102534237 – e-mail: annexia23@libero.it.
Il costo del volume di 192 pagine è di 15,00 euro, spese di spedizione incluse, pagamento contrassegno. Per gli ordinativi di almeno cinque copie sarà praticato lo sconto del 40%.

 

 

Penso a
Verlaine

Io invece penso a Cristalli (Paolo Cristalli, Io penso alla strada, io penso a Verlaine, Editrice Rivista Abruzzese, 2003), penso alla notte. Lo penso di notte nelle strade proprio come quell’ombra lunga che si staglia, nelle suggestive foto di Pasquale Comegna, sul selciato pietroso di un qualunque chissà dove del mondo o della sua solitudine. La notte è la matrice-divoratrice che genera il sogno, come anelava Rimbaud, di “un’altra vita” e che per ferocia ineluttabile ne determina, al tempo stesso, anche il crollo istantaneo o un franare retroattivo, lento e rituale, come un’esecuzione ripetuta all’infinito sul corpo martoriato del ricordo. Paolo Cristalli è un poeta dolente nel senso più fisico e sacrificale del termine.
Sulla scia dei poeti “maudit” pare toccato, nella buona e nella cattiva sorte, da un senso di predestinazione, anche quando questa ipotesi non ha senso alcuno o, al contrario, è provocata dall’ottusa indifferenza del “prossimo” distante. Un poeta diviso tra un’acida mestizia e un dolcissimo furore, sbattuto da marosi esistenziali contro una terra dura che non è la sua poiché apolide all’interno di un tormentato movimento interiore che non lo porta da nessuna parte, se non nell’altrove, in quella zona parallela di apparente armistizio dove rifugiarsi come un profugo depredato in un campo di rovine intimiste.
Ma la reattività di Cristalli è indomita, somiglia al colpo di coda di uno squalo che anche all’ultimo morso può essere pericolosissimo. È sicuramente un poeta isolato, fuori clan, scomodo, eretico. L’ambiente dei poeti accademici, cosi glaciali e letargici, non conoscono fraternità verso i loro consimili “dall’altra parte della riva”. Questa genia di polli freddi rivolti al sublime e alla celestialità, questi chierichetti del verso puritano e asettico, questi aristocratici astensionisti che non si sporcano le mani con la vita reale, hanno contribuito ad affossare la poesia, ad allontanarla dalla gente, a renderla elitaria, a spegnere l’indignazione civile. Cristalli rigetta i giochi formali estremi che altri manipolano e venerano come unica finalità della poesia stessa, Cristalli apre un altro gioco: le jeu de massacre. E il primo a andare al massacro è proprio lui quando massacro vuol dire spogliazione di sé, scandalo, provocazione, invettiva, insulto. È la poesia dello “strappo” nel senso della lacerazione, della visceralità sviscerata, del corpo poetico sanguigno perché sanguina, va in brandelli, si disintegra, e si ricostituisce solo in un esacerbato solipsismo che ha dell’eroico, l’eroismo di chi, inadeguato ai sistemi sociali vigenti, trova una sua uscita di soccorso nell’anatema rancoroso e nel pedinamento di teneri fantasmi d’amore per un attimo apparsi con la loro offerta di carnale conforto. Ma oltre a questo conforto, ci sono dei compagni di viaggio che non lo abbandonano mai: Léo Ferré e Jean Roger Caussimon due grandi poeti anarchici che assumono le sembianze di fraterni angeli notturni col pugno chiuso e la gola aperta. La notturnità di Baudelaire.
Cristalli, più francese che italico, è figlio dei bistrot parigini, quelli che – dagli anni ’40 agli anni ’50 – hanno visto la nascita della canzone d’autore, la Poesia in musica, il concerto dell’utopia libertaria. In quei bistrot dove letterati come Sartre, De Beauvoir, Vian, Camus, Breton, Prevert, interagivano con gli artisti del cabaret intellettuale dando vita a un nuovo modo di fare e percepire la poesia cantata, rendendola un genere di pari livello con le altre forme espressive storicamente consolidate. Questo libro cosi fuori schema unifica in un intreccio ombelicale, formule creative diversificate: canzoni, poesie, prose. Bisogna stare attenti quando lo si tocca: urla. E non urla solo sdegno e rabbia, ma un infinito amore, eternamente adolescente, puntualmente disilluso, caparbiamente testardo nell’offrirsi in una clonazione continua come un punto sorgivo al quale noi tutti ci abbeveriamo nella speranza di placare una sete che di questi tempi rischia di diventare arsura. E se questo non sarà possibile, allora, a denti stretti, proprio come Cristalli diremo: vaffanculo!

Mauro Macario