rivista anarchica
anno 34 n. 302
ottobre 2004


 

Contro la logica del mercato capitalista

Quello che segue è il testo del volantino del Gruppo di acquisto che si riunisce ogni mercoledì alle 18 ai giardini di via Locchi - Firenze Careggi, davanti alle macerie del Badaquà demolito (finché non si troverà una nuova sede…). Il Gruppo ha partecipato alla Fiera dell’autogestione di Modena (di cui riferisce Andrea Papi in questo numero).
Devo aggiungere a quanto scritto:

  1. che la scelta dei prodotti da comperare si basa su valori etici e di qualità, si preferiscono produttori e distributori compagni, comuni agricole, grossisti onesti, che praticano l’agricoltura biologica e biodinamica, prodotti senza OGM e senza sfruttamento di uomini e animali (un esempio è l’acquisto del caffè biologico di una cooperativa del Chiapas ispirata a Flores Magon);
  2. che il discutere su cose semplici come l’acquisto dei prodotti sta rinsaldando legami d’amicizia o creandone di nuovi, quanto il discutere in astratto invece sovente li spezza e crea rarefazione nelle affinità;
  3. che si dedica qualche minuto al giorno in più a procacciarsi i cibi (ad es. la raccolta delle erbe officinali) o a cucinare (per produrre marmellate e altre cose che in genere si acquistano già pronte al supermercato), che si cerca di scambiare o regalare ciò che avanza “il superfluo”, interrompendo l’infame meccanismo consumista per cui tutto va buttato e nulla si può ottenere gratis per ridurre la gente a uno stato ancora più di bisogno; inoltre stiamo pensando di mettere su una piccola cassa di mutuo soccorso per i compagni della zona che si trovano in stato di necessità, tanto da pensare di ridefinire il nome del gruppo non solo in base agli acquisti, ma anche alla nostra scelta di solidarietà o “resistenza umana”.
Inoltre la scelta di riunirsi in un posto occupato non è casuale, ma fa parte di un nostro modo di pensare che rifiutiamo l’anarchismo-radicalchic di certi ambienti. In particolare il Badaquà per tutto quello che sta organizzando, è un posto fra quelli occupati, che sta nel cuore di tutti. In concreto, il risultato è che andiamo tutti di meno a fare la spesa al supermercato, ma non è solo questo, c’è molto di più. Leggete il testo sotto.

Pralina

Ognuno di noi prova sempre maggiore disagio di fronte a un mercato dove si trovano prodotti di cui sappiamo poco rispetto alla qualità, alla provenienza, alle modalità di produzione; dove i profitti della produzione, distribuzione e commercializzazione sono sempre più concentrati fra pochi soggetti che se ne infischiano del benessere della comunità e del potere d’acquisto della gente. Spesso non si considera che attraverso le nostre azioni, quelle quotidiane, consuete, abitudinarie, apparentemente innocue, si sostengono proprio questi interessi. Ciò avviene principalmente perché le scelte quotidiane sono poste come “non scelte”, ovvero come soluzioni normali senza alternative, perché sono sottovalutate nella loro importanza.
Ma se i criteri che ci vengono proposti come modelli sociali ci appaiono insostenibili, è necessario pensare che la loro modificazione potrebbe essere avviata concretamente dall’acquisizione di comportamenti diversi da quelli previsti e che vadano a incidere proprio sul lato debole della struttura: il mercato. I consumatori infatti, così come possono creare un mercato, lo possono distruggere. Ma, questo, molti sembrano non saperlo ancora. Non è necessario rimandare la ricerca e il raggiungimento del benessere a un mondo tutto da realizzare, diverso, successivo: un mondo cambiato dall’acquisizione del potere, da una vittoria elettorale o dalla rivoluzione sociale. Un altro mondo è possibile già da ora, semplicemente comportandosi in maniera diversa, dando così continuità tra l’oggi e il domani, lavorando nel presente, per il presente e non solo per il futuro, e riappropriandosi così della dignità delle proprie scelte e della libertà di compierle. Per far ciò non è possibile delegare ad altri o al futuro il compito, ma occorre divenire parte attiva attraverso il nostro, corretto agire. Vogliamo credere che si sia in molti a pensare che questo mondo non è più possibile, che non è giusto, che non può essere condiviso.
Per questo abbiamo voluto con semplicità riflettere criticamente sulla possibilità, attraverso comportamenti più consapevoli, di non essere strumenti di sostegno ad un modello che porta nel mondo miseria, sopraffazione, danni all’ambiente, alle comunità e alla salute.
Un elemento importante per la realizzazione di un progetto del genere è la formazione di gruppi d’acquisto, ossia gruppi di amici, colleghi di lavoro, collettivi politici, case occupate, famiglie in grado di stilare ordinazioni collettive di autoconsumo direttamente ai produttori: evitando così gli innumerevoli passaggi intermedi che costano, sia in termini economici che di distruzione ambientale.
Pensiamo che organizzarci collettivamente per affrontare una delle operazioni che quasi quotidianamente ognuno di noi compie, la scelta e l’acquisto delle cose di cui abbiamo bisogno, possa essere un piccolo passo verso un’alternativa che sia praticabile qui e ora.
Siamo sempre più insofferenti di fronte al potere di chi pone i propri interessi al primo posto a danno di quelli della collettività e dell’ambiente. Non sopportiamo la logica del mercato capitalista, delle multinazionali e di tutte quelle imprese che sull’onda della globalizzazione non fanno altro che incrementare i propri margini di profitto all’ombra dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Siamo consapevoli che questa singola iniziativa non rappresenta che un granello in un deserto, ma crediamo che, unita a tante altre, possa essere un contributo utile al processo di trasformazione radicale della società.

Gruppo d’acquisto solidale del Badaquà
per contatti: pattydiamante@interfree.it

 

Ricordando Sergio Costa

Conoscevo Sergio Costa da poco meno di trent’anni e cioè da quando da studente liceale mi avvicinai al movimento anarchico.
Tanti erano i compagni che con le loro qualità umane e di sapienza politica mi trasmettevano quello che io andavo a cercare loro. Tanti sono diventati esempi per me di etica anarchica, sapienza storica e politica e tra questi sono debitore anche nei confronti di Sergio Costa.
Io allora lo vedevo come un compagno già adulto che parlava poco, ma quando parlava tutti lo ascoltavano con timoroso rispetto. Con gli anni ne ho apprezzato più di tante altre sue qualità quella della sua assoluta genuinità, risultato di idee chiare, di spiccata personalità e di capacità di passare dalle parole ai fatti.
Sergio non aveva mai una doppia faccia, diceva quello che pensava e pensava quello che diceva e soprattutto faceva quello che diceva. Non è da tutti.
Molti erano i compagni che lo amavano, ma tutti lo rispettavano proprio per questo modo di essere e cioè di vivere da anarchico in modo schietto e sincero: aperto con gli altri senza essere un “buonista”, generoso con tutti, ma con la consapevolezza di chi sa dove andare con uno o cento compagni di viaggio.
Molti compagni in questi giorni hanno ricordato Sergio Costa come il direttore per antonomasia di Umanità Nova e cioè come il compagno anarchico che accetta il rischio di tutte le conseguenze legali di tale sua qualità senza assumersi né particolari onori né compiti censori nei confronti di coloro che con lui hanno sempre avuto la massima libertà nello scrivere sul periodico storico del movimento anarchico italiano.
Ma questo è l’aspetto della vita di Sergio che sarà ricordato negli annali della storia del movimento anarchico. A me piace però anche ricordarlo dietro i fornelli a preparare da mangiare per decine di compagni o con la sua bicicletta con appesi i sacchetti della spesa con dentro i giornali che andava a distribuire durante le manifestazioni: era un direttore/diffusore responsabile.
A tutti gli appuntamenti del movimento bastava guardarsi un attimo intorno e lo si vedeva sempre. Quasi una sfinge. O come la montagna che non si sposta mai e che diventa punto di orientamento per coloro che guardano ad un compagno che si rispetta e che è sempre presente per individuare la direzione da prendere in momenti importanti.
Quanti erano i compagni che si fermavano a parlare con lui, non a chiacchierare perché lui le parole le pesava e talvolta rimanevi perplesso perché usciva con delle espressioni così enigmatiche che ti costringevano sempre a pensare, magari non a quello che voleva dire lui in quel momento, ma comunque a farti ragionare da uomo libero.
In questo senso lui era un maestro senza volerlo mai apparire.
Il suo carattere era burbero, ma sempre di un burbero benefico.
Amava stare con i compagni, ma senza compiacerseli, rispettava tutte le anime del movimento, nella consapevolezza di rappresentarne una parte significativa. Dava rispetto a tutti ed è per questo che sempre è stato rispettato. Le sue parole di critica erano accettate così come i suoi apprezzamenti perché entrambi erano sinceri e sgorgavano dal suo intimo. Potevi non essere d’accordo con lui e lui con te, ma da parte sua non vi erano mai né rancore né risentimento.
Era un compagno rappresentativo, era schierato in modo inequivoco, ma non si comportava come un leader ed utilizzava la sua chiarezza politica per collaborare con tutte le realtà del movimento anarchico, scambiando esperienze e cercando sempre di trovare un comune denominatore.
E così lo ricordano con affetto non solo i compagni della FAI, che gli sono stati sempre vicini, ma anche quelli del Torricelli, della Rivista Anarchica, dell’USI e di tutte le altre realtà libertarie, che hanno avuto modo di conoscerlo senza per questo averlo fra le loro fila, ma anche senza temere che dall’alto della sua esperienza egli potesse “mettere il cappello”.
Un compagno vero che speri sempre di avere al tuo fianco e che quando ti lascia percepisci il vuoto che ha creato con la sua dipartita.
È da tempo che l’immagine del gatto selvaggio è entrata a far parte di grafica e iconografia anarchica. Ed è così che a me piace vedere Sergio Costa: come un gatto di cui percepisci la presenza e sai che ti guarda, autonomo ed indipendente, che sa sempre dove andare e cosa fare. Anche quando si prepara a morire.
Sergio Costa sapeva di morire ed ai compagni a lui più vicini aveva detto che avrebbe levato il disturbo entro agosto e, fedele come sempre alla correttezza e serietà che lo caratterizzavano, aveva pagato la sua quota fino a tutto il mese di agosto e non aveva mancato all’appuntamento con la morte.
Non ha cercato pietismi perché amava essere ricordato come il compagno forte e coraggioso che tutti noi conoscevamo. E così, da uomo di vigore fisico e morale quale era, si è comportato fino all’ultimo suo respiro, impartendo un’ultima lezione di vita: saper morire con amore, dignità e rispetto per gli altri e per sé.
Mi auguro che i compagni della FAI raccolgano ciò che Sergio ha scritto di più significativo e fotografie che lo ritraggono con i tanti compagni che lo hanno conosciuto e possano pubblicare questo materiale a ricordo di un pezzo del movimento anarchico milanese che è andato a raggiungere, tra gli altri, Antonio Pileggi, Otello Menchi ed “Anacleto”.
Perché, dopo la sua la morte, Sergio Costa riviva nella memoria collettiva di tutto il movimento anarchico.

Sergio Onesti

Sergio Costa


A Sergio: bon voyage.
Volerà ancora con la sua bicicletta
portando i giornali in immediata fretta
Stretti nel pacco dietro la dura sella
Infaticabile nella continua e fiera corsa
Il nostro compagno Sergio Costa
Ogni settimana farà il completo giro
Fra librerie, chioschi e metrò di Milano
E imprecherà sino all’ultimo respiro
Il traffico caotico, impossibile, a tutto spiano
Per colpa del solito pirla di un vigile urbano.

Lo aspetteremo insieme al “suo” settimanale
Sicuri di vederlo sempre ridere e scherzare
Per essere il solo, l’unico, direttore irresponsabile
Di un giornale anarchico che, anche a nome suo,
la memoria storica non potrà più cancellare:
Umanità Nova. Il nostro giornale.

Jules Èlysard

 

 

 

Pena di morte

A Occidente...
Preston Hughes III si trova nel braccio della morte dal 17 maggio 1989 in Texas: è un uomo innocente condannato a morte.
Il 26 settembre 1988 due ragazzini (14 e 3 anni) sono stati trovati uccisi, accoltellati, intorno alle ore 21 (Preston conosceva la ragazzina uccisa, era come una sua sorella minore).
Preston dalle 18.30 alle 22.30 di quel giorno ha testimoni chiave oculari che lui era da tutt’altra parte: non sono mai stati sentiti. Perché? In America a volte è più importante fermare “un” colpevole piuttosto che “il” colpevole per rabbonire l’opinione pubblica, si sa.
Sette mesi prima del duplice e infame delitto, Preston andò a caccia e uccise con un coltello un coniglio: non lavò mai il coltello dalle tracce di sangue. La Polizia di Houston sequestrò questo coltello in casa sua senza alcun mandato di perquisizione, con abuso d’ufficio e di potere, e lo arrestò.

Preston Hughes

Vennero fatte le indagini chimiche di rito, e una volta pronte la giuria popolare venne fatta uscire dall’aula! Il perito chimico forense si pronunciò: coltello positivo a sangue animale e negativo a sangue umano! La giuria popolare venne fatta poi rientrare in aula e il p.m. esibì alla stessa il coltello come “arma del delitto”! Preston venne condannato a morte: per aver ucciso un coniglio!
Se da oggi (06/08/2004) entro 3 mesi Preston non riesce a trovare 75/100.000 $ per assoldare un avvocato e un investigatore che lo difendano veramente (non come quelli d’ufficio che gli sono stati affibbiati, perché senza soldi, che non hanno fatto nulla se non ratificare la condanna a morte), lo Stato del Texas fisserà la data di esecuzione verso ottobre/novembre di quest’anno e Preston sarà ammazzato come vittima di una cospirazione, senza aver fatto nulla!
Quest’appello è rivolto a tutte le persone che sentono questa storia come una vergogna e un’onta per l’Umanità intera (pur essendoci purtroppo tantissimi casi simili): aiutateci a trovare questi soldi sennò Preston sarà vigliaccamente ammazzato da innocente!!!
Grazie se ci aiuterete a salvare una vita umana!
I tempi bruciano, anche un solo euro da parte vostra può fare la differenza tra la vita e la morte di una persona innocente!
Associazione AMI.CA. (Amici dei Carcerati), c.p. 84 – 31015 Conegliano (TV), tel. 347/04 65 271 – ccp 10881316 (causale “Pro Preston Hughes III”).

… e a Oriente

Esecuzioni di massa
Un giovane uomo si inginocchia. Ha le mani ed i piedi legati, la testa china. Un soldato gli ordina di stare fermo. Uno sparo e l’uomo si raggomitola al suolo. Un momento dopo, un altro sparo ed un altro corpo raggomitolato. Ancora ed ancora fino a che dozzine di vite sono state stroncate a sangue freddo.
La scena è quella di un’esecuzione di massa. Sono frequenti in Cina, dove migliaia di persone sono condannate a morte ogni anno. Alcune esecuzioni sono pubbliche. La maggior parte si svolgono in luoghi nascosti dopo che i prigionieri sono stati fatti sfilare per le strade nei cassoni dei camion.

Esecuzione a Chengdu, capitale della provincia del Sichuan, 8 luglio 1989

La morte in cifre
Le autorità cinesi usano molto la pena di morte per creare paura. La paura dovrebbe fermare i crimini. Non lo fa. Eppure, vengono giustiziate più persone in un anno in Cina che in tutto il resto del mondo. In molti casi, la pena di morte viene applicata arbitrariamente senza garanzie contro errori giudiziari. La Cina continua ad allargare il numero di reati per cui è prevista la pena di morte. A tutt’oggi, 68 reati sono punibili con la morte, e sempre più persone vengono giustiziate per crimini non violenti. Gli standard internazionali stabiliscono che la pena di morte dovrebbe essere applicata solo in caso di “crimini molto gravi”.
Quasi ogni aspetto del modo in cui la pena di morte viene applicata in Cina è caratterizzato da violazioni dei più basilari diritti umani. Ondate di esecuzioni spesso precedono i principali festival o eventi internazionali e solitamente accompagnano annunci ufficiali di campagne anticrimine.
La pena di morte è stata largamente applicata durante le repressioni dell’opposizione. Decine di cittadini sono stati giustiziati sommariamente a Pechino e nel resto del Paese dopo la protesta del 1989 a favore della democrazia. Nazionalisti musulmani sono stati giustiziati nello Xinjiang in questi anni per supposto coinvolgimento in gruppi d’opposizione clandestini o attentati dinamitardi.
Un numero crescente di persone è giustiziato per reati relativamente modesti. Nel 1994 due contadini sono stati messi a morte nella provincia di Henan per aver rubato 36 mucche e macchinari agricoli del valore di 9.300 dollari. Una legge del 1983 permette processi sommari in casi che prevedano la pena di morte. Tali processi sono particolarmente frequenti durante campagne di “pulizia”. Ad esempio, durante manifestazioni pubbliche nella provincia di Guangxi nel giugno 1995, 34 persone sono state condannate per spaccio di droga ed immediatamente giustiziate.
Gli imputati possono essere processati senza un avvocato e senza conoscere l’accusa fino al momento di entrare in tribunale. I verdetti sono spesso decisi prima del processo per via di pressioni politiche. Alcune persone sono condannate solo in base alle loro confessioni, a volte estorte sotto tortura. Le esecuzioni possono avere luogo entro pochi giorni dalla sentenza. Gli appelli sono formalità e raramente hanno successo. I prigionieri condannati a morte sono incatenati dal momento della sentenza fino all’esecuzione e spesso vengono esposti al pubblico prima dell’uccisione.

Reati punibili con la morte
In Cina lo stato uccide per:
avvelenamento di bestiame – omicidio – tentato omicidio – omicidio colposo – uccisione di una tigre – rapina a mano armata – rapina – stupro – ferimento – assalto – furto ripetuto – furto – intrusione – rapimento – traffico di donne o bambini – organizzazione della prostituzione – sfruttamento della prostituzione – organizzazione di spettacoli pornografici – pubblicazione di materiale pornografico – teppismo – disturbo dell’ordine pubblico – esplosioni provocate – distruzione o danneggiamento della proprietà pubblica o privata – sabotaggio controrivoluzionario – incendio – traffico di droga – corruzione – truffa – concussione – frode – usura – contraffazione – rivendita di ricevute IVA – evasione fiscale – furto o costruzione illegale di armi – possesso o vendita illegali di armi e munizioni – furto o contrabbando di tesori nazionali o reliquie culturali – spaccio di denaro falso – ricatto.

Amnesty International
Ripreso dal sito: www.amnesty.it/campaign/cina/b_pdm.htm

 

“Speranza” e tradimento

In una Milano sempre più multietnica è possibile che dodici lavoratori egiziani e una eritrea restino senza lavoro dopo ben tredici anni di servizio per il semplice fatto di essere extracomunitari? Parrebbe di sì. L’Istituto Leone XIII ha disdetto il contratto di appalto per le pulizie alla “Interservice” per affidarlo alla ditta “Speranza”: il fatto non costituisce reato e sarebbe dunque poco degno di nota se non fosse che la ditta subentrante, la “Speranza”, violando tutte le norme di legge e di contratto non si fosse rifiutata di assorbire gli addetti che già lavoravano presso il “Leone XIII”.
Guido Trifiletti, segretario regionale CUB ha contattato la "Speranza" per capire le ragioni e Massimo Manfredini, uno dei dirigenti della ditta che ha il nuovo appalto ha fornito come unica spiegazione il fatto che “la dirigenza della scuola non vuole quei lavoratori”.
“Ho naturalmente contattato il Leone XIII e chiesto più volte di parlare con il dottor Gulinatti per capire se questa affermazione di Massimo Manfredini corrispondesse a verità, ma non mi hanno mai risposto – afferma Guido Trifiletti – e quindi la FlaicaUniti CUB, insieme ai lavoratori, ne deduce che le possibilità sono due: o questa è una scusa messa in campo dai rappresentanti dell’Impresa ‘Speranza’ per non farsi carico del destino di 13 lavoratori e la dirigenza dell’Istituto non è coinvolta, o si tratta di puro e semplice razzismo”.
La FlaicaUniti CUB insieme ai lavoratori chiede alla dirigenza del Leone XIII di smentire l’affermazione di Massimo Manfredini e di risolvere in modo positivo la vicenda dei 12 lavoratori egiziani e della lavoratrice eritrea ingiustamente finiti sulla strada dopo 13 anni di servizio. I lavoratori, insieme alla FlaicaUniti CUB, stanno in questo momento (a partire dalle ore 15) presidiando l’Istituto per protestare e ottenere maggiori informazioni e chiarimenti sulla vicenda.
Per informazioni: Guido Trifiletti cell. 338 4713789 – Fabia Caporizzi 349 1937558.

 

A proposito di un Festival

Nei giorni del primo week-end di agosto si è tenuto a Carrara, e precisamente nel bel Parco della Padula, un festival intitolato “UrlaPadula” organizzato da Contatto Radio, radio locale che fa parte del circuito Popolare Network. Numerose le iniziative, i concerti, le presentazioni, i dibattiti – tra cui anche una simpatica presentazione del nostro doppio Cd mille papaveri rossi. Tanta gente, nessun problema particolare, insomma un bel successo.
Sulla prima pagina de Il Sole-24 Ore del 30 agosto, però, è comparso un articolo a firma di Luca Paolazzi dal significativo titolo “Quei marmi d’autore feriti da ‘urla’ e vandali”. In realtà i danni subiti da alcune delle opere artistiche di marmo disseminate nel Parco erano tutti stati realizzati da ignoti vandali nei mesi precedenti il Festival, come testimonia anche la documentazione fotografica realizzata dai promotori del Festival. Lo spiega bene un lungo comunicato di Contatto Radio, in cui si ricostruisce la storia del Parco della Padula e si accusano le autorità cittadine di incuria e disinteresse. È lo stesso articolo del quotidiano confindustriale ad ammetterlo, in palese contrasto con il titolo “terroristico”.
Ma tant’è. A livello locale si è scatenata la polemica e l’indicazione lanciata da lor signori è precisa: basta concessioni della Padula ai rockettari. Nel 2005 niente UrlaPadula.
Peccato che, come sottolineano giustamente i promotori del Festival, la salvezza del Parco della Padula stia proprio in una sua riappropriazione da parte della gente, che lo porti ad essere sempre più “vissuto” e sentito come proprio, sottraendolo così a vandali, tossicomani e all’inedia di chi dovrebbe curarsene.
Intanto, dopo UrlaPadula, è sceso in campo UrlaPadrone..

P.F.