rivista anarchica
anno 34 n. 303
novembre 2004


anarchismo

Tracciare il limite
di Francesco Codello

 

La nostra idea può essere accettata sempre e comunque in ogni tempo e in ogni spazio?

 

Orrore, orrore, orrore. Che altro dire dopo quanto è successo in Ossezia, in quel primo, tragico, giorno di scuola. Possiamo ancora commentare, analizzare, capire le ragioni, i torti, le speranze, le delusioni, le ingiustizie, di un popolo, di povera gente che viene manipolata da uno Stato (la Russia) o da un contro-stato (il terrorismo)?
Non è facile, in questi frangenti, mantenere la calma, preservare la lucidità, alimentare la speranza.
Ma abbiamo il dovere morale di provarci.
Che cosa sia successo realmente, quale sia stata la dinamica dei fatti, poco importa di fronte all’esito finale. La morte, la violenza, il terrore, sono davanti agli occhi di noi tutti. Nessuno può far finta di non aver visto, nessuno può esimersi dal pensare, riflettere, non possiamo tacere, nessun alibi, nessuna giustificazione.
Può forse la pur sacrosanta e giusta rivendicazione di libertà e di autonomia del popolo ceceno trovare espressione in un simile terrore, può l’inaudita violenza messa in atto giustificarsi, o anche solo aggrapparsi, alla causa di queste genti logorate da una dittatura statale che reprime ogni anelito di vera libertà?
No, senza se e senza ma. No, no, no!
Allora, almeno per una volta, nessun distinguo, nessuna spiegazione pur sottile, può anche solo attenuare il nostro sgomento, la nostra rabbia per quanto è successo in questa scuola, ma anche per tutto ciò che avviene in tante, troppe, parti del mondo, in guerre vere e proprie, in paesi sistematicamente dimenticati come il Ruanda, in tante e troppe realtà nelle quali sempre più non sono gli eserciti a contrapporsi, soldati che uccidono e muoiono (e già tutto questo basterebbe per far sentire tutta la nostra indignazione), bensì sono i civili (grandi e piccoli) ad essere le vittime inermi, pedine senza valore di uno sporco sistema che si regge specularmene sulla contrapposizione tra la politica degli stati e quella dei terroristi.

Considerazioni ineludibili

Ma alcune domande irrompono prepotentemente e meritano una risposta. Soprattutto una questione mi pare debba essere affrontata, non tanto perché il modo con cui viene continuamente posta sia corretto, quanto perché ci permette di svolgere alcune considerazioni ineludibili e necessarie.
La domanda è questa: l’Islam è compatibile con la democrazia? Come ho già detto questo quesito è mal posto, perché rincorre una più o meno esplicita tesi, secondo la quale nel mondo contemporaneo vi sarebbe un evidente scontro tra due civiltà, quella islamica e quella occidentale.
Tralasciando la grossolanità di questa tesi, la superficialità di queste argomentazioni, in realtà tutto ciò si rivela sempre più come un tentativo di ideologizzare, alimentando sentimenti come la paura, l’insicurezza, la religiosità, uno scontro che ha ben altri significati.
Esiste un problema però che va analizzato con serenità e laicità. Si tratta di quel processo di secolarizzazione attraverso il quale altre espressioni religiose hanno progressivamente separato, anche se mai veramente compiutamente, potere religioso da potere politico.
Questo processo storico ha notevolmente attenuato questa identificazione, sviluppando una certa laicità dei comportamenti sociali, separando le scelte storiche da quelle esistenziali e religiose. In altre parole, con punte più evolute e altre più tradizionali, gli uomini e le donne che confessano un credo religioso, sia in occidente che in oriente, a partire soprattutto dalla rivoluzione protestante per quanto riguarda il continente europeo, hanno rivendicato una sempre maggiore autonomia di scelta quando si trattava di problemi sociali.
Questo processo è molto più lento nei paesi che tradizionalmente sono di religione islamica. Perché? Inoltre occorre registrare un altro fatto che ci riguarda più da vicino. L’anarchismo si è sviluppato in contesti culturali, sociali, geografici diversi tra loro, ma mai, per quanto ne so, in questi paesi. Perché?
I paesi musulmani considerati più aperti, sono quelli che hanno aperto più in fretta le porte alla globalizzazione economica, ma la realtà di queste società, nella sua struttura essenziale, in termini di sviluppo della libertà di pensiero e di azione, è diversa da quella delle società più chiuse?
Esiste quindi una relazione tra religione musulmana, società islamica e possibilità di libertà?
Non credo possibile accettare le risposte di certi nostri intellettuali che, con vero spirito ideologico al servizio del Potere, hanno chiuso la questione con la teoria dell’inevitabile scontro di civiltà o con quella della superiorità dell’una sull’altra, con le inevitabili conseguenze che ciò comporta.
Ma esiste un problema per noi ineludibile. Può, e se si, in che modo, crescere un progetto di libertà, così come noi la intendiamo, in un mondo che nei suoi presupposti fondamentali, non permette agli uomini e soprattutto alle donne, di scegliere al di fuori della fede religiosa, interpretata e predicata secondo una tradizione rigidamente gerarchica, oppure di esprimere comportamenti diversi da quelli codificati?
I problemi sono logicamente complessi e investono questioni geo-politiche, economiche, culturali, storiche, religiose, ecc., ma occupiamoci qui di una piccola parte di questa complessità, pur senza perdere di vista l’insieme ma, nello stesso tempo, limitando la nostra analisi ad alcuni elementi.

Relativismo o universalismo?

E qui non abbiamo che due apparenti alternative: o siamo convinti che ogni cultura esprima una concezione della libertà propria e che questa debba essere non solo rispettata ma anche difesa e sostenuta (relativismo culturale), anche quando palesemente in contrasto con quella idea di libertà che noi abbiamo fin qui faticosamente definito, oppure pensiamo che esistano dei valori universali, imprescindibili per ogni contesto sociale umano, che trascendono tutte le relative situazioni, e che debbano essere difesi e soprattutto sviluppati laddove non esistono ancora.
Il problema di queste due opzioni è che ambedue non consentono, alla fine, alcuna vera via d’uscita, nel senso che entrambe contengono i germi del possibile totalitarismo. Infatti se noi abbracciamo la teoria del relativismo culturale, nel momento in cui accettiamo che il concetto di libertà sia relativo, e sicuramente lo è, non possiamo che, se desideriamo che ogni essere umano sia libero da ogni forma di dominio, soccombere, giustificandola, ad una specifica cultura. Se invece pensiamo che vi siano dei valori universali a-temporali e a-spaziali e che questi siano quelli del mondo in cui viviamo, e desideriamo sempre vedere gli esseri umani liberi, faremo di tutto perché questi nostri principi diventino di tutti.
Detta così la soluzione non appare che quella di scegliere tra le due opzioni e ciò è quello che tutti, a destra e a manca, vogliono costringerci a fare. Ma si sa che gli anarchici sono irrequieti e insoddisfatti per natura. E allora dobbiamo trovare come uscirne. Quella che può sembrare ambiguità, per i cultori della logica da pensiero unico, talvolta è in realtà una forza che garantisce ad un argomentare libertario di cercare e quasi sempre di trovare altre strade, altre soluzioni, senza accettare di essere schiacciati dentro una logica dualistica rigida.

Valori forti e definiti

Se pensiamo alla nostra storia, al difficile equilibrio di volta in volta ricercato rispetto a questioni cruciali come il rapporto coerente tra mezzi e fini, all’uso della violenza, alla coesistenza quotidiana dentro un sistema di sfruttamento e di oppressione, alla convivenza stretta con altri esseri umani così profondamente diversi, non possiamo che riscontrare come, pur dentro dei valori forti e definiti, irrinunciabili e universali, la nostra azione sia stata e sia tuttora nutrita di queste “ambiguità”. Ma è indispensabile, come ben diceva Paul Goodman, tracciare il limite, definire di volta in volta alcuni paletti, oltre i quali non è proprio possibile andare, pena l’automatica sconfessione dei presupposti fondanti la nostra idea.
Quindi sia i fanatici religiosi della coerenza, che i pragmatici degli affari e delle convenienze, non appartengono al nostro mondo; noi, molto più modestamente, riconosciamo le nostre debolezze, conviviamo con esse, nella convinzione che queste siano proprio la nostra forza. Perciò dobbiamo tracciare il limite sia rispetto al relativismo che all’universalismo culturale, soppesarli e praticarli fintantoché non diventano rassegnazione o imposizione. È certamente difficile, ma non impossibile nella vita quotidiana, perché attraverso il confronto vero, magari duro, ma sincero, è possibile tracciare sempre questo limite, rifiutare o accettare, difendere o combattere, ogni situazione reale. Può sembrare questo un anarchismo minore, o forse addirittura un non anarchismo. Preferisco correre questo rischio, piuttosto che consegnare il mio cervello a qualche cosa che sta fuori di me. E poi siamo così certi che i valori dell’anarchismo siano valori universali? O che la nostra idea possa essere accettata sempre e comunque in ogni tempo e in ogni spazio? Di sicuro so che non possiamo imporla, mai.

Francesco Codello