rivista anarchica
anno 34 n. 303
novembre 2004


sindacale

“L’autunno sarà caldo”
di Cosimo Scarinzi

 

Destrutturazione in quattro mosse di un evento annunciato.

Prima mossa
la mossa si esegue d’estate

I media di sinistra, di centrosinistra, di destra illuminata fanno delle inchieste mirate sul disagio dei lavoratori atipici, sulle nuove povertà, sugli effetti devastanti del taglio del welfare sia per i lavoratori sia per i cittadini.
Escono finalmente inchieste giornalistiche decenti, pensano gli ottimisti irriducibili, la classica scoperta dell’acqua calda dei giornalisti che non sanno che dire dopo la fuga a Casablanca del mostro di Loch Ness intenzionato a cambiare sesso, affermano gli scettici.
Senza schierarsi per gli uni o per gli altri, una cosa è evidente: se i media decidono che la tensione sociale latente, detesto chiamarla disagio, è un buon argomento, vuole proprio dire che qualche problema c’è e che quanto resta di non bollito nelle classi dirigenti inizia ad essere seriamente preoccupato.

Un passo indietro

Che non tutto vada bene nel nostro amato paese era, questo va riconosciuto, oggetto di discussione da qualche tempo. In particolare diversi esponenti della sinistra (1), in particolare Gallino ma non solo, hanno posto l’accento sul declino del sistema industriale e, di conseguenza, dell’economia nazionale. La storia del declino industriale è stata minuziosamente ricostruita e si scopre che il cavaliere azzurro ne è responsabile abbastanza poco giacché si tratta di una decadenza che ha una storia decennale. Ma la sinistra insiste, se anche Berlusconi non è il padre del declino è un medico sciagurato che si orna il capo di ghirlande e deliba vini prelibati mentre il paziente è entrato in uno stato preagonico. La riflessione sul declino industriale dell’Italia, per la verità, è seria ed interessante e conduce ad alcune necessarie riflessioni sulla natura della borghesia, appunto, nazionale ma non è questa la sede per sviluppare una ricostruzione del dibattito economico e sociologico sull’argomento. Interessa, invece, porre l’accento che, se vi è e se si riconosce che è grave, un declino ne deriva – non per noi, ma non è questo il punto – che è necessaria un’azione di risanamento e rilancio dell’economia nazionale. E il patto sociale che aveva, nel 1993, come oggetto il risanamento del bilancio e l’“entrata in Europa” spunta fuori come un coniglio dal cappello e si definisce intorno alla fuoriuscita dal declino. Ma, nel merito, torneremo alla terza mossa del nostro minuetto.

Seconda mossa

Sempre d’estate, il primo poliziotto d’Italia, il democristiano di sinistra transumato a destra ma non troppo, Pisanu, rilascia un’intervista di carattere giallistico a “L’Espresso”, settimanale della sinistra radical chic non passato alla destra economica perché dalle posizioni della destra economica non si è mai minimamente discostato.
Nell’intervista, il nostro eroe parla del più e del meno, dei marxisti leninisti, dei sardisti, degli islamisti, degli anarcoinsurrezionalisti mentre non si esprime sulla cucina bulgara e sul canto gregoriano. Fuor di burla, il ministro provvede a disegnare uno scenario preoccupante o, dipende dai gusti, entusiasmante. Preannuncia, infatti, la calata di orde di sovversivi politici e sindacalisti di base nei cortei sindacali ed una stagione di scontri di piazza duri e preoccupanti.
Non c’è bisogno di essere particolarmente acuti per ricordare cosa sia una profezia che si rende vera. Se il responsabile dell’ordine pubblico evoca scontri di piazza, è ragionevole attendersi che i suoi dipendenti provvederanno a rendere vera la profezia. In realtà, si può dare delle posizioni di Pisanu un lettura parzialmente diversa rispetto alla sola minaccia preventiva e la si può interpretare come una mano tesa alla sinistra istituzionale sia politica che sindacale alla quale è affidata la gestione del conflitto in termini compatibili.
Gli scontri di Acerra, i tafferugli che hanno coinvolto Albertini e Formigoni all’Alfa di Milano, le denunce agli autoferrotranvieri sono fatti da valutare con grande attenzione. Chi gioca fuori dalle regole è oggi un soggetto a rischio. In un certo senso proprio la vicenda degli autoferrotranvieri, quella svoltasi più “a freddo”, colpisce di più. Esauritasi l’onda di lotta parzialmente vincente di alcuni mesi addietro, arrivano i castigamatti a ricordare che la macchina della repressione può essere tarda ma arriva e che è bene non esporsi.

Terza mossa
con passo indietro

Se l’elezione di D’Amato alla presidenza della Confindustria aveva preannunciato, assieme alle suggestive dichiarazioni di un Giovanni Agnelli vetusto ma ancora potente, l’ascesa di Silvio Berlusconi, la fine di D’Amato e l’elezione in suo luogo di Luca Cordero di Montezemolo, segnala, in primo luogo che la tradizionale oligarchia che ha governato la Confindustria ha ripreso in mano la situazione e, in secondo luogo, che il padronato prende le distanze dal governo e apre un confronto aperto sia con la destra che con la sinistra e guarda al sindacato come ad un interlocutore importante ed affidabile.
La strategia di D’Amato che aveva puntato a battere sul campo la CGIL è abbandonata e il nuovo presidente di Confindustria dichiara apertis verbis che intende trattare senza pregiudiziali con l’intero schieramento sindacale istituzionale.
Le buone intenzioni, lasciamo al suo psicoanalista e al suo cappellano di palazzo le interpretazioni delle sue motivazioni profonde, del nuovo presidente di Confindustria si scontrano con un problema banale, volendo una bazzecola, e cioè il fatto che il padronato vuole sì restaurare il patto sociale del 1993, vuole sì che il sindacato sia un partner ma non vuole – o non può? – fare concessioni economiche vere e serie. E, allora, tutto il discorso sull’emergenza salariale scompare dall’orizzonte.
Naturalmente, se vi è volontà di intendersi, un’intesa si può sempre trovare e fra Confindustria e CISL un percorso è stato individuato. Schematizziamo:

  • Indebolire la contrattazione nazionale e puntare su quella aziendale. Sebbene, detta così, possa apparire accattivante a qualche fautore del federalismo purchessia, la proposta vuole dire solo che gli aumenti salariali sono legati in maniera pressoché totale all’andamento delle singole aziende e alla disponibilità delle aziende stesse a fare concessioni.
  • Liberare risorse per il salario diretto riducendo la pressione contributiva. In altri termini, soldi freschi subito ma taglio della previdenza.
  • Liberare risorse recuperando quote di TFR. Non un aumento ma un anticipo.

Ritengo sia abbastanza chiaro che la logica di ciascuna delle tre proposte accennate o di una loro combinazione è quella di non dare effettivi aumenti se non nelle aziende più robuste ma di calmare i bollenti spiriti dei lavoratori a costo zero.
Se la CISL non ha problemi ad accettare una filosofia sindacale del genere, non altrettanto si può dire della CGIL che ha l’ingombro della FIOM e, in ogni modo, un radicamento fra i lavoratori industriali di maggior consistenza numerica e di maggior spessore sindacale.
In ogni modo, la decisa disponibilità della CISL ad “andare a vedere” le proposte di parte padronale in primo luogo indebolirà il fronte sindacale ed in secondo luogo aprirà la strada ad un più corrucciato cedimento della CGIL salvo che non vi siano novità importanti.


Quarta mossa
con tentativo di uscita laterale

Che la situazione sia tesa è evidente. Oltre sei milioni di lavoratori in attesa di contratto. Una controriforma delle pensioni in via di attuazione. La crescita numerica dei lavoratori che si è stabilito di definire anomali anche se oggi sarebbe forse opportuno definire anomali i lavoratori che “godono” di un contratto tradizionale e la mancanza di garanzie e di reddito che li caratterizza. Lo smantellamento del welfare. Non mi dilungo su questo punto per non tediare i lettori.
Che i meccanismi di controllo volti a bloccare o a deviare il movimento siano attivati è altrettanto evidente. Come abbiamo visto, dei punti di crisi esistono ma esprimono, di per sé, solo delle potenzialità.
Se, però, su questi punti di crisi provassimo a ragionare assieme, se i compagni d’area libertaria intervenissero con metodo, continuità, capacità di coordinarsi su questi punti, sarebbero possibili risultati molto interessanti e per il movimento dei lavoratori e per il movimento libertario.
Penso, per fare un solo esempio, che la nostra area è l’unica non ingessata in logiche parlamentari e che non ha il problema di costruire un consenso elettorale e, soprattutto, di accreditarsi presso i gruppi di potere reali come sono costrette a fare destra e sinistra. Penso che questa libertà ci consente di prendere posizioni chiare su tutte le questioni in ballo.
Vedremo, e fra non molto, se le mie sono le speranze di un inguaribile ottimista o se hanno un qualche fondamento.

Cosimo Scarinzi

1. La destra ha continuato a sostenere che tutto va bene e che dire il contrario porta sfortuna sino a quando ha potuto per, poi, pigliarsela con il terrorismo islamico e con un destino cinico e baro che avrebbero tarpato le ali al miracolo azzurro.