rivista anarchica
anno 35 n. 305
febbraio 2005


dominio

Dove va il mondo?
di Andrea Papi

 

L’azione, il pensiero e le proposte degli anarchici tendono, com’è nella loro natura, a scardinare ogni logica di dominio.

 

Dove va il mondo? Classica domanda che, stimolata dalla miriade d’informazioni mediatiche e non che ci sommergono quotidianamente, di tanto in tanto affiora alla mente intrisa di un coacervo di emozioni: preoccupazione, speranza, senso d’impotenza e di solitudine intellettuale, voglia di risorgere, depressione, ecc. Nella sua formulazione il concetto di mondo è estremamente lato, capace di comprendere un sacco di cose di vastissima portata, come l’intero genere umano e la stessa fisicità del pianeta, ma anche le tensioni legate al pensiero e all’immaginario individuale. In ogni caso l’approccio è sempre antropocentrico, nel senso che s’impone una lettura tipica ed esclusiva del genere umano, con tutte le sue sfaccettature e la sua complessità, all’interno di dimensioni intellettuali ed immaginative solo ad esso comprensibili. Per cui il centro del problema, o se preferite dei problemi, posto dalla domanda è e non può essere altro che il nostro destino (quello che temiamo e quello che desideriamo).
Ognuno risponde in base alle sue propensioni, ai suoi desideri, alla propria storia, alla propria interpretazione del mondo. In ogni caso, anche quando c’illudiamo di aver trovato una risposta, in cuor nostro sappiamo perfettamente che non è possibile rispondere, perché non è possibile sapere quale sarà il cammino futuro che tutti ci riguarda. Ugualmente la domanda ha senso, innanzitutto perché proviene dalle viscere, poi perché ci stimola enormemente a riflettere sullo stato delle cose e sulle possibilità o non possibilità d’intervenire e di tentare di essere presenti e protagonisti.
Alla ricerca della comprensione di dove potrebbe andare il mondo, consapevoli che non c’è e non ci può essere, fortunatamente, un percorso univoco e maledettamente ineludibile, mentre esistono sempre più possibilità di direzione, perché sono molteplici le tensioni, i desideri ed i bisogni spesso contrapposti che pullulano nel cammino arzigogolato e travagliato del genere umano, si cerca allora d’identificare delle linee di tendenza particolarmente rilevanti, capaci di dare un senso di marcia al cammino che, nolenti o volenti, ci coinvolge.

Momenti apparentemente scollegati

Motivato istintivamente da questa spinta propulsiva capace di mettere a nudo la mia perspicacia, nel tentativo d’intuire la direzione del cammino che stiamo percorrendo ho soffermato la riflessione personale su tre momenti, apparentemente scollegati tra loro, che mi sembrano però indicativi della fase e dell’epoca che stiamo attraversando.
O, perlomeno, sono capaci d’indurmi a pensare sul cosa stia succedendo, nel senso di spiegarmi, appunto, dove va il mondo.
Il primo prende spunto da un articolo di Rodotà su “La Repubblica” *. Affronta il problema della modificazione elettronica del corpo, che a suo dire, e mi trova del tutto consenziente, …è già nella concreta realtà che viviamo e non si trova soltanto nelle opere di fantasia… L’articolo è molto dosato e utile. Informa e pone problematiche, rifiutando di lasciarsi andare a fantasie su catastrofici futuri ambientati in lande di desolazione antiumana. Allo stesso tempo mette in guardia con fermezza dai pericoli insiti in quella che …è già concreta realtà… Ci fa capire che siamo pienamente calati in una vigilia di possibili cambiamenti strutturali della stessa natura del corpo che, …modificato tecnologicamente, diverrebbe per ciò post-umano?
Oggi sono operativi, in alcuni casi già operanti, chip e sensori che, introdotti nel corpo e collegati a un computer, sono in grado di fornire in ogni momento informazioni sullo stato di chi ne è portatore.
Naturalmente le prime motivazioni addotte per una tale introduzione sono direttamente legate alla ricerca sul miglioramento dello stato di salute individuale, per malattie come il diabete, le cardiopatie, o l’HIV, che fa sempre bella figura perché mostra di agire per il “bene” collettivo.
Ma già una discoteca di Barcellona, attraverso un chip impiantato in clienti consenzienti, permette loro di entrare e consumare senza problemi perché pagano attraverso operazioni elettroniche di identificazione a distanza. Negli USA sono già in commercio armi che permettono di sparare solo al possessore, identificato sempre da un chip installato.
In Messico viene controllato l’accesso a un centro di documentazione importate dopo aver installato microchip nel braccio di un procuratore generale e di 160 suoi dipendenti. Questi sono solo alcuni esempi di una realtà in movimento, destinata a mio avviso ad avere un aumento esponenziale in un lasso di tempo non troppo lungo.
Ma già, c’informa sempre Rodotà, il premier britannico Blair propone di voler …etichettare e controllare via satellite i cinquemila più pericolosi criminali inglesi,… ai quali, …pur avendo scontato la pena, cancellerebbe la libertà di circolazione e tutte le connesse forme di autonomia individuale
Con un salto, direi scontato, si passa con gran noncuranza dal problema della salute a quello della sicurezza, che in troppi casi sta diventando quello di una paura accuratamente costruita ed alimentata per accrescere i controlli ed arrivare ad una società della sorveglianza.
E chi ci assicura, aggiungo io, che un domani, sottolineo già possibile, tutto questo bel po’ po’ di tecnologie operanti ed operative non venga tranquillamente usato per nullificare dissidenze ritenute troppo pericolose per i poteri costituiti?
I microchip per modificare i comportamenti individuali a distanza ci sono già, come quelli in grado non solo di segnalare lo stato di una persona, ma di introdurre informazioni e di indurre e stimolare. È facile e conseguente capire come simili intromissioni nel corpo, destinate in breve ad essere perfezionate e ad aumentare la loro sofisticazione, pongono un problema urgente ed estremamente rilevante: mettono in discussione l’autonomia stessa della persona e potenzialmente rappresentano strumenti di efferato controllo, in grado di esercitare un potere assolutista da parte di chi lo detiene.

Verso il collasso

Il secondo momento prende spunto dalla conferenza ONU sul clima, svoltasi a Buenos Aires nella metà di dicembre 2004, dal rapporto mondiale Living Planet 2004 del WWF uscito in contemporanea alla conferenza ONU e dal rapporto annuale del WWI (la più importante organizzazione internazionale di studio e ricerca ambientale). Tutt’e tre sono in sintonia perfetta nel denunciare lo stato delle cose dal punto di vista della tendenza ecologica. Tutt’e tre sono strutture ufficiali riconosciute dalle istituzioni governative, quindi parlano la lingua di chi ha in mano le sorti del pianeta. Tutt’e tre ci sbattono in faccia una sequela ininterrotta di dati ufficiali, non interpretabili diversamente, che mostrano come stiamo marciando a vele spiegate verso il collasso e una futura prossima generale catastrofe. Tutt’e tre sono in sintonia e confermano le conclusioni apocalittiche sul futuro del pianeta del rapporto Swartz Randall, che fu commissionato dal Pentagono (altra istituzione ufficiale), tuttora top-secret, ma le cui conclusioni sono state rivelate da Foster, uno dei massimi esperti militari USA e docente presso il College of the Armed Forces.
Per avere un’idea delle succulente previsioni che ci regalano i gestori del mondo, veniamo per esempio informati che dal 1968 ad oggi mentre il terrorismo ha ucciso in tutto 24.000 persone le catastrofi ambientali ne hanno sterminate 240.000 all’anno. Oppure che entro poche decine d’anni i vari stati si affronteranno militarmente, con le devastazioni apocalittiche ormai arcinote, per l’accesso alle derrate alimentari sempre più scarse, all’acqua, sempre più bene prezioso, e all’energia, propinandoci un futuro prossimo di stati perennemente in guerra tra loro per la sopravvivenza. Oppure ancora si calcola che entro il 2050, e sono sempre calcoli per difetto, ci potrebbero essere 150 milioni di persone in fuga da terre rese inabitabili dai cambiamenti climatici; già è possibile notare che alluvioni e siccità sono raddoppiati, di quantità e intensità, negli ultimi dieci anni, generando sconvolgimenti profondi, tali che il numero dei rifugiati ambientali supera i 25 milioni, più dei rifugiati politici. Per completare, aggiungo solo che secondo il Living Planet del WWF, che misura l'impatto dell'uomo sugli ecosistemi del pianeta, consumiamo il 20% in più delle risorse naturali disponibili, mentre le specie animali collassano letteralmente (è ovvio che non consumiamo tutti allo stesso modo: c’è chi vive in una spudorata superabbondanza contro miliardi di esseri umani che muoiono di fame e stenti).
Questi sono solo alcuni dei dati previsionali, forniti direttamente dagli organi ufficiali in un certo senso collegati in modo istituzionale ai responsabili delle sorti del pianeta, ma già sufficienti per rendere l’idea di che cosa ci sta aspettando. È il caso di dire che già da tempo non ci sono più alibi. Sanno e sappiamo quali sono le cause, le origini e le conseguenze delle scelte irresponsabili che sono alla base della conduzione delle cose del mondo. Non oso dire saggezza, ma semplicemente intelligenza, un minimo accorta, suggerirebbe di invertire al più presto la rotta, di bloccare questo dichiarato e consapevole folle sfascio, per cogliere i residui di speranza per uscirne. Eppure, al contrario, per l’ennesima volta i capi di stato e i gestori che ci sovrastano decidono bellamente che non ci sono le condizioni per trovare la maniera di cambiare. Non c’è accordo nemmeno per tentare di applicare finalmente il famoso accordo di Kyoto, misura del resto del tutto insufficiente, dal momento che limiterebbe le emissioni inquinanti solo del 5%, mentre secondo i climatologi ci vorrebbe almeno il 70%.
Non possono farlo, perché il sistema economico e produttivo di cui siamo schiavi non si può permettere di rinunciare ad essere quello che è e vuole essere. Anche intuitivamente ci si rende conto della sostanziale stupidità di un simile ragionamento, dal momento che i costi per tentare di rimediare di volta in volta all’abnorme enormità dei danni che conseguono dal mantenimento del modello di sviluppo, di produzione e di consumo vigenti sono molto maggiori dei profitti che se ne ricavano. Ma i profitti si accumulano solo in pochissime tasche, quindi fanno una gran buona riuscita, mentre i danni vengono paritariamente ed equamente distribuiti, anche se a sentirne fino in fondo le conseguenze è solo la gran massa di sempre dei reietti e dei non abbienti.
Sintomatica ed eclatante in questo senso la presa di posizione dell’attuale ministro per l’ambiente di casa nostra, Altero Matteoli, che al convegno internazionale sul clima a Buenos Aires ha dichiarato che dopo il 2012, quando scadrà la prima fase di applicazione del protocollo di Kyoto, se USA, Cina, India e gli altri paesi che non vi aderiscono continueranno a non aderire, anche l’Italia se ne dichiarerà fuori perché non se lo potrà più permettere economicamente. Così i nostri governanti, in accordo con gli industriali, i finanzieri e le lobbies dei lucratori sull’inquinamento progressivo, non si possono permettere di tentare di por rimedio alla catastrofe dichiarata, a questo punto anche annunciata e attesa, da loro stessi consapevolmente organizzata e messa in opera.

Dotto acume clericale

Il terzo momento prende spunto dal discorso pronunciato dal cardinale Tettamanzi il 7 dicembre 2004 nel tradizionale messaggio alla città di Milano per sant’Ambrogio, incentrato sul problema della solidarietà sociale. Lo ritengo rilevante perché mi sembra contenga alcune novità rispetto al tradizionale porsi ecclesiastico ispirato dalla dottrina sociale della Chiesa. Non si limita ad invitare i cittadini a sentirsi solidali con tutti ed a rendere operative pratiche di solidarietà. Va oltre e, con dotto acume clericale, spazia nel e invade il campo della politica, col preciso proposito di dettare legge e stabilirne l’etica.
Per Tettamanzi la solidarietà rappresenta una questione sociale di tale ampiezza e importanza, che le istituzioni non possono che assumerla e rifletterla. Solidarietà è ristabilire le eguaglianze: il dovere di chi governa, in quanto è propria di chi governa la città una particolare responsabilità per assicurare il vincolo solidaristico in seno alla società.
Chi ha una responsabilità istituzionale deve rendere possibile l'estrinsecarsi di questo vincolo nella vita cittadina, a tutti i livelli, in tutti i campi, nelle situazioni più diverse. Per lui è giunto il tempo che le forze culturali, sociali, economiche, politiche, finanziarie della città si incontrino attorno a dei “tavoli di discussione” per una riflessione seria e per un grande progetto che riguardi la “sostenibilità del vivere” per tutti.
La solidarietà, continua il cardinale, è il presupposto e l'anima della democrazia, che è partecipazione, capacità per tutti di fare scelte e di prendere parte, in forme diverse, alla vita sociale.
E sottolinea che non è un caso che la nostra costituzione sia fondamentalmente solidaristica. La solidarietà è così anche un modo per rispettare la costituzione, il suo spirito profondo, la sua forza,
la sua ispirazione, quasi il suo “desiderio” di essere per tutti patto amato e condiviso.
Il commento corale che ne han fatto tutti, politici e commentatori compresi, è che la novità di questa riflessione stia nell'aver spostato l'attenzione da comportamenti solidaristici nei confronti del debole, troppo spesso pensati esclusivamente come un dovere di soccorrere chi ha meno oppure, secondo accezioni correnti, come il surrogato laico della carità, ad una visione più ampia di ciò che i legami di solidarietà presuppongono per la vita civile nel suo complesso.
Per noi invece la sua vera rilevanza sta nell’invito alla classe politica, affinché assuma un codice morale di solidarietà sociale nell’esercizio della sua funzione di governo. C’è nelle sue parole un’esplicita esortazione affinché si pervenga ad un vero e proprio abbraccio, non solo simbolico, tra i cittadini, i governati, e i dirigenti politici, i governanti.
La decisionalità dall’alto deve permanere, ma se vuol continuare ad assolvere il suo compito deve trovare il modo di essere supportata e sostenuta da coloro per i quali e sui quali decide. In questo auspicato accordo tra governanti e governati identifica come fondamentale una redistribuzione delle ricchezze e dei beni per rispettare la dignità di ognuno.
Probabilmente abbiamo così l’annuncio della nuova visione politica che sta mettendo in campo la Chiesa, che assomiglia molto ad una riproposizione di forme di pianificazione redistributiva istituzionale in chiave aggiornata. Consapevole però che l’esempio cui giocoforza si richiamano tutte le pianificazioni, l’esperienza sovietica, non è stato certamente esaltante, introduce l’elemento forte della partecipazione popolare.
In questo modo si aggancia direttamente alle teorie emergenti del nuovo riformismo della democrazia partecipativa, arricchendole con l’etica del solidarismo cattolico.
In questo modo tenta di ridare forza e pathos ai poteri governativi da tempo in declino, sempre più logori e staccati dai bisogni e dai sentimenti delle persone. Purtroppo per le passioni del nostro cardinale, la solidarietà quando sussiste è sempre e non può che essere opera autogestita dei diretti interessati, guarda caso storicamente sempre in contrasto coi poteri costituiti, i quali invece, per loro stessa natura, tendono a sostituirla con decreti e leggi, se non addirittura imposizioni.

Conservazione e cambiamento

Dove sta andando allora il mondo? Ciò ch’io vedo nella sostanza è il riproporsi della dicotomia tra conservazione e cambiamento, nel senso che il bisogno affiorante di cambiamento viene sistematicamente schiacciato e annichilito dalla forza imperante della conservazione.
Mi riferisco alla cocciuta riproposizione del dominio come dato di fatto continuamente riproponentesi, sostenuto dalla logica che lo sostiene che dà la sua onnivora impronta al modo di fare imperante, stimolato dal bisogno di dominare che ne rappresenta la spinta pulsionale di fondo per cui c’è e s’impone.
L’azione dominante del dominio, infatti, per la stessa natura che lo contraddistingue, genera situazioni e condizioni mal sopportabili, se non addirittura inaccettabili, per coloro che lo subiscono, ingenerando in essi giocoforza bisogni e spinte a modificare lo status cui sono costretti.
Di qui il sorgere, direi indotto ma anche spontaneo, del bisogno di mutamento che tende a e contiene la spinta ad annullarne gli effetti.
Ma il dominio, che accetta le modificazioni soltanto se risultano funzionali alla conservazione della sua predominanza, impone la sua reazione annichilendo le possibilità del cambiamento, o annullandolo con la repressione o trasformandolo in qualcosa che alla fin fine lo conserva. Così in questa fase vedo il cammino del mondo indirizzato verso mutazioni indotte che è capace di controllare e gestire solo in parte, una parte sempre più minima, proprio perché si muove spinto soprattutto dal bisogno di dominare.
Abbiamo tecnologie ad alta sofisticazione, progressivamente sempre più perfettibili, capaci di agire in tutti i campi del sapere e del fare umani, che contengono grosse possibilità benefiche per la conduzione delle esistenze, ma che vengono indirizzate verso le necessità di controllo sociale che hanno i poteri dominanti per la loro conservazione, solleticati come sono ad usarle per imporre grosse limitazioni all’autonomia individuale dei dominati.
Abbiamo una situazione ecologica generalizzata sempre più tendente alla catastrofe, per il vorace indefesso intendimento di dominare la natura e di asservirla, quasi questa non fosse altro che un nostro strumento invece di essere ciò che effettivamente è: il luogo habitat della nostra possibilità di esserci. Non riuscendo a sottrarsi al bisogno di dominare, i poteri costituiti, pur di continuare a conservare il proprio dominio, consapevolmente si rifiutano di porre rimedio ai disastri che stanno sistematicamente mettendo in campo.
Abbiamo una Chiesa, storicamente esperta creatrice nell’arte di dominare soprattutto le coscienze, che tenta l’abbraccio “etico” tra dominati e dominanti, consapevole del distacco crescente e sempre più incolmabile tra gli uni e gli altri, probabilmente per continuare la sua endemica missione di conservare le tradizioni gerarchiche su cui si sorregge e la funzione del comando per ottenere l’obbedienza.
Di fronte a tutto ciò, l’azione, il pensiero e le proposte degli anarchici tendono, com’è nella loro natura e nel senso del loro esserci, a scardinare questa come ogni altra logica conservatrice del senso e delle logiche del dominio. Suggeriscono, e coi loro pochi mezzi tentano di farlo, di prendere nelle proprie mani le sorti e la conduzione dell’esistente, senza più lasciarlo nelle mani dei conservatori di oggi né quelli di domani: dirigenti, potenti e dominatori di ogni tipo, tecnocrati, burocrati, capitalisti e finanzieri, gerarchie sacerdotali, partitiche, militari. Gli esseri umani debbono trovare il modo di autogestirsi senza continuare ad essere gestiti da minoranze dominanti.

Andrea Papi

* Tra chip e sensori arriva il post-umano, Stefano Rodotà, “La Repubblica”, lunedì 6 dicembre 2004.