rivista anarchica
anno 35 n. 312
novembre 2005


 

Educatore e
utopista

Esce in queste settimane un’antologia di articoli (Vaso, creta o fiore? Né riempire, né plasmare ma educare, Edizioni La Baronata, pagine 256, prezzo fr. 25.00 / € 17.00) scritti dal nostro collaboratore Francesco Codello. Ecco la sua prefazione.

Questo libro è un’antologia che raccoglie gli articoli più significativi che ho scritto in questi ultimi anni, soprattutto su «A-Rivista anarchica» e «Libertaria», sui temi dell’educazione, della scuola, dell’infanzia.
Come tutte le antologie, va letto con l’attenzione a cogliere il filo che lega le varie parti che lo compongono e il dispiegarsi del discorso all’interno di ciascuna di esse. Naturalmente, ogni articolo può risentire del momento in cui è stato scritto e va quindi, se necessario, purgato dal contingente.
Nel complesso però, nonostante si tratti di articoli già pubblicati (con l’eccezione del «Manifesto per l’educazione libertaria»), e quindi datati, mi pare che il libro costituisca un dignitoso strumento di riflessione e di discussione, ma anche di informazione, sull’educazione libertaria oggi.
L’antologia si compone di tre parti che vogliono dare all’insieme una logica che, partendo da riflessioni su temi educativi, secondo una sensibilità personale, e spesso da fatti di cronaca o comunque contingenti (Capitolo I), cerchi poi di cogliere le tendenze fortemente autoritarie verso cui il sistema scuola sta inesorabilmente marciando (Capitolo II), per raccontare infine cosa sta concretamente emergendo al di fuori degli schemi tradizionali, indicando un’alternativa possibile e proprio percorribile in senso fortemente libertario (Capitolo III). L’appendice è una rilettura riassuntiva di teorie e di alcuni autori che possono sicuramente essere recuperati e valorizzati (in parte) per un approccio innovativo e nutrito di vera sensibilità libertaria.
Naturalmente un discorso su questi argomenti è sempre aperto e io stesso, mano a mano che cresce l’esperienza e che le occasioni di incontrare veri maestri si concretizzano, sono costantemente stimolato a riflettere, rivedere, aggiornare, capire, riformulare, dubitare, sognare, spazi e tempi, dimensioni e alternative, ad un sistema educativo che fin dalla sua comparsa, con l’avvento degli Stati nazionali, si è sempre caratterizzato per costituire il principale strumento di dominazione e di asservimento degli esseri umani.
Il mio debito di riconoscenza, oltre ai tanti educatori e teorici dell’anarchismo, si allarga sempre più a persone, uomini e donne, che tra mille difficoltà, con straordinarie pratiche e formidabili intuizioni, hanno costituito e costituiscono ancor oggi, degli esempi di “buona educazione”.
Non penso solo a nomi famosi (Socrate, Tolstoj, ecc.) ma soprattutto a tanti semplici ma profondi maestri e maestre che si possono incontrare nei luoghi più disparati, che testimoniano con la loro stessa vita, non necessariamente professionale, come un rapporto egualitario e libertario sia non solo possibile ma sempre più desiderabile.
Se, come sosteneva Aristotele, la meraviglia è la scintilla della conoscenza, allora l’istruzione non può prescindere da essa; se, per dirla con Socrate, l’educazione non è plasmare ma far lievitare (la maieutica del mèntore), se nel rapporto tra maestro e allievo non può non esserci eros, come sottolineava Platone, e l’insegnamento è “vocazione”, come ricorda Ovidio, allora educare è un’arte (Tolstoj), per realizzare l’educazione è indispensabile essere al contempo maestri e allievi.
Nell’I-Ching la verità, il divino, è in noi, non si insegna, ma si vive. Il vero maestro, come sostiene Alcott, difende i suoi allievi anche da se stesso, dalla sua influenza e quindi deve insegnare a dubitare di ciò che egli stesso insegna (Ortega y Gasset).
La conoscenza non conduce all’intelligenza (Krishnamurti): ecco perché ciò che va ricercato è la saggezza perché è l’arte della vita, perché dà gioia, rende felici, è quel saper vivere, dove sapere non è sapere sulla vita, ma semplicemente esperienza della vita (Panikkar). Dare significato al proprio stare al mondo non è essere informati sul mondo («Dov’è la vita che abbiamo perduto vivendo? Dov’è la saggezza che abbiamo perduto sapendo? Dov’è la sapienza che abbiamo perduto nell’informazione?», T. Eliot, Cori da La Rocca, in: Poesie, Milano, Bompiani, 1991). La saggezza è la consapevolezza che non riuscire ad appagarsi è la magnificenza dell’essere umano (Holderlin) e quindi la ricerca dentro noi stessi è l’essenza della conoscenza come ci ha insegnato Shakespeare.
Educare dunque significa liberare, far emergere, sciogliere, portare alla luce, quanto di più profondo e intenso vi è in ciascuno, quindi non vi è educazione se non come auto-educazione. Alla fine è sempre l’essere unico, irripetibile, diverso da tutti gli altri suoi simili, che sta al centro del processo educativo e che si nutre della straordinarietà di altri esseri che entrano in contatto con lui attraverso storie, ambienti, culture, conoscenze, sensibilità, specificità. L’educazione libertaria non può che essere esattamente l’opposto di quella finalizzata, di quella cioè che pensa al dover essere secondo un’idea predefinita di Uomo e che costruisce il proprio percorso secondo sentieri programmati e certificati. In questo senso l’educazione per essere fino in fondo libera deve essere “incidentale” (Goodman) e pertanto de-costruire l’esistente imposto svelandone le costruzioni immaginarie (Orwell).
La conoscenza è innanzitutto conoscenza di sé (Krishnamurti) e, dunque, nel rapporto dialogico tra gli esseri l’azione educativa, la relazione libertaria, deve tendere a negare l’uomo sradicato dall’essere e a riconciliarlo con la sua specificità esistenziale (Buber).
Non c’è educazione senza empatia, senza cioè quella capacità di focalizzare il proprio sentire-agire sul mondo interiore dell’interlocutore, sull’intuizione di ciò che si agita in lui, come si senta in una situazione e cosa realmente provi al di là di quello che esprime verbalmente. L’empatia è la tensione razionale-emotiva che ti porta fuori dai propri schemi di attribuzione di significato, è la rivisitazione di ciò che si ha vissuto (Tolstoj) attraverso una sensibilità, vera conoscenza, molto sottile, fine, rara. Ma presuppone la trasparenza, vale a dire l’accordo tra i sentimenti manifestati e quelli realmente provati. Nell’educazione libertaria educatore ed educando sono trasparenti, perché solo così possono aprirsi con fiducia e disponibilità a se stessi e all’altro.
Nella relazione trasparente si realizzano l’ascolto e la comprensione empatica, cioè l’immedesimarsi nell’interlocutore e comprendere il suo punto di vista, senza peraltro assumerlo come proprio, senza valutare, approvare, disapprovare, correggere. Tutto questo implica la sospensione dei giudizi morali sui sentimenti riferiti dall’altro. L’ascolto empatico non impone una direttiva, ma pone l’altro nella condizione di esplorarsi per trovare la sua verità.
L’educatore libertario può spingere, attraverso una riflessione speculare, l’altro a sconsacrare ogni sentimento istituito ma mai a temere la sacralità e i sentimenti (Pasolini). Queste sono le virtù che i cinici Antistene e Diogene hanno portato a identificare con la vita vera, piena, irrinunciabile, libera da ogni costrizione, da ogni potere, da ogni tabù.
Tutto ciò è esattamente l’opposto del sapere e della conoscenza per apparire, l’aver cioè incamerato nozioni, dati, fatti, esperienze, che dimostrino il sapere acquisito. Sapere per essere, contro sapere per consumare. Educare per condurre al sé, contro educare per il dover essere.
Se l’essere è dunque il fine dell’educazione, la diversità è un valore; senza diversità non vi può essere libertà.
L’essere è intero, molteplice, è uno, unico ma partecipa della sua umanità, la abbraccia, la realizza attraverso la sua singolarità, la riconosce tramite la relazione, ne ha bisogno come spazio e tempo della sua essenza. Ed è sempre l’amore (l’eros di Platone) per la materia e per l’altro che occorre oggi più che mai risvegliare nell’educatore, la rinascita della sua missione che è affogata nella professione che occorre rivalutare, la fede dell’utopia che è indispensabile rilanciare in lui, per poter ancora parlare di educazione libertaria.
L’educatore è per definizione un utopista che “accende delle stelle nel cielo della dignità umana, ma naviga in un mare senza porti” (Berneri).

Francesco Codello

 

 

Una storia
operaia

L’amianto è un minerale dalle spiccate proprietà termoisolanti. Pratico ed economico, ha trovato numerose applicazioni nell’industria e nell’edilizia. Ma oltre che pratico ed economico, l’amianto è estremamente pericoloso. Quando si usura, infatti, le piccole particelle di cui è composto si disperdono e, se inalate, tendono a concentrarsi nei bronchi, negli alveoli polmonari e nella pleura, provocando danni irreversibili ai tessuti.
Questo libro (Michele Michelino, Daniela Trollio, Operai, carne da macello. La lotta contro l’amianto a Sesto San Giovanni, Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio, Sesto San Giovanni 2005, 9 euro) racconta la storia di un gruppo di operai della Breda Fucine, storica fabbrica di Sesto San Giovanni, fondata nel 1886 e chiusa nel 1996. Racconta di come abbiano visto i loro compagni morire, ed abbiano scoperto di essere essi stessi ammalati, a causa dell’esposizione all’amianto, largamente utilizzato in fabbrica. Da qui la decisione, sofferta e convinta, di battersi per ottenere verità e giustizia. I dirigenti della fabbrica, infatti, erano stati più volte informati, attraverso rapporti del servizio di medicina degli ambienti di lavoro, della nocività delle lavorazioni, e delle precauzioni necessarie per prevenire l’insorgere di queste malattie ma, colpevolmente, per interesse, calcolo o disprezzo della vita umana – la vita degli operai, “carne da macello” – queste indicazioni erano state sistematicamente ignorate.
Il libro ripercorre le tappe di questa lotta – l’inchiesta operaia, lo scontro con i sindacati confederali, la preparazione e lo svolgimento dei processi, i rapporti con la burocrazia di INAIL e INPS, le iniziative pubbliche tese ad informare sui problemi della salute negli ambienti di lavoro e nel territorio – mostrando come questi compagni, passo dopo passo, sperimentino sulla propria pelle l’isolamento, la calunnia, il disprezzo, e come gradualmente prendano coscienza della natura classista della nostra società e del fatto che le istituzioni, le leggi, la medicina, la scienza non sono neutrali e asettiche ma, al contrario, sono strumenti al servizio di chi detiene il potere. Non si tratta quindi solo di un’opera di carattere storico-documentario, testimonianza di una esemplare lotta operaia, ma anche di un libro che, partendo da un’esperienza concreta, e con un linguaggio semplice e vigoroso, mai retorico o inutilmente estremistico, mette a nudo l’ingiustizia e la disumanità del sistema economico e politico in cui viviamo, indicando nel contempo nel coraggio, nell’ assunzione personale di responsabilità e nella solidarietà attiva tra i lavoratori una possibile via d’uscita.
Il libro può essere richiesto agli autori, tel. 3394435957 o all’email: michele.mi@inwind.it.

Ivan Bettini