rivista anarchica
anno 35 n. 312
novembre 2005


volontariato

Condividere valori e sogni
di Raul Pantaleo

 

Un architetto di Emergency in Sudan. Diario e riflessioni.


Le pagine che seguono sono parti del diario di cantiere realizzato nel corso di due missioni effettuate per conto di Emergency in Sudan, dove Pantaleo aveva il ruolo di logista edile.
Le missioni si sono svolte nel 2004-2005 in gran parte a Khartoum, per partecipare alla costruzione del centro cardiochirurgico di Emergency, e per brevi periodi in Darfur, per collaborare alla ristrutturazione del reparto chirurgico dell'ospedale El Fashir.
Più che un vero diario di cantiere si tratta di riflessioni, pensieri, ma soprattutto della presa di coscienza di cosa sia la fame, la morte, la guerra.
L'intero diario di Raul Pantaleo può essere richiesto a TAM associati (www.tamassociati.org) ed è visibile e scaricabile gratuitamente alla pagina www.tamassociati.org/PAGES/sudan.html.


(…). Dominare lo spazio, il tempo, gli eventi...la nostra cultura. In tale prospettiva, la casualità che qui vivo tutti i giorni assume un nuovo significato. In qualche modo è come imparare quotidianamente ad accettare l’imperfezione. Ho cercato di spiegare al muratore una regola precisa ma la sua è una logica che lascia che un pezzo chiami l’altro, in un processo di addizione successiva.
Ho scoperto che la quasi totalità degli operai in cantiere sono sfollati del Sud e appartengono alla tribù dei Dinka. Si riconoscono dal fatto che per rito, a 15 anni, vengono loro estratti i denti inferiori. Ho scoperto che fanno la guardia notturna usando come armi le lance e che si muovono nello spazio in modo impercettibilmente diverso dagli altri.
È uno strano mondo questo, un mondo di approssimata modernità ed ancestrale resistenza. È così che comincio a comprendere, vedendo le persone per strada, i diversi gruppi etnici cui appartengono, dalle cicatrici che portano sul volto.
Che cos’è “precisione”? La nostra precisione. L’angolo retto e il piombo? Nei villaggi le case sono costruite usando rette e angoli a 90°, ma nulla ha la fredda precisione dei nostri muri.
La mia esperienza africana è innanzitutto un’esperienza dello spazio. Grazie ad essa ho potuto rendermi conto di muovermi in un universo simbolico di cui mi sfuggivano molti elementi che invece assumevano un senso preciso per i miei interlocutori - un senso sociale, potremmo dire”. Mi ricorda Augé. (1)
E così ho capito molte cose che per giorni mi erano sfuggite. È un modo di pensare lo spazio in forma approssimativa, per sommatoria di pensieri. È un’idea che mi affascina, mi fa pensare alla capacità di ascoltare le cose e gli spazi, senza pretendere di dominarli o di prevedere sempre e comunque gli eventi che vi debbano accadere. (…).
Anche la nostra ansia di perfezione ci sembra diventare patetica. Linee diritte, perfette, superfici lisce e lucenti, iniziano a sporcarsi nel mio immaginario. Perché siamo imperfetti...così com’è imperfetta la vita. Questo mondo fatto di mille imperfezioni, questo mondo di bricolage dove tutto si arrangia e si ricicla, prende vita ai miei occhi, parla di un umanità ancora capace di confrontarsi con la realtà imperfetta. (…).
Ieri sera siamo rimasti a discutere con Emiliano, Fabrizio e Marco (il nuovo logista arrivato a sostituirli) fino a notte tarda, nuovamente di sviluppo. Sì è questa la domanda che ci accompagna tutti i giorni: che cos’è lo sviluppo? In che senso siamo portatori di sviluppo? Di che forma di sviluppo si tratta?
E siamo proprio noi ad interrogarci, noi che siamo qui proprio perché critichiamo il nostro modello di sviluppo palesemente non riproducibile all’infinito. Noi che siamo coscienti di come la nostra ricchezza derivi anche dallo sfruttamento e dall’impoverimento altrui. (…).

Khartoum (Sudan) - L’impresa edile di Emergency. Il primo a sinistra è Raul Pantaleo, autore di queste pagine

Civiltà dei diritti

Qui si percepisce un altro senso delle cose. “Una casa che protegga”…!! Forse questa è l’anima del costruire. È un valore sacro perché significa conservare e proteggere la vita. Come si può pensare al futuro se non si ha un riparo? Che futuro avranno questi bambini? Il modello da perseguire non è il nostro, non necessariamente è la nostra la “civiltà” cui aspirare. Forse il modello da immaginare è quello di una civiltà dei diritti che non coincide con la civiltà occidentale: il diritto ad avere un luogo che protegga, il diritto alla sopravvivenza alimentare, il diritto alla salute, il diritto allo studio. Banalità forse, ma che qui hanno carne e anima.
Sarebbe sufficiente una casa che protegga! È un progetto minimo, che da qui sembra lontano anni luce, un’utopia: “(…) è un’utopia dell’educazione, della piena occupazione e della sicurezza per tutti; è un’utopia necessaria e la sola che valga”. (…) (2)
Crediamo che questo modo di relazionarsi con la tradizione locale, rileggendola ed implementandola, sia l'approccio corretto ad una progettazione. È fondamentale l'uso delle tecnologie e della manodopera locale per garantire la riuscita dei lavori ma soprattutto per la manutenzione successiva. È un lavoro complesso e spesso non capito dai locali che, abbagliati dal miraggio della tecnologia proveniente dai paesi occidentali, considerano la tradizione come qualcosa di superato ed obsoleto.
L'equazione: moderno = bello, in Sudan rappresenta il presente e purtroppo il prossimo futuro. Agendo in questo modo si cancellano secoli di esperienza e di storia per far posto a tragici ed orribili palazzoni. Del resto è difficile essere credibili quando gli stessi ed identici processi sono avvenuti in tutt’Europa non più tardi di 50 anni fa.
Perché non hanno il diritto di fare la stessa strada, mi dico?
Penso che si debba cercare di rendere la nostra passione per la ricerca delle radici culturali contagiosa e far in modo che si evitino gli stessi errori fatti in occidente. È una sfida impossibile e forse persa in partenza ma che vale la pena essere combattuta tanto quanto salvare una singola vita.
È una battaglia contro l'omologazione, la colonizzazione; è una battaglia per preservare le diversità e le peculiarità di un luogo e di un popolo. (…).
Ripenso alle nostre lunghissime discussioni serali su cosa sia lo sviluppo, perché, a guardarsi intorno, sembra che qui – sviluppo – significhi riprodurre per l’ennesima volta il concetto occidentale di progresso, di consumi e sprechi, sperpero delle risorse, abbandono delle tradizioni e della propria identità e soprattutto distruzione dell’ecosistema. (…)

Khartoum - Campo-profughi

Esserci con anima e corpo

Quante volte mi sono chiesto se la parola rispetto abbia un valore universale. Tolleranza, comprensione, ma soprattutto rispetto reciproco. Questi sono stati i principi con cui abbiamo cercato di trasformare questo gruppo di profughi senza professione in una piccola impresa edile.
Questa volontà viene colta una mattina, quasi per caso, perché all’improvviso gli operai hanno iniziato a lavorare con attenzione ed interesse mai visti prima. Questo mi ha riempito di gioia e anche di orgoglio.
Se alla fine di quest’esperienza avranno imparato un mestiere e costruito parte dell’ospedale, sarà un grandissimo successo. Ma la cosa che mi ha più colpito è proprio che il rispetto, unito all’esempio, ha fatto sì che, pur nella chiarezza dei diversi ruoli, si sia iniziato a costruire un rapporto di “costruzione di condivisione”.
Bisogna esserci, non soltanto con l’anima e con i principi, anche con il corpo: toccare la “carne del mondo” significa sporcarsi, sudare, faticare. E alla fine anche saper ridere!
Il fatto essenziale dell’espressione consiste nel portare testimonianza di sé garantendo questa testimonianza”. Stiamo cercando di condividere valori e forse sogni. E questo per noi significa costruire questo ospedale. Un luogo dove la materia diviene ideale, e viceversa.
L’Ospedale – questo abbiamo imparato ad Emergency – è allora il luogo dove si cerca di costruire, praticandolo, un pezzetto di diritti di tutti, per tutti, che dovrà inserirsi nel grande puzzle dei diritti umani: il diritto a restare vivi e ad essere curati per continuare ad esserlo”. (…). (3)
Le parole che avevo ritagliato da un bollettino di Emergency, prima di partire, cominciano a prendere senso: “(…) riconoscere il valore di ogni essere umano è costruire la pace. E tutto ha un significato ogni volta unico e nuovo, se l’essere umano ha il nome, il volto, il corpo di una persona viva, che poteva non esserlo più”. (…).
Qui si muore di cose banalissime: malaria, febbre gialla o diarrea. Patologie che si curano con banalissimi medicinali. Con il passare dei giorni ho imparato a convivere con queste presenze invisibili, quelle degli operai assenti in cantiere per la malaria, loro o dei loro figli. (...).
Esserci significa impegnarsi a limitare il colonialismo culturale che si insinua negli interstizi di questa società ancora in bilico tra passato e futuro. (…).
Allora mi risuonano nella mente più chiare le parole di Gino su una sanità pubblica gratuita: “Un ospedale in zona di guerra è anche un luogo dove si può dare un senso alla parola "pubblico", cioè di tutti. Senza discriminazione di etnia e di sesso, di religione e di politica. E senza discriminazione economica: perché quel che succede nei paesi in guerra, e in quelli poveri (che peraltro in parte si sovrappongono), è che la sanità "pubblica", nei rari casi in cui esiste, anche se di livello indegno, è comunque a pagamento, cioè privata”. (4) (…).

Khartoum - Interrato del blocco chirurgico del Centro Cardiochirurgico di Emergency “Salam”

Wad El Bashir

Uscendo da Khartoum, inizia subito il deserto a perdita d’occhio. Ci stiamo dirigendo verso un campo di IDPs (Internal Desplaced Persons) alla periferia nord della capitale. Ci accompagna un giovane medico sudanese che opera come volontario nel dispensario sanitario di questo campo.
Wad El Bashir è uno dei campi profughi che circondano Khartoum. In questo campo, secondo le indicazioni del personale medico locale, sono dislocate circa 10.000 famiglie vittime della guerra che ha messo a confronto, nel sud cristiano e africano, l’SPLA (Sudan People’s Liberation Army) e le truppe governative. Facendo una media di cinque persone per famiglia, si parla di circa 50.000 profughi che vivono tra baracche e costruzioni precarie in mezzo alla sabbia. (…).
Un senso d’impotenza ci prende a vedere questo degrado. Soprattutto ci viene rabbia pensando che le risorse necessarie per dare un’esistenza “decente” a queste persone, sarebbero un’infinitesima briciola di quello che viene investito quotidianamente per portare avanti una delle tante, “democratiche” e assurde guerre dislocate in ogni angolo del nostro pianeta.
Di fronte a questo desolante panorama però, arrivano anche alcune certezze; per esempio si smette all’improvviso di domandarsi se una guerra possa essere giusta o sbagliata, opportuna o non conveniente. Perché alla fine, le vittime di qualsiasi conflitto sono di fronte ai nostri occhi, non sono solo gli uccisi ma anche le migliaia di civili “qualunque” che restano dopo la guerra, quelle persone che aspirano ad un diritto minimo, quelle persone che “si stanno ancora battendo, per il pane”. (…).

Khartoum - Getti del blocco chirurgico del Centro Cardiochirurgico di Emergency “Salam”

Business e sanità

Il problema principale è stato che la sanità in Sudan è un grosso affare per le persone impiegate, dai dottori all’ultimo degli inservienti. Oltre ad essere a pagamento, il sevizio sanitario è anche un intricato sistema di “balzelli & corruzione”. A maggior ragione in questo periodo, dove sul Darfur si riversano centinaia di milioni di dollari che provengono dall’assistenza sanitaria mondiale.
In questo contesto, un ospedale come quello di Emergency, totalmente gratuito, è fortemente osteggiato dal personale locale che si vedrebbe così sottrarre i lauti guadagni che provengono da queste “entrate secondarie”.
È una situazione assurda, tant’è che alcuni giorni fa, in occasione di un intervento operatorio, due medici di Emergency videro gli infermieri locali rifiutarsi di trasportare il paziente in corsia se non previo una ricompensa finanziaria.
Chi subisce questi soprusi, naturalmente, sono sempre i più miserabili, quelli che non potendo pagare l’infinita sequenza di balzelli, sono costretti a morire anche per il morbillo. Sì, morbillo... Perché questa banalissima malattia è insieme alla malaria uno dei fattori di mortalità infantile più frequenti
Oggi è venerdì e qui è l’unico giorno di riposo. Gli eventi di questi ultimi giorni, la situazione internazionale sono sempre al centro delle nostre discussioni, soprattutto il futuro di questo paese che ci pone quotidianamente mille problemi, ma che proprio per la sua varietà etnica e religiosa ci affascina.
Il Sudan è uno strano paese (è un invenzione post-colonialista degli Inglesi) sia dal punto di vista etnico che religioso. Etnicamente gli Arabi costituiscono il 39% della popolazione, gli Africani il 61%. Dal punto di vista religioso, il 70% risultano essere Mussulmani e il restante tra Cristiani e altre fedi religiose. (5)
Il potere economico e politico è saldamente in mano alla componente militare arabo/mussulmana della popolazione. Un fragilissimo equilibrio che negli anni si è macchiato di sanguinose guerre, prima nel sud del paese (per quarant’anni) ed ora nella regione del Darfur. Il caro vecchio Darfur, luogo di confine di civiltà e religioni.
Darfur, luogo che se mal governato, è a forte rischio di “balcanizzazione”. I segnali provenienti dal panorama internazionale mostrano invece il tentativo di infuocare quest’area per le ragioni più diverse, ma in molti iniziano a sospettare per ragioni energetiche. Accentuando un latente conflitto di religioni, si va a rendere incandescente una situazione estremamente precaria. Ora, in questo quadro generale, si affaccia un nuovo soggetto/spettro “politico”: il petrolio. (…).

Khartoum - La casa dei parenti del Centro Cardiochirurgico di Emergency “Salam”

Tra il dire e il fare

“Un serbatoio di umanità”, ci si sente così dopo un’esperienza come questa. Però il lavoro non è finito, bisogna essere testimoni di quanto si ha avuto il “dono” di vedere e di provare. Anzi il lavoro inizia proprio ora, ed è il più difficile.
Perché è difficile spiegare e far provare. Gli occhi di Amarsa guarita, l’orgoglio degli operai Dinka, la gioia di Dem, Santino, Jumà. Ma soprattutto è difficile spiegare e far provare l’orrore della guerra, l’ingiustizia, la sofferenza.
Parole sentite ripetere mille volte. Parole di circostanza. Chi non è contrario alla guerra o contro la fame e l’ingiustizia? A parole sono tutti concordi. È nell’azione che ci si rende veramente consapevoli e partecipi degli eventi. “L’azione, la sola attività che mette in rapporto diretto gli uomini senza la mediazione di cose materiali, corrisponde alla condizione umana di pluralità, al fatto che gli uomini, e non l’Uomo, vivono sulla terra e abitano il mondo”. (6)
La nostra testimonianza, il nostro “esserci” rendono vive le nostre azioni, fanno sì che non restino isolate nella nudità della realtà, nella carnalità del mondo.
Mi piace chiudere questo viaggio di conoscenza con le parole di colei che ha fatto dell’azione uno strumento rivoluzionario di senso, H. Arendt: “Con la parola e con l’agire ci inseriamo nel mondo umano, e questo inserimento è come una seconda nascita in cui confermiamo e ci sobbarchiamo la nuda realtà della nostra apparenza fisica originale”. (7)

Raul Pantaleo

Khartoum - Bambini profughi di guerra

Note

1. Marc Augé, Perché viviamo, Meltemi, Roma, 2004, p. 39.
2. Marc Augé, op. cit., p. 129.
3. Gino Strada, La scommessa di Emergency nell'inferno del Darfur, “l'Unità”, 29 Luglio 2004.
4. Gino Strada, id.
5. Dati tratti dal rapporto di “Human Rights Watch”: Q & A: Crisis in Darfur del 05/05/2004.
6. Hannah Arendt, Vita Activa, Bompiani, Milano, 2003, p. 7.
7. Hannah Arendt, op. cit., pg 128


Raul Pantaleo - (Milano 1962) architetto, grafico, svolge la sua attività professionale e di ricerca nell’ambito della progettazione partecipata bioecologica e della comunicazione sociale, è stato tra i fondatori di TAM associati – architettura e comunicazione per il sociale.

Lettura consigliata: Latouche Serge, L'altra Africa, Bollati Boringhieri, Torino, 1997.

Per info: www.tamassociati.org
www.emergency.it