rivista anarchica
anno 35 n. 313
dicembre 2005 - gennaio 2006


attenzione sociale


a cura di Felice Accame

 

La fede dell’avvocato

 

Voltaire, dichiaratamente ateo, avrebbe voluto, tuttavia, che il suo avvocato, il suo valletto e sua moglie credessero in Dio, perché così, a suo dire, avrebbe avuto “meno possibilità di essere tradito”. L’aspirazione – anche per la molteplicità dei presupposti da cui scaturisce – merita qualche considerazione. L’illuminismo di cui si sentiva rappresentante avrebbe dovuto suggerirgli maggiore cautela.
Non si voleva forse che la dea della ragione fosse più che sufficiente per ordinare un mondo di persone più felici perché meno oppresse dall’autorità delle religioni e dalle forme medievali del potere ? E, invece no, perché, per la buona pace dell’intellettuale liberato dai gioghi, è d’uopo che gli antichi retaggi affliggano una certa categoria di persone. E che persone…: l’avvocato, il valletto e la moglie, qui accomunate per un’unica e precisa funzione – servire. Servire a tirarlo fuori dai guai con la giustizia e servire nei suoi comodi di classe e di genere. Che all’illuminismo, dopo un breve periodo di illusioni, non potesse che seguire la restaurazione degli antichi privilegi, lo si poteva arguire già da qui.
Tanto studio illuminante, poi, a quanto sembra, a Voltaire ha insegnato pochino. Storia alla mano, avrebbe dovuto ben sapere che una salda fede in Dio, da che mondo è mondo, non ha mai impedito di compiere le peggiori nefandezze – si veda alle voci “crociate”, “santa inquisizione”, “papi” e “dittatori” –, e, anzi, forse delle peggiori nefandezze è stata, per l’appunto, o la causa o la giustificazione.
Colgo la citazione di questo imbarazzante pensiero di Voltaire in un saggio di Alan Dershowitz, Rights From Wrongs (Codice edizioni, Torino 2005), il cui titolo, anche nella versione italiana, è stato lasciato in inglese, ma che, con qualche approssimazione, avrebbe potuto essere “il diritto dal rovescio”, o “il diritto preso dalla parte opposta”. Dershowitz, oltre ad essere un avvocato famoso negli Stati Uniti è un teorico del diritto ben consapevole di quanto le teorie su cui si fonda la sua disciplina e l’esercizio della sua professione non stiano in piedi. Infatti, nei primi capitoli si dà da fare con buona lena per dimostrare che le due soluzioni fondamentali del diritto – quella della sua discendenza da Dio e quella della sua discendenza dalle leggi di natura – non reggano all’analisi dello scettico. A prima vista, dunque, non sarebbe stato l’avvocato ideale per Voltaire.
Ma, una volta dimostrata l’inconsistenza delle più accreditate teorie del diritto, invece di respirare di sollievo, Dershowitz butta lì la sua soluzione: se è difficile, se non impossibile, trovare un accordo tra le varie culture del mondo su cosa debba intendersi per “giusto” – perché ogni cultura alla categoria assegna significati diversi –, dovrebbe esser facilissimo, se non pacifico, mettersi d’accordo su cosa debba intendersi per “ingiusto”. Cominciamo dalla coda, invece che dalla testa, e andremo subito d’accordo. Per esempio, l’Olocausto…saremmo tutti d’accordo nel considerarlo ingiusto e nel condannarlo, ma, già qui, Dershowitz si dimentica che qualcuno l’avrà pur voluto, qualcuno che, ovviamente, lo considerava giusto. E allora?
Soltanto in una noticina in fondo a pagina settantanove, Dershowitz mostra di accorgersi che qualcosa, forse, nella sua soluzione non quadra. Dice di averne parlato con Robert Nozick, l’autore di Anarchia, stato e utopia (1974), e che questi gli ha contestato il fatto che, per sapere cosa sia “una perfetta ingiustizia”, occorre prima sapere cosa sia “una perfetta giustizia”. Al che, seraficamente, come nulla fosse, Dershowitz risponde che lui crede “possibile riconoscere ingiustizie notevoli anche senza possedere un’idea perfetta di giustizia”.
Se questa, dunque, è una “teoria laica dell’origine dei diritti” – come recita il sottotitolo del libro –, si comprende bene perché nel mondo – come dopo l’illuminismo volterriano – vincano ancora gli autoritarismi. Che, comunque, sia partendo dal capo che dalla coda dell’elenco, occorra mettersi d’accordo sul significato delle categorie che si usano – e che a questa trattativa sarebbe quantomeno opportuno giungere muniti di una teoria delle operazioni mentali che queste categorie costituiscono –, non lo sfiora nemmeno per l’anticamera del cervello. Tanta fede in una teoria negativa, però, almeno agli occhi di Voltaire potrebbe riabilitarlo.

Felice Accame

P.s.: Dershowitz è lo stesso che, nel novembre del 2001, sostenne la tesi che, se tortura da parte degli apparati dello Stato deve esserci, è meglio che essa sia prevista per legge piuttosto che praticata nascostamente. Ma, evidentemente, non aveva ancora pensato alle tesi che avrebbe sostenuto più tardi: non sarebbe, infatti, la tortura proprio una buona candidata ad essere riconosciuta unanimemente “ingiusta” ?