rivista anarchica
anno 35 n. 313
dicembre 2005 - gennaio 2006


contro la TAV

I ribelli della Val Susa
di Maria Matteo

 

Da 15 anni la gente della Val Susa sta portando avanti una forte resistenza contro il progetto dell’alta velocità ferroviaria.

 


No pasaran!
(slogan echeggiato durante l’assemblea di Valle del 2 novembre scorso a Bussoleno)

Una marea di fiaccole, un lungo serpente luminoso, è partito da Susa per toccare il bivio con la frazione Urbiano del comune di Mompantero. È il 5 novembre del 2005. Sono ormai 15 anni che la lunga resistenza della gente della Val Susa va avanti, passo passo, lenta ma inarrestabile come il cammino dei pastori.
La loro è una storia di gente di montagna che non vuole che la propria valle si trasformi in un corridoio di collegamento, in un rettilineo nella lunga corsa folle che è l’emblema di questa società dello spreco e del profitto ad ogni costo. Il corridoio di cui stiamo parlando è il numero 5. È già costato morti e feriti in guerre ormai dimenticate dalla fretta con cui si metabolizza anche l’orrore, ridotto a mera immagine indistinguibile per “realtà” da quelle di una qualunque, ben più realistica, perché meglio ornata di effetti speciali, fiction bellica.

Blocco della ferrovia a Condove

Lì, lungo le strade di Susa e poi su per la strada che conduce a Mompantero camminano intere famiglie, con passeggini per i più piccoli e i ragazzi che giocano con le fiaccole e le bandiere del No Tav. Sembra una scampagnata o una processione più che una manifestazione politica. Poi, di lontano, si sentono le note di “Bella Ciao”, il canto partigiano che in questa zona, dove la lotta contro il nazifascismo è stata durissima, è ricordo e patrimonio di tanti. Man mano che ci si avvicina al bivio con Urbiano tutti si uniscono al canto: lì la strada è bloccata dalla polizia e dai carabinieri in assetto antisommossa.
Questa marcia notturna è stata promossa dall’Anpi contro “l’occupazione militare del territorio”. Da ormai una settimana Mompantero, e la frazione Urbiano sono, di fatto, sotto occupazione. I residenti devono esibire la carta di identità per avere accesso al paese, il sindaco, residente in un’altra frazione, è stato mandato indietro e come lui, l’infermiera incaricata dell’assistenza ad una malata che ha bisogno di cure costanti. Un compagno cui lo racconto mi dice che gli ricordano i check point di Gaza. Mi auguro che esageri. Certo il clima non è dei migliori e la gente, con quanto le sta capitando, reagisce ancora con compostezza molto piemontese.

Vastissima adesione

Facciamo un passo indietro.
Torniamo al 4 giugno di quest’anno, quando, in una valle di poco meno di 50.000 abitanti, 30.000 presero parte alla marcia da Susa a Venaus. Venaus è un piccolo paesino piazzato poco sopra Susa, in Val Cenischia, la Valle che si snoda sino al Moncenisio, uno dei valichi che porta in Francia.
Questo paesino, deturpato dai piloni dell’autostrada e da dieci anni di lavori per la centrale idroelettrica di Pont Ventoux, è il luogo prescelto per l’imbocco delle due gallerie parallele di 54 chilometri che costituiscono l’asse centrale della linea ad Alta Velocità Torino-Lione. Qui, sin dalla primavera, sarebbero dovuti partire i lavori per una prima galleria di servizio di quasi 10 chilometri.
Qui si è concentrata la resistenza degli abitanti della valle, decisi ad impedire un’opera distruttiva della salute e dell’ambiente. Ricordiamo che la montagna che verrebbe traforata per oltre 15 anni, con continuo trasporto di materiale, è ricca di uranio. Non c’è bisogno di leggere il rapporto firmato da tutti i 200 medici della Valle di Susa per capire quali terribili conseguenze per la salute ne deriverebbero.
Una lunga estate questa del 2005. Un’estate che ha visto la gente presidiare tutti i luoghi in cui veniva annunciato un intervento legato ai lavori per il TAV: oltre a Venaus, a Borgone e Bruzolo il tentativo dei tecnici del general contractor incaricato dell’opera, Lyon Turin Ferroviaire – LTF, di prendere possesso dei terreni destinati ai sondaggi preliminari, è miseramente fallito. In ogni luogo i tecnici, sempre accompagnati da nutriti plotoni di poliziotti, hanno trovato ad attenderli centinaia e centinaia di persone che, con la loro presenza fisica hanno impedito l’accesso ai siti.
Ovunque i presidi sono diventati permanenti e la gente dei paesi si è data il cambio per garantire una presenza costante.

La vastissima adesione alle iniziative di lotta promosse congiuntamente dai Comitati No Tav e dagli amministratori locali ha indotto questi ultimi a tentare di aprire un tavolo di trattativa con il governo nazionale e con quello di Provincia e Regione.
Era infatti chiaro sin da luglio che i valsusini non erano disposti a mediare e che solo un’opera diplomatica astuta avrebbe potuto ammorbidirne la resistenza, evitando uno scontro diretto con la polizia. Per settimane sindaci e presidenti delle due Comunità Montane della Valle hanno tentato di raggiungere un accordo che consentisse di stemperare la tensione. Alla fine dell’estate pareva che fosse fatta: un tavolo tecnico cui partecipassero anche esponenti designati dai valligiani avrebbe effettuato verifiche sulle nocività della linea ad alta velocità.
Tutti cantavano vittoria. I sindaci e il presidente della Comunità montana, nonché leader della protesta, il Ds Ferrentino, dichiaravano che in questo modo si era fermato il cammino delle ruspe; dall’altra parte la governatore Bresso e il presidente della Provincia Saitta, entrambi sostenitori sfegatati del Tav, sostenevano che questo era il primo passo verso la sua realizzazione. Questo traballante tavolo dove tutti giocavano con carte truccate e al quale i comitati anti Tav non erano riusciti ad opporsi in maniera decisa, dimostrando una certa difficoltà a contrastare le iniziative dei sindaci, è stato rovesciato da Lunardi, che ha deciso che i lavori dovessero partire subito.

Sciopero spontaneo

Dopo un mese di incertezza alla fine di ottobre c’è stata la brusca accelerazione che tutti temevano. Il 31 ottobre i tecnici di LTF avrebbero dovuto prendere possesso di tre terreni situati in località impervie del comune di Mompantero per effettuarvi dei sondaggi.
La strada per arrivarvi è stretta e difficile e i siti si trovano a diversi livelli della montagna. Il più alto è a 1.300 metri. Sin dai giorni precedenti la polizia si attesta lungo la strada, bloccandola. Ma non ha fatto i conti con la gente di montagna, che aggira i blocchi, inerpicandosi per i sentieri sui quali 60 anni prima si era combattuto contro i nazifascisti.
Per l’intera giornata del 31 ottobre i presidi No TAV resistono alla polizia, che in un paio di occasioni usa la forza ed effettua arresti.
Contemporaneamente la gente in valle blocca la circolazione dei treni della linea internazionale Torino-Lione occupando a più riprese diverse stazioni. Parte uno sciopero spontaneo: i lavoratori lasciano uffici e fabbriche e scendono in strada a protestare.
Lo slogan che echeggia ovunque è “No pasaran!”.
A fine giornata gli uomini in divisa lasciano il campo, dichiarando che la giornata è finita. La popolazione li saluta con sputi e grida di scherno. Nella notte il blitz dei carabinieri che, a sorpresa, tradendo l’impegno preso con la Comunità montana a lasciare il territorio, si attestano su uno dei siti appendendo un filo rosso e bianco ai rami degli alberi: un inganno che non resta senza risposta.
Il giorno successivo la valle è nuovamente paralizzata: per tutto il giorno si succedono i blocchi stradali e ferroviari, culminati nel tardo pomeriggio nel blocco contemporaneo delle statali 24 e 25 e della ferrovia.
Due giorni dopo un’assemblea a Bussoleno raccoglie quasi mille persone. L’indignazione è alle stelle per quella che tutti gli interventi chiamano senza mezzi termini occupazione militare del territorio. Viene deciso lo sciopero generale, la continuazione dei blocchi e dei presidi: è il segnale che la repressione poliziesca lungi dal fiaccare la volontà di resistenza l’ha resa più salda.
La Val Susa diventa un caso nazionale.
Un caso anomalo che va stroncato perché non sia di cattivo esempio per i tanti che in questo paese vivono le conseguenze di un modello di sviluppo folle e distruttivo.

Uno sporco gioco

Parte una manovra di criminalizzazione che vede scendere in campo stampa, magistratura e politici. E, vista la consolidata esperienza acquisita in tanti anni di onorata professione, anche qualche apparato esperto nella costruzione di provocazioni.
Il gioco è sporco e si vede. Gli articoli di Stampa e Repubblica che paventano il rischio di “infiltrazione” di frange violente, anarchici, squatter e no-global preludono alle dichiarazioni preoccupate di politici che definiscono “guerriglia” la resistenza non violenta del 31 ottobre, e, dulcis in fundo, arriva la designazione dei famigerati PM Laudi e Tatangelo all’indagine per individuare e perseguire i responsabili dei blocchi di Mompantero.
Poi, con la regolarità di un orologio, compare un volantino demente firmato “Valsusa rossa” che inneggia alle BR e, sulla statale del Moncenisio viene ritrovato, dopo una telefonata anonima, un pacchetto contenente esplosivo e una miccia ma senza innesco e, quindi, inoffensivo.
La stampa si scatena rispolverando la vicenda dei tre anarchici arrestati nel ’98 con l’accusa di aver compiuto attentati. Una vicenda tragica, che si concluse con il suicidio di due di loro, Sole e Baleno, e con la reclusione del sopravvissuto per 4 anni. Tutti omettono di dire che quell’operazione, voluta dagli stessi Laudi e Tatangelo, si è rivelata una montatura ormai smontata da anni anche sul piano giudiziario. Ma in questo paese i processi e le condanne effettuate a mezzo stampa non necessitano neppure dell’onere del ricorso in appello.
Quel che conta è criminalizzare la resistenza dei valsusini, tentando di dividere i buoni dai cattivi, i valligiani dagli estremisti di Torino che vogliono cavalcare le lotte per mestare nel torbido, creare disordini, dare il via alla violenza.
Resta da vedere se le manovre criminalizzanti ce la faranno a dividere un movimento che sinora né le minacce dei politici, né la violenza della polizia, né le provocazioni sono riuscite ad intimidire.
A Susa, il 5 novembre, alcuni manifestanti davanti al cordone di polizia gridavano “andate via”, e poi si allontanavano borbottando “e pensare che li paghiamo noi”. Alcuni irridevano alla stampa ed alle sue manovre chiedendosi l’un l’altro: “io sono anarcoinsurrezionalista, e tu cosa sei, uno squatter?”.

Maria Matteo

 

Le immagini che corredano questo articolo (ad eccezione della foto in b/n) si riferiscono alla manifestazione contro il Tav che si è svolta in Val di Susa il 16 novembre