rivista anarchica
anno 36 n. 316
aprile 2006


cialtronerie

La macchietta bergamasca
di Persio Tincani

 

Altro che scontro di “civiltà”, quella di Calderoli è solo l'ultima mossa di uno che ha sempre cercato visibilità mediatica.

 

Roberto Calderoli, anzi Calderoli Roberto, alla fine ce l'ha fatta a ottenere per qualche giorno l'onore delle cronache. E dire che, poveraccio, ce l'aveva sempre messa tutta. Ci aveva già provato allestendo un serraglio in giardino, con tanto di tigri e un paio di lupi. Ma niente: due righe in sesta pagina. Prima ancora, aveva tentato proponendo la castrazione “non chimica, ma proprio chirurgica, e con forbici non necessariamente sterilizzate” come pena, non si è capito se accessoria, per gli stupratori extracomunitari; ma anche lì, niente: neppure un trafiletto sul Riformista.

Gioppino e Maometto

Alla fine, dicevo, c'è riuscito. Dopo aver passato qualche giorno sbandierando ai quattro venti di indossare, in luogo della padanissima maglietta della salute, una raffinata T-shirt con le vignette su Maometto, si è finalmente deciso a mostrarla, in un tripudio di pappagorge, durante un'intervista su Rai 1 con Clemente Mimun.
Di per sé, l'episodio sarebbe stato archiviato come l'ennesima coglionata di questa riuscita macchietta bergamasca. Se non che, in concomitanza con tal mostra di finezza, era in corso una manifestazione di fronte all'ambasciata italiana di Bengasi che, complice anche l'intervento sconsiderato della polizia libica, poco adusa ai conflitti di piazza, è presto degenerata in un vero e proprio assalto, con tanto di evacuazione del personale e macabro bilancio di 11 morti e di decine di feriti.
Che la manifestazione non l'avessero fatta per la maglietta di Gioppino era piuttosto evidente.
Lo stesso ambasciatore italiano in Libia, contattato al telefono dai telegiornali, ha chiarito: certo, “il gesto di un ministro del governo” può forse aver scaldato un po' gli animi, ma anche nei giorni precedenti c'erano state proteste, sebbene non si fosse mai arrivati a questi livelli.
Tuttavia, maggioranza e opposizione hanno subito compiuto l'equazione maglietta-manifestazione, imputando all'Esculapio della Val Brembana la responsabilità degli scontri di Bengasi, degli attentati che Beppe Pisanu annuncia come imminenti da tre anni, del deterioramento dei rapporti con Gheddafi, del conflitto tra oriente e occidente. A Calderoli, immagino, non sarà parso vero. Uno che ormai si era quasi rassegnato a essere interpellato solo per giocare alla pentolaccia si è trovato di colpo nei telegiornali di mezzo mondo, guadagnando addirittura un posto speciale in un sito internet gestito, si dice, da Al-Qaeda, che preso atto della sua esistenza ne pubblicava la foto con la didascalia “un ministro italiano maiale”.
Così, l'opposizione ne ha chiesto la testa e, caso più unico che raro, il governo ha fatto di tutto per offrirgliela: Fini ne ha date per scontate le dimissioni, Berlusconi ha dichiarato di averle già comunicate a Bossi, gli ex democristiani hanno ripetuto il tormentone della presa di distanza dagli altri esponenti del governo del quale hanno votato tutte le leggi, il ministro Maroni ha dichiarato che lui, benché padano, la maglietta della salute non la porta. Calderoli, sulle prime, ha nicchiato: “Nessuno, nemmeno Berlusconi, può obbligarmi a dimettermi”, dichiarando che con il suo strip-tease ha fatto vedere chi ha le palle e chi non ce l'ha. Dimettersi sarebbe l'abiura dei valori cristiani ai quali lui, Calderoli, monta la guardia notte e giorno, a parte solo quella volta in cui mandò a dire di cominciare senza di lui perché aveva da unirsi in sponsali celto-padani, di rigore l'abito verde, con la spensierata commediografa Negri Sabina.
Poi, inebriato dal crescente successo di critica, ha concesso che sì, si sarebbe dimesso.
Ma solo dopo che “il mondo arabo” avesse dato segno di aver compreso il suo gesto che, a suo dire, sarebbe un invito alla distensione. Il che, oltre a far sorgere il sospetto che Calderoli abbia comprato un dizionario difettato, rende l'idea di quanto la ribalta dia alla testa più della Bonarda: Cacasenno si è convinto di essere Kofi Annan e perciò si aspetta che “il mondo arabo” gli faccia sapere, ovvie le vie consone, di aver compreso il suo messaggio e imbocchi un generale percorso di ravvedimento. Come poi sia finita è noto: Calderoli si è dimesso e punto.

Polenta vs. cuscus

L'intera vicenda, tanto per cambiare, ha l'aria di essere un po' artificiale. Che si scalpiti sotto elezioni è piuttosto normale e, visto che ciascuno scalpita come può, la Lega manda in giro il povero Borghezio a fare il can da botte (con l'idea che più lo picchiano più voti si prendono), riattacca la litania di Roma ladrona, organizza scampagnate per aspergere con piscio di padanissimo porco i terreni dove sorgeranno le moschee, tappezza i contenitori di raccolta di abiti usati (spesso destinati agli immigrati poveri) con adesivi che, in difesa delle “nostre radici”, invitano a mangiare la polenta e a sdegnare il cuscus. Il gestaccio di Calderoli, quindi, rientra nello standard della propaganda elettorale del suo partito; che, non va dimenticato, è quello che esordì in politica dichiarando di avercelo duro, e non intendendo il comprendonio.
La cosa sospetta è che tutti i partiti del governo hanno colto dalla farsa di Calderoli l'occasione per ribadire l'immagine che vogliono offrire di sé ai propri elettori: Berlusconi ha recitato la parte del premier responsabile che alla prima cazzata ti butta fuori; Fini quella del serio statista campione di fermezza; i democristiani hanno mandato in scena la replica di Che ci faccio qui? di Bruce Chatwin. I leghisti, infine, hanno rispolverato il consueto repertorio, scopiazzato un po' dal Mein Kampf e un po' da Asterix, degli orgogliosi difensori della purezza del sangue, irriducibili al giogo romano in virtù della magica pozione che sgorga, naturalmente purissima anch'essa, dalle vette del Monviso.
Che sia stata tutta una manfrina è praticamente certo; ma in questo non c'è nulla di inedito. Nemmeno nei toni, perché qualcosa Alvaro Vitali ci avrà pure insegnato. E la dimostrazione, vale appena suggerirlo, è che nonostante le minacce e le parole grosse nessuno se ne sia andato via col pallone. Tutti contenti, insomma. Persino la presunta opposizione, una volta appreso dal giornale delle dimissioni di Brighella, si è ritenuta soddisfatta e ha archiviato la questione, preferendo rinunciare a scagliare un facile affondo per via di quella famosa signorilità che ce la fa invidiare dai governi del mondo intero. E poi, finché si scherza è un conto, ma se dobbiamo parlare seriamente allora nessuno dimentichi mai che la Lega “è una costola della sinistra”. Se non altro, per ricordarsi fare le congratulazioni a quello che lo ha detto, se mai dovessimo incontrarlo per strada.

Persio Tincani