Emilio Canzi
L’epopea di un antifascista libertario
di Orazio Gobbi
Il senso di un'esperienza umana e militante davvero eccezionale, storicamente radicata nel Novecento, ma capace di parlarci anche oggi.
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Partigiano scomodo
Emilio Canzi possiamo considerarlo un'icona dell'antifascismo libertario del Novecento.
Ho un ricordo molto vivo di quando, giovane sovversivo nei primi anni '70, sentivo raccontare le vicende di questo uomo che, tra le altre cose, era diventato Comandante Unico dei partigiani piacentini. Il circolo anarchico piacentino, al quale appartenevo insieme ad altri, era intitolato a lui. In quegli anni di anarchici che avevano partecipato alla Resistenza italiana se ne sentiva parlare poco. In altri contesti storici (la Prima internazionale, il sindacalismo rivoluzionario, la guerra civile spagnola, il Maggio francese) l'anarchismo aveva sedotto grandi masse, ma la Resistenza sembrava un argomento tabù, un fenomeno che avesse avuto poco a che fare con il movimento libertario, e non certamente per demerito di quest'ultimo. Pertanto risultava strano che il libertario Canzi avesse potuto occupare posizioni di comando e di responsabilità in un ambito quale quello della Resistenza, sempre appannaggio dei partiti antifascisti e delle loro strutture organizzate.
Occorre ricordare che gran parte della storiografia ufficiale della Resistenza, fino a quel momento, era stata redatta dall'intellighenzia organica ai partiti del cosiddetto arco costituzionale, soprattutto di matrice comunista. Lo stesso Partito Comunista Italiano era stato responsabile (come descriviamo nelle pagine che seguono) di un gesto autoritario e odioso nei confronti di Canzi. In quel frangente storico i partiti antifascisti, con varia determinazione, tentavano di imporre la propria egemonia politico-militare sulla Resistenza. L'ingiustizia subita da Canzi, così come altre vicende rimosse della storia resistenziale, non ha goduto per molti anni di buona pubblicità in ambito storiografico. Anche nel movimento libertario, onestamente, sull'anarchico Canzi non esisteva una sufficiente pubblicistica militante. Egli stesso aveva lasciato pochi documenti scritti. Il suo ricordo era affidato a una scarsa memorialistica scritta e alle testimonianze orali di chi l'aveva conosciuto o di chi ne tramandava le gesta compiute negli Arditi del Popolo e nella guerra civile spagnola, oppure durante la Resistenza partigiana in montagna. Scarsa era anche la conoscenza della sua condizione di esiliato, di confinato a Ventotene, di prigioniero nei campi nazifascisti. Nonostante i colpevoli silenzi e la precarietà delle notizie che lo riguardavano, nel contempo cresceva e si affermava negli anni il mito di Canzi.
La recente storiografia, opportunamente, sta colmando questa lacuna conoscitiva e sta rendendo giustizia a questa figura simbolo dell'antifascismo italiano. Le pagine che compongono questo dossier vogliono contribuire alla conoscenza di un uomo che ha speso la propria vita per le cause della libertà e della giustizia sociale.
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Bettola (Piacenza), ottobre 1944 - I funerali del capitano Mack. Da sinistra: il Montenegrino (con la cravatta), Pietro Inzani (con la barba), Emilio Canzi, don Giovanni Bruschi, Lorenzo Marzani (ultimo a destra) (foto: archivio Anpi Piacenza) |
Figlio del Novecento
Emilio Canzi, nato sul finire dell'Ottocento, appartiene però al secolo trascorso: il Novecento con le sue speranze, le sue insidie, i suoi drammi.
L'esperienza mondana di Canzi ha inizio con la guerra coloniale italiana in Libia e prosegue con la mattanza della prima guerra mondiale. Prima di questi eventi non abbiamo notizia di una sua esplicita coscienza politico-sociale e la sua biografia in questo periodo rimane alquanto incerta e vaga. Questa fase della sua vicenda giovanile, probabilmente, non è ancora animata di spirito libertario e antimilitarista. Pertanto non rifiuterà, come tanti anarchici dell'epoca, di arruolarsi come soldato e di partecipare alle guerre d'inizio secolo.
Diviene credibile l'ipotesi che, partecipando in prima persona a quelle vicende belliche, abbia potuto prendere co-scienza delle brutture e dell'infamia delle guerre che combatteva. Non a caso avviene una svolta significativa nelle successive scelte di Canzi. Lo ritroveremo negli anni seguenti (1919-20) a partecipare attivamente ai moti rivoluzionari del Biennio Rosso, scelta congruente con una sua maturazione sociale e politica. Il manifestarsi della pulsione libertaria in Canzi coinciderà e sarà favorita anche dall'insorgente coscienza antiautoritaria e anarchica di una consistente parte del proletariato italiano di quel periodo.
Di lì a poco l'ondata reazionaria delle classi conservatrici produrrà lo squadrismo fascista, che diverrà ben presto violento e impunito. Canzi, a fronte di questi eventi e consapevole dell'incapacità dei partiti democratici di contrastare il fenomeno fascista, aderirà fin dall'inizio all'esperienza degli Arditi del Popolo. La sua partecipazione agli Arditi gli consentirà di diventare figura di rilievo del primo antifascismo piacentino, ma lo esporrà direttamente alle persecuzioni dell'estrema destra e dei conniventi apparati dello stato monarchico. Il dilagare del fascismo nei primi anni '20, oltre a causare morti e persecuzioni, costringerà molti antifascisti e libertari a prendere le strade dell'esilio. Canzi sarà uno di questi e troverà riparo in Francia insieme, tra gli altri, a Savino Fornasari, esponente di punta dell'anarcosindacalismo piacentino di quegli anni.
La vicenda di esule sarà un grosso fardello da portare per gran parte della vita, ma anche l'occasione per la formazione di affetti familiari e di amicizie che lo segneranno profondamente per il resto della sua esistenza. I convincimenti anarchici e antifascisti e le profuse doti umane avevano ormai acquisito piena congiunzione. Sono gli elementi che segneranno l'epopea di Canzi.
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Piacenza, 28 aprile 1945 – Emilio Canzi parla ai partigiani alla liberazione di Piacenza. Alla sua sinistra: Fausto Cossu (foto: archivio Anpi Piacenza) |
Eredità e attualità
La biografia umana e politica di questo anarchico rappresenta un esempio di coerenza tra pensiero e azione. Un esempio illuminante tra i tanti che il movimento libertario ha espresso nella sua storia. L'anarchismo di Canzi ha nutrito diverse generazioni di giovani con la passione per la libertà e la giustizia. Ovviamente non possiamo considerarlo privo delle contraddizioni umane: quelle derivanti dall'essere persona. Canzi dovette fare i conti anche con le contraddizioni emerse da un'epoca carica di rivolgimenti e di trasformazioni. La prima metà del Novecento fu un periodo denso di avvenimenti che inevitabilmente influirono sulle sue scelte militanti. Ciononostante Canzi ha insegnato molto sul piano dell'umanizzazione della militanza politica. Nei momenti della lotta anche cruenta ha saputo dimostrare senso di giustizia e di rispetto degli avversari, anche in circostanze nelle quali l'avversario era esplicitamente il nemico. Numerose testimonianze storiche depongono a sostegno di questo suo atteggiamento autenticamente etico-libertario. Perseguiva fini di giustizia utilizzando nel contempo giustizia di mezzi. La sua vocazione autogestionaria, che manifestò anche a capo della Resistenza piacentina, lo accompagnò per tutto il corso della militanza antifascista. Evi-dentemente la lezione della guerra civile spagnola, che lo aveva visto protagonista tra i miliziani anarchici, doveva avergli insegnato molto in proposito. Emilio Canzi fu in vita uomo d'azione, seppe condividere scelte unitarie con persone e strutture organizzate non sempre compatibili con lui e con il suo pensiero. Di temperamento riservato e poco incline a considerazioni teoriche sull'anarchismo, ne fu interprete eminentemente pratico. La tensione alla piena espressione della libertà dell'individuo trovò in Canzi una corrispondente piena responsabilità nell'agire. Una lezione etico-politica, la sua, costantemente valida per il presente e per il futuro.
Poco dopo la fine della guerra, nel novembre 1945, il comandante partigiano moriva per una beffa del destino, dopo aver affrontato la morte e averla elusa in diverse circostanze. La sua epopea era terminata ma il tributo riservatogli dai compagni di lotta, dai partigiani e dai più noti esponenti della Resistenza italiana (Parri, Pertini, Lussu), stava ad indicare in Canzi la migliore e più autentica espressione dell'antifascismo del Novecento.
Orazio Gobbi
Libri sull'antifascismo a Piacenza
- Achilli, Fabrizio, Dopoguerra e fascismo a Piacenza, Tip.Le.Co., 2003
- Belizzi, Paolo, Quelle che non fanno storia, Vicolo del pavone, 2005
- Dondi, Mirco, La Resistenza tra unità e conflitto, Bruno Mondadori, 2004
- Mariani, Ermanno, L'eccidio di Strà. La banda Maroder-Pasini, Pontegobbo, 2004
- Mariani, Ermanno, Il Ballonaio, la più grande beffa della storia della Resistenza, Pontegobbo, 1991
- Pancera, Gino, Due stagioni in val Nure, Grafiche Emilstampa, 1991
- Panni, Giuseppe (Pippo), La “Brigata Mazzini” e la “Brigata Inzani” in Val Nure e in Val d'Arda, Tep 1978
- Prati, Giuseppe, Figli di nessuno. Vita delle formazioni Partigiane della Val d'Arda, Tep, 1980
- Silingardi, Claudio, Emilio Canzi e Savino Fornasari dall'emigrazione libertaria in Francia alla rivoluzione spagnola, in Studi piacentini n. 1, 1984
- Silingardi, Claudio, Emilio Canzi e la crisi del Comando Unico Piacentino (1944/1945), in Studi piacentini n. 10, 1991
- Sprega, Franco, Il filo della memoria, Tip.Le.Co., 1998
- Tagliaferri, Ivano, Morte alla morte, Vicolo del pavone, 2004
- Tagliaferri, Ivano, Il colonnello anarchico, Vicolo del pavone, 2005
- Tassinari, Giorgio, Piacenza nella Resistenza, Tep, 2004
- Vescovi, Alberta e Agosti, Giovanni, E verrà l'Alba… Il Valoroso: una vita partigiana, Vicolo del pavone, 1996
www.partigiani-piacentini.net |
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