Cospiratori e cospirazioni
di Francesco Berti
Prima di rispondere a Barroero, intendo approfittare di questa occasione per ringraziare pubblicamente Pino Cacucci. Questi, dopo aver letto il mio articolo prima che andasse in stampa, si è molto rammaricato per quanto avevo scritto. A suo parere, il pezzo da un lato si presentava altamente offensivo nei suoi riguardi, dall'altro stravolgeva completamente il suo pensiero. Nonostante ciò, Cacucci si è dichiarato fin dall'inizio, e senza esitazioni, a favore della pubblicazione dell'articolo: questo gli fa molto onore e mi conferma nella stima che ho nei suoi confronti e che ribadisco ancor di più in questa sede.
Vengo dunque all'articolo di Barroero, del quale intendo contestare cinque punti.
Primo. Nel film di Forman, Salieri dapprima boicotta Mozart nella sua attività di musicista, roso dall'invidia verso il giovane genio e adirato con Dio, reo di non avergli infuso lo stesso talento; poi ordisce un complotto: il piano è quello di commissionare a Mozart, sotto mentite spoglie, una messa da morto, ucciderlo (afferma esplicitamente che questo è il suo scopo), appropriarsi infine del requiem per farlo suonare – la sua rivincita contro Dio – al funerale del giovane salisburghese.
Nel film Salieri riesce a realizzare solo il primo punto della sua cospirazione (commissionare a Mozart una messa da morto), dato che il salisburghese muore di cause naturali e che la vedova mette sotto chiave la composizione.
La figura di Salieri risulta dunque altamente calunniata, in quanto nel film si sostiene: 1) che per invidia egli abbia sabotato Mozart; 2) che abbia concepito un piano per ucciderlo, con l'intento di appropriarsi di una sua opera; 3) che gliela abbia effettivamente commissionata. Tutti e tre i punti sono falsi storici. Se questa non è calunnia…
Secondo. Dire che ci siano alcuni settori politici (negli Usa e in Israele) ai quali può tornare utile l'esistenza di gruppi terroristi o di Stati terroristi per legittimare un certo tipo di politica imperialista è cosa ben diversa dal dire che ci sia un preciso piano per rafforzare in tutto il mondo questi gruppi o, peggio, che essi siano creati intenzionalmente a questo scopo. Quest'ultima tesi è per me espressione di una mentalità cospirazionista.
Del resto, allo stesso modo, si dice oggi, da parte di alcuni settori della sinistra moderata italiana, che l'esistenza di alcune frange rivoluzionarie di estrema sinistra è funzionale al mantenimento del potere da parte del governo Berlusconi, quando non si arriva a ventilare che queste frange siano create ad hoc e foraggiate dal governo. Quanto al fatto che alcuni dei governi islamici siano solo “verbalmente minacciosi”, mi sembra fin troppo facile ribattere che è risaputo in che modo e in che misura essi finanzino i kamikaze palestinesi e i gruppi terroristici.
Terzo. Ahmadinejad. L'ho definito nazi-islamico riprendendo un'espressione, che mi è sembrata felice, di Magdi Allam (giornalista liberal-democratico di cultura islamica).
Non ho scritto islamico dunque nazista, pertanto non ho certo lasciato adito al dubbio di considerare equivalente, in maniera odiosamente razzistica, l'essere islamico e l'essere nazista.
Quanto al nazismo di Ahmadinejad, credo che una persona che: 1) nega l'olocausto; 2) afferma che esso è il frutto di un complotto degli ebrei; 3) sostiene che Israele deve essere cancellata dalla faccia della Terra; 4) asserisce che, nella migliore ipotesi, gli ebrei dovrebbero essere confinati in qualche regione sperduta, lontano dai popoli mediorentali; sia equiparabile ad un nazista.
L'ideologia nazionalsocialista, tra gli altri, era costruita sui punti 2), 3), 4), in quanto: riteneva: che i mali del mondo in generale e della Germania in particolare fossero frutto di un complotto ebraico; che gli ebrei dovessero essere per questo sterminati; che, in alternativa, dovessero essere confinati in qualche regione sperduta. Dopo la guerra, molti nazisti sostennero anche il punto 1), cioè che l'olocausto era un'invenzione degli ebrei.
Ciò non significa affatto che tutti gli islamici siano antisemiti, né che lo siano tutti gli iraniani islamici. È un fatto tuttavia difficile da smentire che l'antisemitismo sia molto radicato in una parte della cultura islamica, che presenta gli ebrei facendo ricorso ai più volgari clichè antisemiti (gli ebrei sono avidi, corrotti, cospiratori, imperialisti, etc.).
Quarto. Barroero scrive che la sinistra di classe non è antisemita ma anti-israeliana, “nel senso dell'opposizione radicale allo Stato israeliano, alle sue politiche imperialiste e allo sfruttamento capitalista degli arabi e dei proletari israeliani”. Allo stesso modo, e anzi ancor di più, la sinistra di classe dovrebbe allora sostenere di essere anti-iraniana, anti-cubana, anti-cinese e via dicendo (citando tutti gli Stati del pianeta), dal momento che in tutti gli Stati del pianeta c'è lo sfruttamento economico di classe, ed anzi in alcuni paesi, oltre a questo tipo di sfruttamento, c'è anche una oppressione politica molto accentuata (mancanza di libertà di opinione, di associazione, di stampa, etc.).
Eppure non mi pare che nei giornali e nelle iniziative della sinistra di classe vi sia questa equidistanza, né che si brucino alle manifestazioni le bandiere dell'Iran, della Siria, di Cuba.
Proprio qui sta il punto. A me pare che la sinistra di classe stabilisca una strana gerarchia – e la cosa risulta molto strana, quando essa si dice anarchica – delle forme di oppressione, tale per cui il nemico principale viene additato nel capitalismo e dunque negli Stati che lo promuovono, e in subordine nell'oppressione politica di Stati che non sono capitalisticamente avanzati ma mille volte più autorititari ed oppressivi delle democrazie liberali.
Cosicché, tanto per fare un esempio, si arriva all'assurdo che, mentre si dedica ampio spazio allo “sfruttamento capitalista” di Israele (unico paese al mondo, tra l'altro, dove si sia realizzato, su larga scala, un socialismo autogestionario, libertario e non fallimentare), si tace o si dice poco sull'oppressione politica ed economica di cui sono fatti oggetti milioni di arabi da parte dei despoti che li vessano. Di più. Ampi settori della sinistra di classe (non gli anarchici, ovviamente) mi pare che strizzano l'occhio alle peggiori dittature del pianeta in quanto considerano questi paesi anticapitalisti (Corea del Nord, Cuba, etc.).
Potrei enumerare varie iniziative al riguardo, promosse dalla sinistra antagonista di classe. Quanto alla distinzione tra antisionismo e antisemitismo, la ritengo sofistica. Ancora una volta: perché dirsi antisionisti e non anche antisiriani, o antiegiziani o antiiraniani? Forse che in questi Stati non c'è sfruttamento, o non c'è oppressione?
Quinto. Barroero scrive di rivendicare l'etichetta di antiamericano, in quanto esso sarebbe “una specificazione esemplare” del suo “antistatalismo, anticapitalismo, antimperialismo”, nutrendosi “della convinzione che la famosa democrazia americana altro non sia (e sia sempre stata) che la rappresentazione mistificata di un feroce potere di classe e che fin dalle origini e proprio nella sua "idealità" ha semplicemente stabilito le regole di rappresentanza degli strati economicamente dominanti”.
Pare strano che un anarchico possa fondare il suo odio antiamericano proprio sull'antistatalismo, dal momento che gli Stati Uniti sono uno dei paesi dove lo Stato, fin dalla sua fondazione, è stato tra i meno presenti nella vita quotidiana delle persone. Pare strano che un anarchico sottovaluti il fatto che alcuni degli esponenti della rivoluzione americana (penso ad esempio a Paine o Jefferson) erano pensatori libertari (si rileggano le pagine di Rudolf Rocker, nei Pioneri della libertà, o quelle di Murray Bookchin, che ci ha invitato a riflettere sulla tradizione municipalista libertaria statunitense, che lo Stato federale non è riuscito del tutto a spegnere). Basta por mano al recente libro di Massimo Salvadori (L'Europa degli americani. Dai padri fondatori a Roosevelt, Roma-Bari 2005) per rendersi conto che i costituenti americani concepirono la nuova repubblica (prima democrazia moderna nella storia dell'umanità, primo Stato a darsi una costituzione scritta limitatrice del potere politico) proprio con l'intento di costruire una nazione immune dai vizi che ai loro occhi contraddistinguevano la vecchia Europa (dispotismo politico e miseria economica).
Su queste basi gli statunitensi costruirono il “mito americano”, che come tutti i miti non corrisponde (e non ha mai corrisposto completamente) alla realtà, ma che qualcosa di vero doveva – e deve ancora – pur averlo, se milioni di persone si sono riversate nel passato, e si riversano tutt'oggi, in quella nazione, per sfuggire alle persecuzioni religiose, politiche e alla miseria economica. Sono ovviamente del tutto consapevole dei limiti e dei misfatti che hanno compiuto i vari governi degli Stati Uniti; respingo altresì ogni visione agiografica della storia degli USA, ma ritengo che presentare la democrazia americana come una pura mistificazione sia un errore storico e ideologico.
Ci sarebbero molte cose da dire sulla sottovalutazione, a mio parere molto grave, compiuta da una certa parta della sinistra, delle grandi conquiste che per l'umanità intera (e non solo per gli abitanti degli Stati che le hanno elaborate e messe in opera) hanno costituito la limitazione del dispotismo statale per mezzo del costituzionalismo liberale, delle dichiarazioni di diritti, del principio della separazione tra Stato e Chiesa, della libertà di pensiero e di associazione, dell'habeas corpus, del processo accusatorio, della partecipazione politica, e via discorrendo. Preferisco per ora fermarmi qui, e tornarci, semmai, in altra sede.
Francesco Berti
Una svolta non necessaria
di Roberto Colombo
Ho letto con interesse l'articolo di Francesco Berti La storia non è una cospirazione apparso sul numero 314 della rivista.
L'autore critica duramente le posizioni espresse da Pino Cacucci relativamente alla questione Iran e al ruolo di USA e Israele, condannando (mi sembra di capire) la mentalità cospirazionista tanto diffusa negli ambienti di sinistra (più o meno libertaria).
Il discorso meriterebbe maggior approfondimento e non si può certo risolvere con un breve articolo o con una lettera.
Vorrei però tornare brevemente sull'argomento ed in particolare su una questione che mi ha lasciato perplesso. Berti giustamente si chiede: “Perché il nazismo ha preso il potere in Germania, il fascismo in Italia, il bolscevismo in Russia, mentre la stessa cosa non sarebbe mai potuta succedere negli USA o in Inghilterra?”
La risposta, secondo l'autore, risiede (almeno per quanto riguarda la Germania) principalmente nella cultura antisemita e nel nazionalismo esasperato, mentre assumono un ruolo di secondo piano le responsabilità degli industriali.
Ma è forse un caso che le svolte autoritarie in Europa siano avvenute dopo un periodo di forte mobilitazione operaia e di presa di coscienza da parte dei lavoratori?
È forse un caso che il fascismo in Italia abbia preso il potere subito dopo il biennio rosso con la conseguente occupazione delle fabbriche?
Forse nei paesi anglosassoni la svolta autoritaria non è avvenuta anche per il fatto che “non era necessaria”. In questi paesi il primato del capitalismo non è mai stato seriamente messo in discussione.
Non è un caso che le dittature nell'America Latina e la strategia della tensione in Italia si siano imposte dopo i fermenti di fine anni '60 e la crescita della sinistra. In tutto questo appaiono evidenti le responsabilità dei numi tutelari delle democrazie occidentali, che in nome della “libertà” non hanno esitato a compiere stragi, omicidi, torture e nefandezze di ogni tipo. È difficile non vedere una cospirazione, e non è necessario pensare a diabolici personaggi tramanti nell'ombra. È sufficiente considerare la logica del potere e la sua necessità di mantenersi e perpetuarsi, con ogni mezzo.