rivista anarchica
anno 36 n. 318
giugno 2006



a cura di Marco Pandin

 

Caterina Bueno

Nel segnalare la pubblicazione del suo bell'album “Dal vivo” a cura dell'indie udinese Nota (vedi A n. 263), lamentavo il fatto che grande parte del lavoro di Caterina Bueno non fosse più da lungo tempo reperibile.
Sono scomparsi nel buco nero dei mercatini del vinile per i collezionisti i suoi anni di lavoro testardo e di ricerca instancabile, impegnati tutti nella raccolta di canzoni popolari, testi e melodie dalla viva voce delle persone, lavoratori e contadini innanzitutto, con lo scopo preciso di non far scomparire il rumore della Storia.
Alla fine del 2005, del tutto inaspettatamente, la major Warner ha tirato fuori dagli archivi le registrazioni dei tre album di Caterina originariamente pubblicati nella prima metà degli anni '70 dalla Fonit Cetra nella “serie folk”, per digitalizzarli e pubblicarli in un doppio cd.

Caterina Bueno

L'operazione, se da una parte non può che far piacere, dall'altra non risolve alcuni dubbi legati alle reali motivazioni che la sorreggono: più che di un'illuminata iniziativa culturale temo che per la Warner si tratti solo di un microinvestimento nella fetta di mercato folk-popolare. Fosse o non fosse così, in tempi medio-brevi mi aspetto (e so di non essere solo in quest'attesa) la riproposizione di tutti gli altri dischi della serie folk, così che si possa nuovamente godere delle voci di Luisa Ronchini, del Canzoniere Internazionale, Dodi Moscati, Otello Prefazio… e ritrovare una riconciliazione, seppur tardiva, con le nostre radici strappate dall'industrializzazione e soffocate dalla televisione.
Grafica iper-essenziale, nel libretto che accompagna il cd sono riportate quasi integralmente le note che comparivano nell'edizione su vinile, ma inspiegabilmente non i testi delle canzoni. Il doppio cd, commercializzato a medio prezzo, è ampiamente reperibile nelle catene del tipo Feltrinelli/Ricordi, FNAC etc.

 

Richard Leo Johnson

Le musiche intrappolate in questo cd nascono dal caso: una vecchia chitarra National Duolian (una di quelle, per intenderci, con la cassa metallica) trovata in soffitta in mezzo a roba vecchia da buttar via ed offerta a Richard Leo Johnson da un nuovo vicino di casa. La Duolian, di per sé uno strumento assai economico (era popolare tra i bluesmen negli anni Trenta durante la Depressione), era malmessa, abbandonata alla polvere da anni: Johnson acconsentì a ripulirla e rimetterla in sesto, per poi accorgersi di un nome – Vernon McAlister – malamente inciso con un chiodo o un coltello su un fianco dello strumento.
Appassionato chitarrista autodidatta nato nel Delta del Mississippi, Richard Leo Johnson è stato per anni un importante fotografo (alcuni suoi scatti sono esposti al Corcoran Museum di Washington e al New Orleans Museum of Art), fino a quando nel 1996 un incendio gli ha distrutto completamente la casa, e con essa il suo laboratorio ed archivio: è da qui che ha deciso di ricominciare la vita da zero, trasferendosi a Nashville, dedicandosi completamente alla chitarra lasciandosi trascinare dalla corrente indotta dalle dita di John McLaughlin, Leo Kottke, Ralph Towner. Lo stile di Johnson è un curioso amalgama di tracce evidenti lasciate dai suoi ispiratori, ma con alcune marce in più quali l'incredibile velocità esecutiva e una sorprendente fame di sperimentazione: usa chitarre a 6, 12 e 18 corde costruite secondo le sue indicazioni, pizzica-tira-graffia-tende-sega le corde, percuote le corde e il corpo dello strumento e impiega accordature che dire inusuali e bizzarre è riduttivo.

Particolare della chitarra di
Richard Leo Johnson: è inciso
il nome di Vernon Mc Alister

Si potrebbe dire che, come nella leggenda della lampada di Aladino, dallo sfregare quella vecchia chitarra si sia in qualche modo materializzato lo spirito di McAlister: le venti tracce raccolte in “The legend of Vernon McAlister” – interamente strumentale – costituiscono un tuffo all'indietro nel tempo, musica che emana odore di campi e di sole, libera da costrizioni di genere, fatta per essere diffusa nell'aria come i semi delle piante, il canto degli uccelli e l'odore dei fiori. Quello che colpisce al cuore è la voce dello strumento, così lontana nel tempo eppure così umana e vibrante e pura, inattaccata dalla ruggine e dalla polvere della cosiddetta “civiltà del progresso”.
Potete leggere la storia (…inventata?) di Vernon McAlister, l'uomo che suonava ai tordi e agli scoiattoli, su www.vernonmcalister.com; e se vi incuriosisce – come spero – la musica di quest'album indefinibile, fate un giro dalle parti di Cuneiform all'indirizzo www.cuneiformrecords.com (distribuzione in Italia a cura della storica indipendente milanese IRD).

 

Erik Friedlander e Roberto Dani

La “storia” che sta dietro a questo cd è così banale e lineare da sembrare una scusa, un'invenzione: è la documentazione dell'incontro tra il violoncellista Erik Friedlander, ben conosciuto per i progetti a proprio nome ma soprattutto per la fruttuosa collaborazione con John Zorn, ed il percussionista vicentino Roberto Dani, anche lui musicista molto stimato (ha suonato in mille situazioni diverse, da Kenny Wheeler a Christy Doran, da Rita Marcotulli a Stefano Battaglia).
Se i due si conoscevano “a distanza”, da parte degli organizzatori (il Centro Stabile di Cultura di Schio, un collettivo impegnato da anni nella diffusione della controcultura: dozzine di incontri dal Living Theatre a David Thomas, spero di aver reso l'idea) niente era stato “preparato” apposta, nel senso che la decisione di registrare è stata presa con il consenso dei musicisti solo poco prima dell'inizio della performance. Performance che nel suo svolgersi si è rivelata una grande e bella sorpresa: i due – in grande e brillante forma creativa – hanno suonato generosamente, giocando coi ruoli e con gli strumenti, dimostrando voglia di conoscersi, senza paura di sperimentare. I due non si sono risparmiati, insomma: dal loro incontro è scaturita una musica viva, assai originale e semplicemente “bella”.

È stato lo stesso Friedlander, disponibilissimo, che ha curato a casa propria il montaggio e la masterizzazione del cd. E se risulta generalmente “difficile” descrivere un album di improvvisazioni, le difficoltà aumentano proprio in questo caso: il suono qui dentro sin dai primi istanti si fa materia liquida inafferrabile, capace di lentezze abissali ed improvvise fughe, alternarsi irregolare ed imprevisto di ombre e luce. Il violoncello di Friedlander porta a tratti a malinconie sinfoniche, altre volte ancora alle atmosfere urbane e frenetiche della New York avant di vent'anni fa come in un'eterna sospensione temporale in cui coesistono velluto e schegge di vetro. L'accento e la sorpresa sono spesso portate sulla gestualità, sull'approccio fisico allo strumento: Friedlander a tratti suona il violoncello come una chitarra o un contrabbasso, capace di scivolare dalle carezze all'aggressione, dal dolore all'estasi.
Roberto Dani è altrettanto indefinibile, quasi in bilico nei gesti da cui il rumore nasce: capace di leggerezza e terremoti sonori, crea sussurri e tonfi e sismi dal contatto fisico delle dita sulla pelle dei tamburi.
Confezione in cartoncino con belle foto e una serie di riflessioni di Emiliano Neri (All About Jazz), il cd è co-prodotto dal Centro Stabile di Cultura di Schio e da stella*nera: numerose copie sono quindi destinate a sostegno di A/Rivista Anarchica (sottoscrizione di 12,00 euro, spese postali comprese).

 

Anti-Society

È giunta alla terza uscita “Anti-Society” (le precedenti sono state “Anti-War” e “Anti-State”) la raccolta documentativa dell'indie inglese Overground, tre cd carichi di schiuma marginale anarcopunk di 25 – quasi trent'anni fa. Direi che è la prima volta dai tempi antichi di “Bullshit detector” che qualcuno riesce a raccogliere e a proporre con grande rispetto il suono e soprattutto le idee di quegli anni: nessuna speculazione (i cd, rispetto alla media inglese, costano davvero poco), una lunga e maniacale ricerca, i materiali originali forniti dai musicisti di allora, nessuna postproduzione per rendere più accettabile il suono secondo gli standard digitali.

Incontriamo tra queste tracce qualche vecchio compagno: in questo terzo volume gli irriducibili Icons of Filth, i più meditativi Liberty, i sognatori Alternative, il poeta Andy T, i comici Hagar the Womb, i cattivi Apostles, e molti altri nomi e formazioni che allora frequentavano le zone basse dei bassifondi e il limite esterno del margine.
Per ognuno un brano nel cd, e nel libretto alcune note auto/biografiche, da cui spesso traspare una motivazione sincera e primaria che spinge alcuni a ritentare oggi l'avventura, senza temere i rischi del totale cambiamento del mercato e del quadro politico-sociale. Overground è raggiungibile via internet all'indirizzo www.overgroundrecords.co.uk, ma se non sbaglio dovrebbe essere distribuita in Italia da Goodfellas (www.goodfellas.it).

Marco Pandin
stella_nera@tin.it

stella*nera, 2006
enhanced cd (15 tracce audio + 1 traccia video)

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