Ni No
Fine anni '60, inizio '70.
La memoria collettiva conserva la silhouette allampanata e la faccia spigolosa di un cantante franco/italiano, mezzo dongiovanni mezzo donchisciotte, che ha rinverdito un'antica macchietta del repertorio di Nino Taranto – Agata – riuscendo nel difficile tentativo di tenere assieme delicatezza e doppi sensi; poco prima c'è stata una strana canzone che portava con levità il tema dell'antirazzismo su tutte le bocche Vorrei la pelle nera. Un successo rapido e travolgente (quanto effimero), tanto che al cantante, che è anche un abile intrattenitore dotato d'una simpatia naturale, viene affidata una trasmissione in prima serata.
Passano quasi trent'anni.
Il 13 agosto del 1998 il telegiornale annuncia come ultima notizia che il cantante Nino Ferrer – una volta famoso anche in Italia – si è sparato un colpo di fucile in pieno petto nella campagna che circonda la sua casa nel Sud della Francia.
Questi sono i due dati, i due termini inconciliabili, su cui si basa nel nostro paese la conoscenza di questa figura eccezionale e inclassificabile. Quest'articolo si propone di schiudere uno spiraglio attraverso cui gettare uno sguardo sull'opera aperta e sul dramma di un poeta e un musicista, che, pur intrappolato nei panni di clown pop, ha operato una delle più interessanti sintesi fra jazz, rock, canzone e sperimentazione sonora.
L'incoscienza
L'insofferenza
L'impazienza
La verità
L'incoscienza
La resistenza
L'insolenza
La libertà
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Nino Ferrer nasce con marcate origini italiane, anzi, nasce proprio a Genova il 15 agosto 1934 e si chiama Agostino Ferrari.
Il suo papà, rampollo di buona famiglia genovese, chimico avviato a una seria carriera, era un viveur un po' sulle nuvole, appassionato di letteratura e andato ad allargare le sue relazioni professionali in Nuova Caledonia. Lì aveva incontrato una bella francese e se l'era sposata portandola poi a partorire il primo figlio nella sua città d'origine.
Anche per una famiglia benestante gli anni della guerra erano stati duri in Italia, così la famiglia s'era trasferita in Francia appena possibile.
Il carattere fantasioso, ribelle, lucido e determinato del piccolo Nino s'era rivelato sin dagli anni della più tenera infanzia.
La fine dell'adolescenza aveva fatto coincidere la scoperta del jazz, che imperversava da almeno un lustro nelle caves esistenzialiste di Saint Germain de Prés, i primi strazianti amori, le prime irreparabili disfatte, il gusto della vita zingara, con la certezza, dopo aver fatto musica sui ponti per tutta una sera e con i pochi spiccioli raccolti nel cappello, di poter comunque tornare alle sicurezze di una casa borghese in pieno centro.
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Nino Ferrer |
Nino suona – e molto bene – banjo e contrabbasso con quello che sarà un piccolo mito del jazz francese Richard Bennet, sotto l'esempio e l'ala protettiva del grande vecchio Sidney Bechet, in quel tempo attivissimo in Francia. Per dieci anni seguirà quest'inclinazione nelle feste scolastiche, nei luoghi di villeggiatura, accompagnando cantanti del nascente rock francofono, di tanto in tanto partendo per qualche giro del mondo, alla ricerca dei luoghi dei racconti dei genitori in Nuova Caledonia, passando per il Brasile e l'Argentina (in seguito luoghi importanti della sua poetica), scrivendo poesie, diari letterari, scattando fotografie, disegnando, ancora sostanzialmente incerto sulla piega da far prendere alla propria vita.
Intanto ha cominciato a comporre delle canzoni: sono canzoni d'amore classiche, di solida fattura, con una scrittura senza fronzoli e armonie molto ben congegnate. Il successo arriva però per tutt'altri motivi e, come spesso accade, per caso.
Il jazz, che aveva innovato le sonorità della canzone francese per la generazione precedente, quella dominata dai Boris Vian, dai Montand, dalle Juliette Greco, viene spazzato via nei primi ’60 dalla moda del twist e dei cantanti ye-ye; se i grandi classici (Brassens, Brel, appunto la Greco) hanno ormai un pubblico solido e affezionato, coloro che ne seguono le orme – anche i più validi, un nome per tutti Maurice Fanon, – in genere non riescono a uscire dall'oscurità.
Nino sembra indirizzato allo stesso destino, ma possiede una grande abilità che sarà la sua fortuna e la sua croce: è perfettamente in grado di parodiare il genere ye-ye con dei graziosissimi testi non sense e con melodie e ritmi irresistibili. Sono canzoni di certo successo che gli nascono senza sforzo una via l'altra. Sta suonando in un dancing di Saint-Tropez quando una signora che ha perso il cagnolino gli chiede di dare l'annuncio via micorofono… quest'annuncio si trasforma in una formidale gag canterina, in uno scioglilingua Rockabilly: è nata Mirza, tormentone estivo che si vende in milioni di copie. Ne seguono tanti altri: Les cornichons, Le telephon, Oh! Hé! Hein! Bon!… tutti dischi di platino. Nino è diventato popolarissimo, ma qui inizia la sua inquietudine. Nino non si vede affatto come lo vede il mondo, lui è un serio musicista, lui è un poeta. Per ogni lato A con una canzone allegra impostagli dall'etichetta discografica, c'è un lato B con una straziante canzone d'amore: Un an d'amour (c'est irreparable), la dolorosa Ma vie pour rien, ecc.
Il successo della versione italiana di una sua canzone La pelle nera, che lui considerava come una buona via di mezzo fra serio e faceto, gli fa (erroneamente) supporre che il nostro paese può essere un buon terreno per ricostruire un'immagine in cui sentirsi più a proprio agio. Passa in Italia gli anni fra il '70 e il '73, facendo moltissima televisione, il carosello delle sottilette Kraft, collezionando macchinoni americani e filarini con qualche Star (persino la Bardot!), tornando di tanto in tanto in Francia per i concerti.
Si è intanto fatta strada in lui la convinzione che la musica sia tutt'altra cosa che quella che ha fatto sin ora. Su questa strada incontra interessi che a questa nuova concezione musicale si sposano: antimilitarismo, ecologia, rapporto con le droghe, col sesso libero, rivolta contro le costrizioni sociali, saranno d'ora in poi i suoi temi; Nino che è passato attraverso il '68 quasi con un senso di fastidio, si avvede che in realtà quelle tematiche gli sono penetrate dentro cambiandolo radicalmente, insegnandogli un modo nuovo, svelandogli la realtà.
La becera bacchettonagine della RAI, che gli censura una canzone perché contiene la parola letto, intesa come participio di leggere, ma, ahimè, anche sinonimo dell'innominabile talamo, è la goccia che fa traboccare il vaso dei nervi di Nino. Rientra in Francia dove registra quello che in seguito definirà “il mio primo disco”.
Metronomie è un monumento, un capolavoro. Si apre con sette minuti di caos sonoro, di improvvisazione che deriva tanto da John Coltrane quanto dai primi Pink Floyd, poi arriva una canzone esistenziale, frenetica e grottesca, sull'assurdità della vita e della guerra,
Ci si risveglia nel giorno della gloria fra le cose, fra la gente
E se pure è una corte dei miracoli è imparando che s'impara.
Lei, c'è lei sola, c'è semplicemente lei, il mondo è tenero e differente
Il mare è calmo, si parte all'avventura: tanto meglio o tanto peggio…
Ecco la primavera arrivare e ce ne vogliono venti per ammazzarla
Luna, dollari, manganelli e sogni, e il manganello torna sempre.
Si fa la croce su chi resta…croce di guerra ovviamente!
Insieme certo vinceremo tutto il meglio o tutto il peggio.
E poi, ecco, cade la sera dopo due ore, dopo cent'anni
Ma è una cosa senza importanza, non è che questione di tempo.
“Allons enfants de la patrie…”, forza allegri verso il destino
Sopravvivere un po'
Imparare un po'
Sorridere un po'
Amare un po'
Soffrire un po'
Morire un po'…
Per niente.
poi si affronta il tema delle droghe e via dicendo… Il disco – che oggi è considerato un must del pop francese anni '70 – sarà ignorato dalle classifiche, se non per un'unica canzone, in effetti bellissima, La maison pres de la fontaine, inno poetico, un po' ecologico un po' esistenziale sul tempo che passa, che vende molto bene come singolo.
La casa accanto alla fontana
Coperta di vigne vergini e tele di ragno
Odorava di marmellata, di disordine e di oscurità
Di autunno
D'infanzia
D'eternità (…)
La casa affianco al dormitorio
Ha fatto posto ai capannoni e al supermercato
Gli alberi son spariti ma c'è l'odore dell'idrogeno solforico
Di benzina
Di guerra
Di società
Non va poi male…è normale.
È il progresso.
Nino, cui manca completamente la capacità di contentarsi, è furioso. Litiga con tutti, case discografiche, televisioni, radio, manager, colleghi… ogni richiesta di ripetere la formula di un suo qualunque prodotto, ogni concessione ai formati e ai tempi del music business, è per lui un inaccettabile attentato all'integrità artistica. Di lui tutti ricordano la generosità, la genialità, la musicalità, il senso innato dello spettacolo… ma molto, molto di più le collere furiose, gli improvvisi scoppi d'ira.
Nino comincia in quegli anni a farsi la solida e devastante fama dell'immenso rompicoglioni.
Intanto fa un incontro fondamentale per il suo futuro: Mike Finn, un chitarrista hard rock, sodale e compagno di Jimmy Page, un giramondo senza fissa dimora che, se non avesse avuto più cara la sua totale indipendenza (e inaffidabilità) della fama, sarebbe oggi annoverato fra i miti della chitarra elettrica. Finn dischiude a Nino ogni possibilità, lo fa diventare un rocker di tutto rispetto, dal suono sempre più aspro, in accordo con testi sempre più urgenti.
Nino si libera da ogni contratto e intraprende l'autoproduzione di dischi tanto belli quanto sostanzialmente lontani dalla sua immagine di un tempo, dischi duri, sprezzanti, imperiose cavalcate psichedeliche fra testi sovente cantati in inglese. Le perle non mancano mai: alla fine di Blanat, uno dei vertici della sua produzione matura, la folgorante L'arbre noir apre un cortocircuito di dolore ed energia positiva che ha pochi eguali. Un altro disco si conclude con quello che sarà il suo ultimo successo, una canzone di quelle che si scrivono una sola volta nella vita: Le sud, ancora una volta una canzone in cui una sorta di filosofia morale si sposa con una descrizione piena di poesia, con una melodia di bellezza sconvolgente. La canzone venderà milioni di copie, ma, ovviamente, Nino detesta la versione conosciuta e per anni si imbarca, a volte cantandola in francese, a volte in inglese, a volte in italiano, in un'ossessiva quanto utopica ricerca della versione perfetta.
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Nino Ferrer |
Intanto il dandy dalle mille storie è diventato un signorotto freak. I proventi di Le sud gli consentono di comprare una meravigliosa tenuta con palazzina nel sud della Francia, dove trasferisce la madre che, dopo la morte del padre, è diventata il suo alter ego, il suo più forte legame con la vita, la sua confidente, Kinou, l'adorata moglie, i figli, gli amici, i musicisti, i numerosissimi animali, piantagioni di marijuana (di cui è uno smodato consumatore), lo studio di registrazione e al cui cancello affiggerà una scritta che dice: “Qui sono a casa mia e ospito neri, puttane, ebrei, drogati e caco in faccia a tutti gli altri”.
La lotta di Nino con il mondo dell'industria musicale è più feroce che mai, purtroppo è ricambiato dalla più totale indifferenza.
Il penultimo motivo per cui finirà sui giornali ha poco a vedere con la musica: un battaglione di parà si fa catapultare nella sua tenuta, scambiata per errore con un campo addestramento. Nino, che ha per loro tutta la simpatia che possiamo immaginare, va a scacciarli fucile alla mano. La tensione sale e la tragedia viene evitata d'un soffio.
Intanto una nuova occupazione sembra avere sui suoi nervi un effetto pacificatorio, Nino dipinge moltissimo, quadri grotteschi, ironici, sensuali, vagamente surreali, molto belli. Continua a registrare dei dischi, intraprende a distanza di tanti anni una tournée in cui ritrova un pubblico giovane che ha finalmente imparato ad apprezzare Nino per quello che è, non sono le folle dei suoi anni d'oro, ma è un piccolo successo di stima. Discografici e organizzatori però non credono in lui, sono passivi, gli mettono i bastoni fra le ruote. I concerti a volte si annullano a causa delle insufficienze tecniche dei luoghi, Nino è furioso e rompe ancora una volta con tutti.
Bisogna che tutte le musiche, bisogna che tutte le opinioni
Possano farsi ascoltare anche se l'indice di gradimento
Resta al grado zero.
Bisogna fare in modo che si sia noi a scegliere
Se no non saremo mai liberi
Se no è tutta imposizione, tutta industria, tutto marketing.
Non amano la musica, non ne capiscono niente
Tutto ciò che amano è ciò che riconoscono
Allora si divedono le pere ed il formaggio
E sono vent'anni che si sente sempre la stessa roba
Bouvard e Pécuchet, Tartufo e compagnia.
Noi vogliamo ascoltare ciò che fa vibrare
Vogliamo parlare di ciò che c'interessa
Anche se si chiama sesso, droga o disperazione…
Vogliamo radio libere
Televisioni libere (…)
Si ritira nei suoi possedimenti dove una tragedia lo attende, una serie di cadute, un'insufficienza cardiaca, minano drasticamente la salute dell'anziana madre, per cui inizia una triste agonia. Pochi se ne accorgono ma questa coincide esattamente con l'agonia mentale di Nino, che sprofonda sempre più in un cupo silenzio, che comincia a preparare minuziosamente la scena del suo addio, che scrive lettere d'amore alla famiglia, d'accusa ai giornalisti.
“Quand'ero piccolo non ero grande e c'era guerra ovunque. Le circostanze della vita hanno fatto di me un ragazzo solitario in un campo deserto e infine un uomo allucinato in un mondo di marziani”.
Nemmeno un mese dopo la morte della madre Nino parte da solo col suo fucile verso l'ignoto.
A noi restano i suoi dischi.
Alessio Lega
alessio.lega@fastwebnet.it
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