Una bella esposizione delle interpretazioni della simbologia anarchica si trova nel racconto che Marie-Christine Mikhailo fa di un incontro con Pier Carlo Masini in occasione di un pranzo a Losanna, dove gli avevano chiesto di parlare dei disegni che ornavano le testate dei giornali italiani:
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Si comincia con un mare in burrasca, diceva Masini, è la classe operaia che si risveglia, e con un mezzo sole all'orizzonte, i cui raggi portano la speranza di un mondo migliore. Il disegno ha un certo successo e sarà per questo ripreso da altri periodici, ognuno dei quali aggiunge un particolare con l'idea di migliorarlo. Così, un anno si vede il sole che lancia i suoi dardi su un mare più calmo, poi compare una nave le cui vele si gonfiano al vento della Storia.
[…] Nel corso degli anni certi giornali apportano novità all'illustrazione originale. Sulla riva appare una donna nuda che solleva una torcia, le cui fiamme disegnano la parola Libertà. Di fronte c'è sua sorella, anch'essa senza vestiti, che schiaccia sotto un piede la legge. Orrore! Un serpente le si avventa contro e sta per morderla a una gamba. Per fortuna un uomo a torso nudo e tutto muscoli (un operaio, si vede!) colpisce con la spada la bestia infame che abbiamo riconosciuto: è la Chiesa…
[…] In quel momento [commenta Marie-Christine] la fantasia ha forse preso il sopravvento sulle conoscenze dello storico? Che importa? Gli occhi dei più giovani, fissi su di lui, lo stimolavano certamente, ed egli è stato capace di conquistarli. Si indovinava, dietro al tono ironico, un'autentica ammirazione per coloro che, con poveri mezzi, avevano cercato di avvicinare i lettori all'Idea.
La diffusione d'immagini su larga scala è un fenomeno relativamente recente, visti i mezzi a disposizione. Fino a quel momento, le uniche immagini erano quelle dei libri e dei giornali. Solo intorno agli anni sessanta e settanta del secolo scorso copiare i documenti diventa davvero più semplice, grazie alle fotocopie e alla stampa offset. Le scritte e i disegni sui muri sono mezzi d'espressione che quasi non esistevano prima delle manifestazioni del Maggio 1968.
Certe immagini e certi simboli tendono allora a diventare una sorta di icone senza storia (per esempio l'immagine di Che Guevara su generi di consumo di ogni genere). Il contesto della loro comparsa e della loro evoluzione può servire a restituire un senso talora difficile da percepire per le generazioni che seguono.
Qui vogliamo presentare alcuni simboli grafici ricorrenti dell'anarchia, collocarli nel contesto storico in cui sono comparsi e metterli in relazione con le teorie e le idee da cui sono emersi.
Il testo che segue è un libero adattamento di informazioni fornite da storici e scrittori, talora in traduzione, con il fine di riunire scritti e riflessioni sull'argomento.
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Bandiera nera e rossa alla Million Workers' March,
Washington (da www.flickr.com) |
La bandiera
nera
Diciamo prima di tutto che la “bandiera nera” non è in realtà una bandiera e non è necessariamente nera. Tuttavia, con questo nome è diventata un simbolo anarchico.
Nel 1831, in un quadro di lotte sociali che precede l'esistenza del movimento anarchico con questo nome, i canuts lionesi (operai delle manifatture della seta) si ribellano alle condizioni di lavoro loro imposte. In novembre scoppia un'insurrezione di tre giorni, che porterà a una vittoria con le armi. I canuts si battono sotto un vessillo nero sul quale è ricamata la parola d'ordine: “Vivre en travaillant ou mourir en combattant” [“Vivere lavorando o morire combattendo”]. La bandiera di lotta del movimento operaio era tradizionalmente quella rossa, che sarà usata come segnale di adunata nelle manifestazioni, in particolare nella Comune di Parigi (1871).
Qualcuno ha avanzato l'ipotesi che il rosso sia stato abbandonato in seguito alla scissione successiva al Congresso dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori del settembre 1871 all'Aia, che vide la nascita della Fédération Jurassienne. Il 18 marzo 1882, nel corso di un'assemblea a Parigi, Louise Michel si sarebbe pronunciata per l'adozione della bandiera nera, per dissociarsi senza ambiguità dai socialisti “autoritari” e parlamentaristi.
Queste ipotesi, però, provengono da testimonianze di partecipanti che non sono confermate (per quanto ne sappiamo) da immagini d'epoca o da fonti attendibili. Invece un documento conservato presso l' Istituto Internazionale per la Storia Sociale di Amsterdam (IISG) attesta l'acquisto di tessuto rosso per uno striscione da parte di membri della Fédération Jurassienne nel 1876 a Berna. Il che sembra indicare che la scelta del colore nero non sia stata immediatamente successiva alla scissione della Prima Internazionale.
Il 9 marzo 1883, nel corso di una manifestazione a Parigi che riuniva circa quindicimila disoccupati, Louise Michel agitò una bandiera nera come segnale di adunata (si trattava in realtà di una vecchia sottana nera attaccata a un manico di scopa). Circa cinquecento persone saccheggiarono tre forni, reclamando pane e lavoro, prima di essere dispersi dalla polizia. Louise Michel, identificata dalle forze dell'ordine e accusata di avere istigato i disordini, sarà successivamente imprigionata.
Nell'agosto 1883, la pubblicazione a Lione del periodico francese “Drapeau Noir” permise in certa misura di divulgare la scelta di questo simbolo.
La bandiera nera arriva in America nel 1884, secondo lo storico Paul Avrich. Sarebbe stata esposta, il 27 novembre di quell'anno, sulla Market Square di Chicago, in occasione di una manifestazione operaia promossa dagli anarchici dell'Internazionale. Secondo un giornale militante locale, “The Alarm”, a fianco del tradizionale vessillo rosso, sul palco degli oratori, sventolava una grande bandiera nera. I due stendardi, dopo i comizi, presero insieme la testa del corteo che attraversò la città.
Anche i partigiani di Makhno, in Ucraina, durante al rivoluzione russa del 1918-21, utilizzarono il vessillo nero come propria bandiera. Combattevano formando una dozzina di eserciti che attraversarono da una parte all'altra quel territorio e cacciarono il potere centrale da gran parte del paese. Alla fine furono decimati dalle forze dei bolscevichi.
Il 13 febbraio 1921 si svolsero a Mosca i funerali di Kropotkin. Molte persone che seguivano il feretro portavano bandiere nere e altre con lo slogan: “Dove c'è autorità non c'è libertà”. Fu in pratica l'ultima apparizione delle bandiere nere nella Russia sovietica.
Due settimane dopo scoppiò la rivolta di Kronstadt, che alla fine fu soffocata dai controrivoluzionari bolscevichi e che segnò la fine dell'influenza degli anarchici nella Russia sovietica.
Nel corso della rivoluzione spagnola del 1936-39, s'era sempre più diffuso l'impiego delle bandiere nere. Gli anarchici della CNT, per esempio, combattevano sotto vessilli neri e rossi come sotto altri completamente neri.
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Black flag in USA (da www.flickr.com) |
Perché il nero?
La scelta del colore nero ha per ognuno un'origine e un significato diversi, ma sembra sempre legata alla lotta di classe e alle condizioni disperate del periodo in cui è comparso. È un colore, o meglio un non-colore potente, il simbolo dell'anarchia, e ne rappresenta le lotte principali, contro la religione, contro l'economia e, soprattutto, contro lo Stato. Mentre il rosso fa classicamente riferimento al sangue, il nero evoca il sangue rappreso e il lutto.
Howard Ehrlich, nel suo libro Reinventing Anarchy (1979) interpreta così la bandiera nera:
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Perché è nera la nostra bandiera? Il nero è un'ombra, una negazione. La bandiera nera è la negazione di tutte le bandiere. È la negazione delle nazionalità che spingono gli esseri umani a massacrarsi a vicenda e a negare la proprio unità. Il nero esprime un sentimento di collera e di rabbia davanti a tutti i crimini odiosi commessi contro l'umanità e in nome di una sottomissione a uno Stato qualunque. È la collera e la rabbia davanti all'insulto all'intelligenza umana che comportano le pretese, le ipocrisie e le ridicole beghe dei governi.
Il nero è anche il colore del dolore e della tristezza: la bandiera nera che rinnega la nazione piange anche le sue vittime, gli innumerevoli milioni assassinati dalle guerre, esterne e interne, per la gran gloria e la stabilità di uno Stato sanguinario. Piange coloro cui è rubato e tassato il lavoro, per pagare l'uccisione e l'oppressione di altri individui. Piange non solo la morte fisica, ma anche l'atrofia dello spirito soggetto al sistema gerarchico e autoritario; piange i milioni di neuroni neutralizzati, senza avere più la possibilità di portare la loro luce al mondo. È un colore d'inconsolabile risentimento.
Ma il nero è anche un colore magnifico. È il colore della determinazione, della decisione, della forza: accanto al nero tutti gli altri colori sono messi in evidenza. È il mistero che circonda la germinazione, la fecondità, il suolo fertile della vita nascente che sempre si evolve, si rinnova, si ravviva e si riproduce nelle tenebre. Il seme nascosto sotto terra, lo strano viaggio del liquido seminale, la crescita segreta dell'embrione nella matrice, sono tutti circondati e protetti dal nero.
Conclude che sarà contento quando questo simbolo, diventato ormai inutile, sarà abbandonato.
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Davanti al Palazzo di Giustizia di Milano |
Il canto
della bandiera nera
Nel 1924 viene composto un canto rivoluzionario intitolato Le Drapeau Noir. L'ha scritto un operaio tipografo, militante, autore, compositore e interprete di numerose canzoni, Loréal, mentre è chiuso in una cella della Santé. Prima esistevano solo canti sulla bandiera rossa.
Perché questa bandiera tinta di nero?
Perché quel colore sinistro?
– L'anarchia è fatta di speranza
E la morte non è suo ministro.
Noi portiamo il lutto dei malvagi
Degli ambiziosi e dei cupidi,
Dei capitalisti avidi
Che fanno scorrere il sangue per i loro piaceri.
Noi annunciamo l'avvento della Gran Sera
In cui i tiranni andranno a marcire.
Il capitale genera tutti i crimini
E noi portiamo il lutto per le sue vittime.
Perché questa bandiera tinta di nero?
Perché quel colore fatidico.
Noi portiamo il lutto del potere,
Dello Stato, della Politica.
Noi vogliamo la nostra libertà
E proclamiamo: Comunque sia
Ognuno potrà vivere come vuole
Quando sarà messa a morte l'autorità.
Noi annunciamo la fine dei potentati,
furfanti, ladri, bugiardi e apostati.
La libertà rende tutti uguali
E noi portiamo il lutto di tutti i padroni.
Perché questa bandiera tinta di nero,
Colore d'una grande tristezza?
Gli uomini, finalmente, vogliono avere
La loro parte comune di ricchezza.
Noi portiamo il lutto dei ladri
Che ogni giorno fanno bisboccia
Mentre fin dall'infanzia
Penosamente sgobbano i lavoratori.
Noi annunciamo l'umana società
Ove tutti avranno benessere e libertà.
Del padronato le forme son maledette
E noi portiamo il lutto dei parassiti.
Perché questa bandiera tinta di nero
Come il corvo vorace?
Gli umani hanno compreso
Che sono tutti della stessa razza.
Noi portiamo il lutto dei mercenari
Che vivono di rapina e di guerra.
I popoli vogliono essere fratelli
E delle nazioni bruciano gli stendardi.
Noi annunciamo l'era della verità,
Era d'amore e di fraternità!
Dei generali l'esistenza è condannata
E noi portiamo il lutto della loro patria.
Perché questa bandiera tinta di nero?
È una religione suprema?
L'uomo libero non deve avere
Per pensare nessun bisogno di un emblema!
L'anarchico non attribuisce
A questa bandiera il valore di un idolo,
Tutt'al più è solo un simbolo.
Ma reca in sé il suo superamento,
Perché annunciando la fine degli orpelli
Perirà come tutte le bandiere.
In Anarchia, ove regnerà la Scienza,
Per unica bandiera, l'uomo avrà la sua coscienza.
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(da www.flickr.com) |
Anche
i pirati
Risalendo a epoche più remote, si trovano interessanti analogie con i partigiani della bandiera nera, studiando la storia dei pirati.
Secondo la visione popolare, i pirati erano considerati ribelli, spiriti liberi, ma anche assassini sanguinari che spargevano il terrore. La struttura interna della loro organizzazione poteva essere molto diversa da una nave all'altra. Alcuni eleggevano un capitano (che, fatto notevole per l'epoca, in certi casi era una donna), il cui potere era revocabile in qualsiasi istante in caso di disaccordo.
Per i pirati la bandiera nera, ornata da un teschio e due tibie (o due sciabole) incrociate, era chiaramente un simbolo di morte, che si pensava instillasse la paura e spingesse gli equipaggi delle imbarcazioni nemiche ad arrendersi subito senza combattere. Certe volte, per semplificare le cose, il disegno del cranio era omesso, per permettere a chiunque di confezionare rapidamente una bandiera.
Altre persone e altri gruppi (senza avere per forza rapporti con l'anarchia) hanno ripreso la bandiera nera in momenti diversi della storia, con uno scopo analogo (spingere gli avversari ad arrendersi per la paura), soprattutto nel corso di una guerra. Sembra, ma non è certo, che l'esercito di Makhno avrebbe utilizzato la bandiera nera con teschio e tibie.
I pirati sono sempre stati considerati ribelli senza patria, non soggetti a nessuna legge se non quelle che si facevano da soli. Evidentemente questo non basta a fare di loro degli anarchici: spesso agivano in modo crudele e discutibile. Ma quello che importa è la percezione che si aveva di loro come simboli di ribellione, di non sottomissione alla legge. Erano odiati e perseguitati dalla classe regnante; incutevano paura e disperazione all'ordine stabilito.
Va ancora osservato che la bandiera rossa e nera, tradizionalmente legata al movimento anarco-sindacalista, non sembra avere una configurazione fissa.
Dipende dalla scelta individuale se il rosso è messo di sbieco sopra il nero o viceversa, che sia dalla parte dell'asta o in quella opposta. Alcuni gruppi hanno formalizzato l'uso di quel vessillo bicolore, adottando una volta per tutte una delle combinazioni, ma non sembra che la maggioranza dia alla cosa una grande importanza.
La bandiera è soprattutto un pezzo di stoffa che serve a radunare i compagni durante le manifestazioni. È uno strumento pratico, visibile da lontano, che si dispiega e si dimentica quando non serve più, tranne per certi feticisti che sono un esercito.
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Pane fatto a forma di A cerchiata realizzato dal panettiere anarchico
Franco Pasello. L'immagine fu utilizzata per la copertina
del n. 84 (giugno/luglio 1980) della nostra rivista |
La A
cerchiata
L'A cerchiata è un simbolo attualmente molto diffuso, associato al movimento anarchico nel suo insieme. Tale simbolo (proprio come l'etichetta di anarchico) riunisce una varietà incredibile di ideologie e di modi d'agire.
Riguardo alla sua origine circolano vari miti (alcuni sono citati alla fine del testo), ma esso è nato in realtà nel 1964.
Nell'aprile di quell'anno il Bulletin des Jeunes Libertaires di Parigi pubblica un articolo che propone un simbolo comune per l'insieme del movimento.
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Ci hanno guidato due motivazioni principali: prima di tutto facilitare e rendere più efficace le attività pratiche di scritte sui muri e di attacchinaggio, poi assicurare una presenza più vasta del movimento anarchico agli occhi della gente, grazie a un tratto comune a tutte le espressioni dell'anarchia nelle manifestazioni pubbliche. Più precisamente, si tratta per noi di trovare, da una parte, un mezzo per ridurre al minimo i tempi per le scritte murali, evitando di mettere una firma troppo lunga alle parole d'ordine, dall'altra di scegliere una sigla abbastanza generica, che possa essere adottata e utilizzata da tutti gli anarchici. La sigla scelta ci è sembrata rispondere al meglio a questi criteri. Associandola costantemente alla parola anarchica, finirà, grazie a un meccanismo mentale ben noto, a richiamare da sola l'idea dell'anarchia nello spirito della gente.
Groupe Jeunes Libertaires de Paris
La sigla proposta è una A maiuscola inscritta in un cerchio. Tomás Ibañez ne è l'ideatore e René Darras il realizzatore. L'idea sembra nascere da una parte dal metodo di stampa a ciclostile dell'epoca, che comportava una realizzazione semplice, e dall'altra parte dalla sigla antinucleare, già molto diffusa della CND (Campaign for Nuclear Disarmement).
Nel dicembre di quell'anno la A cerchiata compare nel titolo di un articolo firmato Tomás (Ibañez), sul giornale Action Libertaire, poi scompare per un po' dalla circolazione.
In effetti il simbolo ebbe poco successo in un primo tempo, facendo solo qualche comparsa sui graffiti del metrò parigino. Alla metà degli anni sessanta la rete dei Jeunes Libertaires s'indebolisce e questa è forse una delle possibili spiegazioni. Il loro bollettino interromperà le pubblicazioni e la sigla sarà momentaneamente dimenticata. Il movimento si risveglierà nel 1968.
La A cerchiata ricompare in Italia nel 1966, prima a titolo sperimentale, poi in modo più regolare, grazie alla Gioventù Libertaria di Milano, che aveva buoni rapporti con i giovani parigini.
A Milano la sigla serve allora da firma dei giovani anarchici italiani. Viene usata sui volantini e i manifesti, talvolta insieme al simbolo antinucleare e alla “mela” dei Provos olandesi. L'uso si diffonde poi in tutta Italia e nel mondo intero. Si vedono solo poche A cerchiate, però, nel Maggio ‘68, e solo nel 1972-73 la sigla si diffonde davvero grazie ai giovani anarchici di tutto il mondo.
La sigla ha saputo approfittare del nuovo mezzo d'espressione che è rappresentato dalle scritte murali, e la sua semplicità ne ha permesso l'espansione. La A cerchiata s'impone allora di fatto, senza nessuna ufficializzazione, come è avvenuto per la maggior parte dei simboli anarchici.
Sull'origine della A cerchiata circolano varie leggende: le più diffuse sono le seguenti.
Il simbolo è stato accostato certe volte a un concetto teorico sostenuto da Proudhon dell'anarchia nell'ordine. Questa idea, però, non ha nessun fondamento e non ha avuto nessuna influenza quando il simbolo è stato concepito dai suoi ideatori.
Un'altra leggenda è nata da certe foto e documentari del periodo della Guerra di Spagna (1936-39), dove si vedono miliziani con un elmo sul quale è stato disegnato un bersaglio (diverso dall'attuale simbolo fascista). L'inquadratura lascia visibile solo una parte del disegno e si può credere che si tratti di una A cerchiata.
Anche l'Alliance Ouvrière Anarchiste rivendica il primato di utilizzazione del simbolo. A dire dei suoi membri, sarebbe stato utilizzato nella corrispondenza dalla fine degli anni cinquanta. Tuttavia, i primi esemplari attestati si possono trovare sui bollettini dell'AOA solo dopo il giugno 1968.
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Disegno di Mario Castellani |
Il gatto
nero
Il simbolo del gatto è legato ai movimenti sindacali americani, soprattutto al più noto, l'IWW (Industrial Workers of the World).
Nella seconda metà del XIX secolo, le condizioni di lavoro in fabbrica, in miniera e in altri stabilimenti erano deplorevoli.
Non esistevano leggi che tutelassero i lavoratori (uomini, donne e bambini anche di tenera età).
Alcuni lavoratori cercarono di organizzare gli operai per rivendicare migliori condizioni di vita.
All'inizio si unirono soltanto certi operai qualificati e, dopo il 1869, si crearono i Knights of Labor, il primo sindacato di tutti i lavoratori senza distinzione di razza, di sesso o di competenze. Questo sindacato si sviluppò rapidamente (con 750.000 aderenti al suo apogeo), poi, altrettanto rapidamente, declinò e in pratica scomparve intorno al 1900.
Una delle rivendicazioni più importanti del decennio 1880-90 riguardava la giornata lavorativa di otto ore, dato che non era raro dover lavorare da dodici a quattordici ore al giorno. Le manifestazioni erano considerate minacce gravissime dagli industriali avidi di profitto e le azioni degli operai e dei sindacalisti spesso si trasformavano in conflitti violenti.
Nel 1886 accadde una tragedia in seguito al tristemente noto raduno di Haymarket, a Chicago, nel quale i lavoratori rivendicavano le otto ore. Queste manifestazioni si svolgevano tradizionalmente il 1° maggio e i giorni successivi. Ci furono numerosi scontri tra poliziotti e dimostranti e uno sconosciuto lanciò una bomba sulle forze dell'ordine, provocando otto morti.
Otto noti anarco-sindacalisti furono allora incolpati surrettiziamente dell'attentato e sette di loro furono condannati a morte.
Nonostante numerosi moti di protesta in tutto il mondo, quattro degli accusati furono impiccati l'11 novembre 1887, diventando così martiri della causa dei lavoratori. Quell'episodio cambiò, negli anni successivi, il significato del 1° maggio, che divenne un simbolo della lotta dei proletari. Quell'origine resta oggi parzialmente occultata dalla attuale definizione di “festa del lavoro”.
L'IWW fu costituita in quel clima di lotta, il 27 giugno 1905, quando anarchici, socialisti e sindacalisti trovarono l'unità intorno a interessi comuni. L'IWW fu ben presto riconosciuto per la sua adesione a un ideale anarco-sindacalista e lottò attivamente sulla scena pubblica.
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Un logo degli IWW (Industrial Workers of the World) |
Apologia
del sabotaggio
Il primo esempio verificabile del simbolo del gatto viene da una poesia di Ralph Chaplin intitolata “The Harvest Song”, pubblicata nel 1913 sul periodico anarco-sindacalista dell'IWW Solidarity, dove è utilizzato per rappresentare l'azione diretta, lo sciopero e il sabotaggio, che sono i principali strumenti di lotta degli operai sul posto di lavoro (con il boicottaggio e l'occupazione).
La parola sabotaggio, in effetti, è un termine gergale, colorito ed espressivo, che si riferisce al lavoro eseguito “comme à coups de sabots” (a colpi di zoccolo), raffazzonato alla meglio. Fa allusione all'aforisma: “A cattiva paga, cattivo lavoro”.
Nel 1897 la Confédération Générale du Travail (CGT), in un congresso a Tolosa, lo introdusse ufficialmente tra i metodi di lotta degli operai.
I sistemi di sabotaggio sono variabili all'infinito, ma non devono avere ripercussioni dirette e spiacevoli sulla clientela, sui consumatori. Sono metodi di lotta diretti esclusivamente contro lo sfruttamento padronale.
L'ultimo verso della poesia di Ralph Chaplin. che deplora l'ingiustizia della situazione del lavoratore e fa l'apologia del sabotaggio, propone di scatenare il sab cat, se i lavoratori non avranno ciò che è loro dovuto.
Some day we'll take the good things of the earth
That the parasites hoard and sell;
We'll keep our products for ourselves,
And bosses can go to hell.
The earth is on the button that we Wobblies (1) wear;
We'll turn the sab cat loose or get our share!
[Un giorno ci prenderemo le buone cose della terra
Che i parassiti accumulano e vendono;
Ci terremo per noi ciò che produciamo
E i capi se ne vadano all'inferno.
La terra è sul bottone che portiamo noi del sindacato
Noi scateneremo il gatto del sabotaggio se non avremo quel che ci spetta!]
I canti e le poesie con forte significato simbolico erano all'epoca un mezzo usatissimo. Nel caso dei movimenti operai, lo scopo era di fare prendere coscienza alle masse e la propaganda orale riusciva a toccare un vasto pubblico. Quello che si chiamava Free Speech Fight è un buon esempio della lotta condotta dai sindacalisti all'epoca.
Quella sorta di comizi fatti di discorsi e di canzoni fu vietata ai sindacalisti sulla pubblica piazza, mentre era sempre autorizzata in diverse funzioni religiose. I membri dell'IWW continuavano, però, a improvvisare palchi e fare i loro comizi. Arrivavano i poliziotti e portavano il sindacalista in prigione, ma un altro era pronto a prendere il suo posto finché non era anch'egli arrestato, e così di seguito fino a riempire completamente le celle.
L'immagine del gatto è stata così utilizzata come simbolo del sabotaggio, in quella situazione di conflitto aperto, con l'idea di spaventare il padronato grazie alla semplice presenza di quell'immagine. L'idea del sabotaggio è paragonabile al fatto di portare un gatto nero al padrone per portagli iella.
Nel gatto è anche possibile vedere un simbolo d'indipendenza, o il fatto che si aggira di notte, per esempio sulle immagini in cui lo si vede su una barriera dietro alla quale dormono i borghesi sotto la luna piena.
Il gatto è stato utilizzato in diverse immagini dai sindacalisti dell'IWW (dove è stato addirittura travestito da sfinge) e compare all'inizio con i tratti di un soriano. Prende rapidamente la forma più stilizzata del gatto nero disegnato da Ralph Chaplin nel 1915. Poi, più di recente, viene rimodellato da Alexis Buss, che gli conferisce un aspetto più selvaggio.
In seguito è stato ampiamente usato in occasione di lotte sindacali, soprattutto negli Stati Uniti, presentato talora con un'aria ancora più aggressiva.
Va notato che il famoso cabaret “Le Chat Noir” situato dal 1881 ai piedi della collina di Montmartre, non deve il suo nome alla simbologia anarchica, ma, secondo la leggenda, al gatto nero che avrebbe tagliato la strada al suo fondatore, Rodolphe Salis, durante la costruzione del locale.
Invece il pittore disegnatore del suo manifesto più noto (per la tournée del 1896) è Theophile Alexandre Steinlen, un anarchico nato a Losanna, che ha illustrato numerosi testi e canti impegnati, soprattutto in collaborazione con Georges Cochon. (...).
traduzione dal francese di Guido Lagomarsino, dal bollettino n. 30 del CIRA di Ginevra