rivista anarchica
anno 37 n. 323
febbraio 2007


politica

Per una politica di libertà
di Andrea Papi

 

I governi che si succedono hanno tutti lo stesso identico compito: conservare lo stato di cose presente.

 

Ho il sospetto e il timore che nella fruizione comune dell’imbonimento mediatico, in Italia nella fase attuale, la politica sia sostanzialmente sentita e percepita all’incirca come qualcosa di strano, corrispondente più o meno all’arte di saper condurre vittoriosamente la concorrenza tra i due poli, del centrosinistra, ora al governo, e del centrodestra, ora all’opposizione. Se ciò è vero, come suppongo, vien spontaneo da esclamare: «Che ben misera cosa!». In realtà più che misera è cosa veramente squallida. Per chi come me, e siamo molti di più di quello che si possa sospettare, l’interesse della politica è a tratti diventato una ragione di vita, è ben più che triste constatare come si possa fare un tale strazio di ciò che dovrebbe essere alle fondamenta della convivenza sociale tra gli esseri umani.
Parafrasando il titolo di un filmetto della commedia all’italiana degl’anni sessanta, “come siam caduti in basso!”. La politica è sempre più un desolante e malinconico spettacolo dei media che, con sincopati ritmi quotidiani, ci propinano l’antiestetismo delle star di turno della classe dirigente politica. Da una parte il pacioso faccione di Prodi che, dall’alto del suo scranno, ci somministra dosi quasi letali di moralistico buonismo, teso a farci ingoiare pillole amare, mai promesse in campagna elettorale, avvisandoci che lo fa per il nostro bene. I potenti hanno sempre strapazzato il popolo per il bene del popolo. Assieme a lui, altre comparse da novanta. La faccia stilizzata e tagliente di D’Alema, impegnato a moralizzare la politica estera nel gioco al massacro per la gestione globale e globalizzata del mondo, sempre più ridotto a un colabrodo ecologico e a un ammasso di ingiustizie e disuguaglianze endemiche. E poi i vari Fassino, Di Pietro, Rutelli e gli altri dello schierame della coalizione di maggioranza al governo, tutti impegnati a dire e disdire le scelte che fanno.

Coalizionismo bipolare all’italiana

Dall’altra parte i sedicenti partigiani del fantomatico partito della sedicente libertà. Alla testa il telegenico “cavalier berlusca”, tutto abilmente proteso a rassicurarci senza sosta contro l’assalto di inesistenti orde comuniste. Ciò che non gli si può proprio perdonare è lo scempio che fa continuamente del senso e del significato dell’amata libertà. Com’è possibile proporsi come suo principale campione e allo stesso tempo trovarsi sempre in sintonia con chi per elezione la dileggia e la nega? Com’è possibile organizzare manifestazioni oceaniche che marciano contro il “regime”, a suo dire “para-comunista”, e permettere che tra i manifestanti ci sia una bella nutrita mostra di orribili svastiche, croci celtiche e saluti romani? Com’è possibile inneggiare con vanto ai principi della libertà e trovarsi sempre dalla parte di chi storicamente e sistematicamente l’ha sempre negata, come la chiesa e i fascisti? Il fatto è che la loro conclamata libertà corrisponde solo al desiderio di fare “i cazzi propri”, per arricchirsi spudoratamente sulla pelle di chiunque è sfruttabile e pretendere di farlo senza ingerenze di sorta, senza controlli e senza freni. Per chi ci rimette son fatti suoi!
Nel mezzo, in modo sempre più spudoratamente evidente, tenta di trovare uno spazio “centrista” il Casini, arrancando alla ricerca di “nuove”, si fa per dire, alleanze, nel tentativo, al momento mascherato, di ricomporre e ributtare sul campo il vecchio pachiderma democristiano fatto a pezzi a suo tempo da tangentopoli, ovviamente con un aspetto ringiovanito da un buon numero di lifting. Quale sarà l’esito di questo arrancare “neo-dem” al momento non è dato saperlo, dal momento che non è affatto scontato un futuro successo. Sta di fatto che il Casini, furbescamente, sta tentando di occupare uno spazio potenziale lasciato vuoto dall’irrompere sulla scena del coalizionismo bipolare all’italiana, che sia di qua che di là è stato solo capace di assemblare ammassi di superstiti, di nostalgici di vario tipo e di vecchi rampanti in attesa di occasioni succulente. Nonostante le reiterate e noiose dichiarazioni di “nuovismo”, di nuovo finora s’è visto ben poco, se non nulla.
Purtroppo dietro il sipario mediatico ci stanno le cose vere, quelle scelte che ci giungono edulcorate dalla loro propaganda, che ci piombano addosso e ci investono della fatica di dover vivere gestiti da lor signori. Ultima in ordine di tempo la finanziaria appena approvata, cambiata più volte in itinere in diversi emendamenti per dissapori interni alla maggioranza e per il gioco di numero di votanti in parlamento. Una finanziaria pesante, soprattutto per i tanti “normali” che nulla possono e nulla continuano a contare nel trastullo decisionale di chi ha in mano le sorti di ognuno di noi. Un reiterato massacro arraffasoldi da chi ha meno per continuare ad avere chi già ha.
Lo Stato ne esce avvantaggiato perché è riuscito a rendersi un po’ più presentabile a Bruxelles, diminuendo la spesa pubblica per favorire le privatizzazioni, soprattutto in sottrazione con decisi tagli e non in qualità. Oltre il già acquisito tetto del 2% nel rinnovo dei contratti nel pubblico impiego, il ridimensionamento dell’amministrazione pubblica nel suo complesso, la riduzione della spesa sanitaria e dei trasferimenti alle amministrazioni locali, i tagli sulla previdenza. Reperite inoltre risorse con la rimodulazione dell’IRPEF, con l’aumento dei contributi previdenziali e dell’imposta sul risparmio, col collocamento in un fondo del Tesoro del 100% del TFR lasciato dai lavoratori nelle aziende oltre i 50 dipendenti e del TFR mai versato ai lavoratori pubblici. Tutto a danno di salariati e stipendiati per finanziare debito, opere pubbliche e missioni militari all’estero.
Una volta assicurati utili consistenti alle casse dello Stato, in nome della ripresa economica sono stati garantiti utili anche al capitale industriale e finanziario, sempre disponibile ad essere finanziato con denaro pubblico. Con la tanto pubblicizzata riduzione del cuneo fiscale le imprese non pagano più alcune imposte ed alcuni contributi, inoltre trattengono il TFR dei dipendenti e riceveranno compensazioni per il TFR trasferito al Tesoro ed i fondi di categoria, infine gli utili derivanti al capitale finanziario dagli investimenti fatti dai fondi pensione sempre col TFR dei lavoratori
Infine elusa la promessa attenzione al lavoro dipendente, cui era stato assicurato sostegno al potere d’acquisto e remunerazioni leggermente più consistenti. La rimodulazione dell’IRPEF, spacciata con demagogia come inesistente guadagno fiscale per i lavoratori, assieme all’aumento dei contributi previdenziali, all’aumento delle imposte comunali, all’aumento dell’imposta sul risparmio e ai ticket sanitari, rappresentano di fatto un pericoloso impoverimento delle condizioni materiali di vita dei più deboli, costretti ad un sicuro indebitamento sempre più diffuso e crescente. Si aggiunga lo sbandierato sostegno alle famiglie, che altro non è che mero adeguamento all’aumento dei prezzi per i servizi sociali, e l’abbassamento di qualità della scuola pubblica per i previsti tagli al personale e l’innalzamento del numero di alunni per classe.

Ricette somiglianti

Detto con la voce del quarto stato, che assieme al terzo stato, ora al potere, abbatté la monarchia in Francia nel 1789, “nulla di nuovo sotto il sole”. Qualunque sia il governo al potere, di destra di sinistra di centro, le ricette si assomigliano tutte ed hanno tutte il marchio, sembra ineludibile, di succhiare più che si può a chi ha poco o non ha affatto per mantenere lo stato di ineguaglianza e di endemica ingiustizia che sorregge questo sistema. Perché il punto è proprio questo. I governi che si succedono, secondo il conteggio dei voti in seguito ad ogni nuova elezione politica, hanno tutti lo stesso identico compito e tentano di portarlo a termine. E il loro compito non è altro che quello di far funzionare e rendere efficiente la macchina statale che c’è, la quale conserva lo stato di cose presente. I governi non servono per mettere in discussione il senso e la funzione dello stato politico, ma per riuscire a farlo funzionare al meglio.
È proprio qui che entra in gioco la politica. La sua funzione fondamentale, infatti, non dovrebbe essere quella di occuparsi esclusivamente di come amministrare ciò che c’è all’interno di e solo con le regole date. Questo riguarda l’ambito dell’amministrare, che è compito secondo, non nel senso dell’importanza, dacché tutto ciò che riguarda la gestione delle cose della società riveste rilevanza. È secondo in quanto si amministra, o lo si dovrebbe, solo dopo che si è definito con consapevolezza e cura che cosa e come. Se ci si dedica alla funzione amministratrice senza aver prima chiarito il senso e gli scopi del contesto in cui si va ad agire, che lo si voglia o no, si svolge una pura opera di conservazione e di messa in efficienza dell’esistente. Ma lo scopo specifico e precipuo della politica dovrebbe proprio essere, appunto, quello di scandagliare bene l’esistente, di comprenderlo e metterlo in discussione, se necessario in crisi, per identificare qualità, tipo e metodi che diano poi spessore al senso di ciò che si andrà a fare. Prima si decide come dev’essere l’assetto politico e metodologico del contesto politico, poi acquista senso l’amministrarlo.
Nella politica attuale viene invece dato per scontato che il sistema vigente vada bene così com’è, nella struttura e nel senso. A priori i governi non debbono far altro che farlo funzionare. Ne discende che le differenze, tra centrosinistra e centrodestra ora, democristiani e comunisti ieri, risiedono nelle diverse soluzioni tecniche che propongono e in cui possono distinguersi. Soluzioni che devono rendere efficiente il sistema, perché l’unico scopo politico ammesso è la sua funzionalità. La politica è perciò ridotta a mera capacità amministrativa e sembra aver rinunciato al suo fine originario di pensare, progettare e sperimentare tipi di società e metodologie diversificate, che si rifanno a escatologie sociali e politiche differenti e contrapposte.
Eppure i problemi continuano ad essere irrisolti; sono rimasti i medesimi nella sostanza perché corrispondono a legittime aspirazioni, vilipese e umiliate nei secoli, di noi esseri umani.

  1. Una sostanziale equità distributiva della ricchezza complessiva, in modo che non si verifichi che alcuni sono protetti nel possedere molto più del necessario mentre moltissimi sono schiavizzati dalle poche disponibilità, o addirittura dall’indigenza.
  2. Concrete equivalenti opportunità per tutti, avvalorando ognuno per la sua intrinseca dignità umana di appartenenza alla specie.
  3. Libertà reale e consistente di movimento, di possibilità, di espressione e di manifestazione per ogni individuo, nel rispetto reciproco e in situazioni di pari dignità.
  4. Partecipazione, effettiva e non fittizia, ai momenti di decisione per ciò che concerne i comuni bisogni della collettività di cui si è parte, in modo da raggiungere un fattivo riconoscimento di dignità per tutti.

Contro ogni disuguaglianza

La politica dovrebbe avere il compito di identificare i modi e le tipologie applicative per rendere possibili ed effettuali questi auspicabili presupposti. La prima considerazione allora è che la difesa e la conservazione del sistema vigente rendano vano ogni tentativo in tal senso, proprio perché è stato pensato ed è sorto per realizzare il contrario. La sua ragion d’essere risiede, infatti, nella garanzia dell’arricchimento individuale, sancito dall’avvallo giuridico della proprietà personale, ottenibile con lo sfruttamento del lavoro di altri esseri umani: i guadagni vanno alla proprietà e le ricompense per il lavoro prestato sono distribuite con disuguaglianze inaccettabili, che vanno dalle paghe da fame agli stipendi da nababbo dei megadirigenti. La disuguaglianza sociale, calibrata in capacità di consumo altamente differenziate e in possibilità o meno di speculazione finanziaria, è l’effetto esistenziale dirompente che se ne ricava. A questa si accompagna una strutturale diversità delle capacità di decisione, definita attraverso gerarchie: per costituzione e per ordinamento c’è chi ha il potere di decidere per tutti e chi invece lo subisce.
Gli anarchici lo sanno e da sempre ne hanno conferma nel manifestarsi delle cose politiche. Finché ci si limiterà ad agire per ottenere di governare questo sistema, al di là di qualsiasi buona fede, ogni politica espressa non potrà che essere all’insegna della conservazione delle ingiustizie, delle incongruenze e delle discordanze congenite nel sistema stesso. Per andare incontro alle legittime esigenze sopraddette, bisognerebbe invece agire per riappropriarsi collettivamente della ricchezza complessiva, per gestirla concordemente insieme, al di là e contro ogni opzione e forma di disuguaglianza, nel pieno riconoscimento della libertà di tutti e della reciprocità nelle relazioni sociali.

Andrea Papi