rivista anarchica
anno 37 n. 328
estate 2007


ai lettori

La nostra cAsa

 

Questo numero di “A” copre, come di consueto, tutta l’estate. Il prossimo (“A” 329, ottobre 2007) uscirà verso la fine di settembre. Con le sue 116 pagine (come l’estate scorsa) questo è il più “pesante” nella nostra storia, lunga ormai 36 anni e mezzo e (appunto) trecentoeventotto numeri.

Mura. “A” è nata nel Circolo anarchico “Ponte della Ghisolfa”, allora in piazzale Lugano 31, nel periferico quartiere della Bovisa, a Milano. L’anno successivo, però, la redazione della rivista si trasferì nell’appartamentino nel quartiere Turro, nord-est della stessa città, dove si trova tuttora. La storia di questo appartamento è significativa.
Apparteneva ad una famiglia di anarchici pugliesi, i Monterisi, e all’inizio degli anni ’60 fu donato a Giovanna Caleffi Berneri, militante anarchica (vedova di Camillo Berneri), confluendo idealmente nel patrimonio della Colonia “Maria Luisa Berneri”, intestata a una delle due figlie (purtroppo morta prematuramente) di Giovanna e Camillo.
Questa Colonia era costituita da una villetta con annesso appezzamento di verde, immersa nella pineta della località Poveromo, nel comune di Marina di Massa. Negli anni Cinquanta e Sessanta per molte estati questa villetta fu usata per accogliere, a turno, numerosi figli di compagni, molti dei quali membri di famiglie che altrimenti non sarebbero state in grado di assicurare ai pargoli delle settimane di vita associata tra pineta e spiaggia.
Dopo numerosi anni di mancata utilizzazione, questa villetta fu venduta intorno alla metà degli anni Settanta e con gran parte del ricavato fu realizzata la ripubblicazione dei 3 volumi degli scritti 1919-1932 di Errico Malatesta.
L’appartamento milanese non venne utilizzato per anni, finché – venuti a conoscenza della sua esistenza – noi giovani militanti chiedemmo ai “vecchi” compagni la possibilità di utilizzarlo, appunto, per la redazione di “A”. Alla risposta positiva ci trasferimmo qui e qui siamo rimasti negli ultimi 35 anni. La complessa situazione frazionata della proprietà, il disinteresse gestionale e poi la morte di alcuni dei comproprietari avevano poi creato una situazione assurda da un punto di vista proprietario. Da quello gestionale, no, perché ci siamo sempre occupati noi di tutto.
Anni fa abbiamo iniziato le lunghe, complesse (e costose) pratiche per risolvere al meglio quell’intrico proprietario. Per farla breve, tutti i singoli proprietari di porzioni dell’appartamento hanno donato alla nostra cooperativa Editrice A la loro quota e ora finalmente l’appartamento è di nostra proprietà, di proprietà – cioè – di un’”istituzione anarchica” come era nelle intenzioni della famiglia che originariamente lo donò, tramite Giovanna, al movimento.
È una piccola storia, che volevamo raccontare ai nostri lettori, in particolare a quanti in vario modo ci sostengono e hanno a cuore la sopravvivenza di “A”.
Vogliamo dire grazie – un grazie di cuore – ad Alfredo Mazzucchelli, di Carrara, figlio di Ugo, esponente di punta dell’anarchismo carrarese per lunghi decenni, dalla lotta clandestina contro il fascismo alla ricostruzione della Città del Marmo dopo la guerra. Grazie a Lilla Vatteroni, di Avenza (Carrara), figlia di Stefano, altra bella figura di antifascista anarchico, condannato per la sua partecipazione all’attentato di Gino Lucetti (altro avenzino) contro il Duce (e Lilla è nata a Tursi, nel confino lucano dove il padre era rinchiuso). Grazie a Fiamma Chessa e a Mazzina Antonelli, rispettivamente figlia e moglie del compianto Aurelio Chessa, vivace e burbero militante anarchico che per tanti anni è stato editore e curatore di quell’archivio Famiglia Berneri che oggi, trasferito a Reggio Emilia e con il nome di Aurelio aggiunto a quello originario, è gestito dalla figlia Fiamma. E infine un grazie alle (lontane) parenti dell’a noi carissimo Pio Turroni, muratore, militante ed editore, morto 25 anni fa senza moglie né figli: queste signore, da noi rintracciate, nel ricordo sfuocato del lontano zio anarchico hanno acconsentito anche loro a donare la loro quota di proprietà immobiliare.
Non compare nei “fondi neri” né fa affluire soldi nelle casse di “A” (anzi, la complessa pratica ci è costata non poco). Ma la proprietà dell’appartamento dove quotidianamente lavoriamo da 7 lustri è un elemento di sicurezza psicologica e finanziaria.
Un’altra piccola storia a lieto fine.