rivista anarchica
anno 37 n. 328
estate 2007


clericalismo

Contraddittori all’unanimità
di Carlo Oliva

 

Considerazioni controcorrente in merito alla trasmissione tv di Santoro su Chiesa e pedofilia. Con un occhio particolare per monsignor Fisichella.

 

Deve essere proprio un duro quel monsignor Fisichella che giovedì 31 maggio si è presentato in televisione per rappresentare, sia pure ufficiosamente, il punto di vista della chiesa sulla spinosa questione dei preti pedofili. Sempre impassibile, serio ma sorridente, cortese con tutti, anche con i due incapaci che gli avevano affiancato come ospiti in studio, ha tenuto botta per due ore al perfido Santoro e non si è lasciato smontare dall’ormai celebre documentario che la BBC ha dedicato all’argomento e che gli italiani, in quella occasione, hanno potuto finalmente vedere in onda. Debitamente sollecito verso le vittime, fermissimo nella condanna di quanto andava condannato, altrettanto fermo nel rifiuto di indebite estensioni di colpa, si è mosso con perizia sulla linea sottile che divide le responsabilità dei singoli da quelle della istituzione di cui fanno parte. E visto che non si può negare che una cosa è la Chiesa nel suo complesso e un’altra sono pochi preti sporcaccioni, turpi individui indegni persino del nome di sacerdote e destinati, comunque, a venire prontamente rimossi dai ranghi del clero, veniva quasi voglia di dargli ragione.

Una specie di segreto istruttorio

In realtà, a pensarci dopo, si capiva che il suo compito era meno difficile di quanto si sarebbe potuto supporre a prima vista. Quel video, con tutto il clamore che ha suscitato, non rivelava un granché. Che nella Chiesa allignassero delle pecore nere di quel tipo, e in misura parecchio più ampia di quella documentata dalla BBC, lo si sapeva già: è un fatto, anzi, largamente noto e documentato. Per quanto riguardava le autorità ecclesiastiche, poi, l’unica accusa che, in sostanza, gli veniva rivolta era quella di aver tentato, con l’avallo di un paio di documenti del Santo Uffizio, di impedire che lo scandalo dilagasse al di fuori dei propri confini, secondo il principio, deplorevole in sé e condannato dal Vangelo, ma certo piuttosto diffuso, per cui i panni sporchi si lavano in famiglia. Nessuno in realtà, né Colm O’Gorman, l’autore dell’inchiesta, né Michele Santoro, né altri si è sognato di coinvolgere in altre accuse la gerarchia, a qualsiasi livello, per cui il bravo vescovo ha potuto cavarsela davvero con poco. Gli è bastato ritorcere sugli autori del video l’accusa di aver presentato una denuncia senza ammettere alcun contraddittorio e sostenere che la riservatezza invocata dai vertici vaticani era finalizzata soltanto a garantire una serena ricerca della verità, un po’ come una specie di segreto istruttorio sulla cui esistenza non era il caso di fare tanto tran tran. Entrambi gli argomenti erano un po’ deboli, perché è difficile mettere in contraddittorio un argomento sul quale non c’è, in sostanza, nulla da contraddire e i testi del Santo Uffizio, con le loro ripetute minacce di scomunica per chiunque si lasciasse sfuggire una sola parola, vittime comprese, suonavano un poco più perentori di quanto non richieda qualsiasi legittima esigenza processuale, ma erano più che sufficienti per rispondere alle tesi della controparte. Per cui tutti, salvo i due incapaci di cui sopra, hanno fatto la loro figura, tutti hanno detto quello che volevano dire e si sono lasciati, se non proprio a suon di pacche sulle spalle, con reciproche attestazioni di stima. Un vero trionfo del dialogo, della laicità e dello spirito di tolleranza.
Perché allora, potrebbe chiedersi il cittadino perplesso, la trasmissione è stata preceduta (e seguita) da tutto quell’immane casino? Perché una tal massa di ecclesiastici, deputati, amministratori RAI, giornalisti di grido, leader politici e ministri in carica si è agitata per un certo numero di settimane alla sola idea che quel video, raccapricciante, ma sostanzialmente innocuo, potesse giungere sui nostri schermi? Perché si è voluto parlare a tutti i costi di infame sciacallaggio, di indegni attacchi al pontefice, di manifesta ostilità per la chiesa e chi più ne aveva più ne metteva, come se la televisione pubblica si stesse approntando a mandare in onda un attacco al clero di dimensioni e violenza tali da suscitare perplessità persino nel fantasma di Voltaire? E perché – soprattutto – la trasmissione, una volta andata in onda, ha avuto il successo di audience che ha avuto, nonostante l’impostazione, vagamente soporifica, che la ha caratterizzata?

Cattolicesimo e sessualità

Be’, è facile. Perché l’argomento aveva delle implicazioni che, oggettivamente, scottavano e tutti, sul fronte ecclesiastico clericale, ne avevano paura. Perché quando si comincia a parlare di queste cose, non si sa mai dove si andrà a finire. Perché il problema vero, quello che nessuno ha avuto il coraggio di affrontare, consiste nel fatto che la presenza di poche (o molte) deviazioni del genere nei ranghi della Chiesa non può essere considerata un fatto occasionale, deve ben avere qualche rapporto con il modo con cui il cattolicesimo ha affrontato, per secoli, la sfera della sessualità. Perché, insomma, in una organizzazione esclusivamente maschile, malata da sempre di sessuofobia, misoginia e omofobia ci sarebbe proprio da stupirsi se certi fenomeni fossero puramente casuali. E quell’argomento tabù stava lì, come un macigno, tra Santoro, monsignor Fisichella e tutti coloro che, a destra come a sinistra, avrebbero preferito che la RAI limitasse il suo interesse per le cose ecclesiastiche al problema del quarto mistero di Fatima.
Tutto ciò non significa, è ovvio, che si debba automaticamente accusare di pederotismo e perversione vescovi, parroci e chierici in massa, come ai bei tempi dell’anticlericalismo volgare. Significa soltanto che sarebbe ora di affrontare, in tutte le sue implicazioni, anche le più sgradevoli, il tema della cultura sessuale distorta e punitiva che la Chiesa ha imposto e impone ai fedeli (e, quando può, agli altri), dei danni che ha provocato a livello di psicologia sociale e individuale, della massa di infelicità, di repressione e di rimozione che da sempre ha prodotto. Sono tematiche, siatene pur certi, di cui non sentiremo parlare né dalla RAI né dalla BBC, ma senza affrontare questo problema spinoso qualsiasi contraddittorio sul tema non potrà che risolversi, nonostante ogni apparenza in contrario, in una desolante unanimità.

Carlo Oliva