rivista anarchica
anno 37 n. 330
novembre 2007


ambiente

L’Abruzzo invaso dalle biomasse
di Edoardo Puglielli

 

A proposito di termovalorizzatori. Una denuncia dalla regione capofila in Italia (e in Europa).

 

Le centrali all’Aquila e in Marsica

Allo stato attuale si parla di 6 progetti da approvare e finanziare per la realizzazione di 3 centrali a biomassa e di 3 termovalorizzatori: un termovalorizzatore all’Aquila e il rimanente in Marsica. Complessivamente saranno più di 130 i MegaWatt termici di potenza prodotta e 450.000 le tonnellate di biomassa bruciate ogni anno, per uno sfruttamento di più di 20.000 ettari di territorio. Oltre a fanghi organici, scarti agroindustriali, biodiesel e rifiuti solidi urbani si stima che bruceranno ogni anno circa 300.000 tonnellate di biomassa legnose, da recuperare in 15.000 ettari di terreno.

  • A Trasacco dovrebbero arrivare 1.800.000 euro per una centrale a ciclo anaerobico da 0,6 MegaWatt di potenza, alimentata con 15.000 tonnellate di scarti agricoli e fanghi organici, per uno sfruttamento di 750 ettari di terreno.
  • Per una simile centrale a ciclo anaerobico ad Ortucchio (1/3 di MegaWatt di potenza) sarebbero destinati 3.600.000 euro. Bruceranno 80.000 tonnellate di scarti agricoli e fanghi organici sparsi su 200 ettari. Un totale di 4.000 ettari di terreno sfruttato. Si parla di produzione di compost e di teleriscaldamento per serre (1).
  • A Collarmele è prevista una centrale da 35 MegaWatt di potenza per la produzione di biodisel (75.000 tonnellate l’anno). Bruceranno 130.000 tonnellate di resti di biodisel e 80.000 tonnellate di resti legnosi per uno sfruttamento di 4.000 ettari di terreno.
  • Un termovalorizzatore è previsto ad Avezzano, gestito dal gruppo Sadam, finanziato dal gruppo Falk, alimentato con 144.000 tonnellate annue di biomassa forestale e colture legnose. L’equivalente di 7.200 ettari di terreno sfruttato. Produrrà energia (34 MegaWatt elettrici di potenza) e vapore (28 MegaWatt termici di potenza).
  • A Luco dei Marsi la Micron realizzerà un termovalorizzatore da 50 MegaWatt di potenza. Prevede il recupero di 920 metri cubi a ora di acque di scarico dal nucleo industriale, 50.000 tonnellate di scarti agroindustriali e 270.000 tonnellate di rifiuti speciali da cui ottenere produzione di biogas, idrogeno, energia elettrica e calore. 4.000 saranno gli ettari di terreno sfruttato.
  • Un termovalorizzatore all’Aquila. Produrrà energia (5 MegaWatt elettrici di potenza) e vapore (7 MegaWatt termici di potenza). Bruceranno 56.000 tonnellate annue di coltura biomassa forestale, agricola e resti legnosi. 2.800 saranno gli ettari di terreno da sfruttare. Anche in questo caso si prevede un utilizzo per teleriscaldamento.

Come avremmo modo di leggere, la sola idea per cui la produzione di energia attraverso biomassa possa essere sinonimo di “energia pulita”, rinnovabilità e sostenibilità è già di per sé discutibile.


E non solo. Come già si è potuto constatare in situazioni analoghe, dietro l’angolo si nasconde ancora una volta l’ombra del mercato e dello smaltimento di rifiuti, legalizzato e non. In una regione che ha già avuto “l’onore” di ospitare a Bussi (PE) la discarica di rifiuti tossici più grandi d’Europa, attiva (il)legalmente da circa 100 anni (2); un’identica vicenda di ecomafia Scurcola Marsicana (3); cave che spuntano a destra e a manca nel territorio marsicano, senza alcuna programmazione d’insieme (nonostante già una legge del lontano 1983 imponesse un piano cave per l’Abruzzo): le aree protette e di interesse artistico vengono sacrificate, mentre gli amministratori si permettono di dire alla popolazione (opportunamente disinformata) che le cave saranno “invisibili”.
L’interesse economico (peraltro discutibile, visto che deturpare le nostre zone significherebbe anche compromettere seriamente il turismo) prevale, come sempre, su tutto il resto, mentre nessuno sembra in grado di opporsi alle decisioni dei nostri politicanti (4).

La diffusa convinzione che un’energia pulita e abbondante sarebbe la panacea di tutti i mali sociali è dovuta
ad un inganno politico, secondo cui l’equità e il consumo di energia possono stare in correlazione all’infinito.

(Ivan Illich, Energia ed equità)

Preparare il terreno

Procediamo per gradi, riepilogando sinteticamente i passaggi attraverso i quali l’Abruzzo è diventata in men che non si dica l’unica regione in Italia dotata di un programma triennale di “filiera delle biomasse”.

  1. Sulla Gazzetta Ufficiale del 16 gennaio 2007 il Ministero dell’Ambiente pubblica un bando in base al quale piccole, grandi e medie imprese possono ricevere contributi per l’acquisto di impianti finalizzati alla produzione di energia da fonti rinnovabili (5).
  2. Il 31 maggio si riuniscono a Pescara il ministro per lo Sviluppo economico Pierluigi Bersani, il presidente della Regione Ottaviano Del Turco, i presidenti delle Province, i sindaci di Pescara, L’Aquila, Teramo, Chieti e quelli dei Comuni maggiori d’Abruzzo per una conferenza su pianificazione energetica, fonti di energia rinnovabili ed efficienza energetica. L’assessore regionale all’Ambiente Franco Caramanico spiega in tale occasione come “grande attenzione viene rivolta allo sfruttamento delle biomasse”.
  3. Qualche settimana prima la regione Abruzzo, in collaborazione con il ministero dell’Ambiente, era già diventata l’unica in Italia dotata di un programma triennale di “filiera delle biomasse”. Un piano regionale che prevede il 51% per cento di energia prodotta da fonti rinnovabili, di cui, le biomasse, “rappresentano una grande opportunità”. La dichiarazione è ancora dell’assessore all’Ambiente Caramanico, che parla anche sui rischi reali di inquinamento ambientale e di approvvigionamento energetico.
  4. La città di Pescara ospita nel giorni 5 e 6 luglio il meeting internazionale per la promozione del bio-diesel, un iniziativa inserita nell’ambito del progetto comunitario PROBIO per la promozione delle fonti di energia rinnovabile. Partecipano ai lavori i referenti dell’Agenzia per l’energia di Burgos (Spagna), dell’Agenzia Provinciale per l’Energia di Avila (Spagna), dell’Amministrazione provinciale di Huelva (Spagna), dell’Ente per lo sviluppo locale di Burgos (Spagna), dell’Agenzia per lo sviluppo locale della Slovenia, dell’Università di Maribor (Slovenia), e dell’Università degli Studi di Teramo. Interviene anche il “Panel Control” della Regione Abruzzo, gruppo di lavoro formato oltre che dalla Regione Abruzzo, dal Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Università di Teramo, da Confagricoltura Abruzzo, dal Comune di Pizzoferrato, dalla Comunità Montana Medio, dalla FOX Petroli e dalle agenzie ARSSA e ALESA, con il compito di definire priorità ed obiettivi per l’ottimale svolgimento dell’attività di progetto. L’incontro si chiude con la firma di un accordo per l’installazione sperimentale di cinque nuovi distributori di biodiesel nelle quattro province abruzzesi, attraverso cui promuovere l’utilizzo di questo tipo di carburante che “ha il vantaggio di ridurre le emissioni degli agenti inquinanti in atmosfera”.
  5. Anche i Verdi contribuiscono, impegnando la Giunta a finanziare l’ARAEN (Agenzia Regionale per l’Energia) e prevedere risorse economiche per la ricomposizione del Fondo Regionale per lo Sviluppo e la Diffusione delle Fonti Rinnovabili di Energia e per la riduzione dei consumi (6). Anche per i Verdi dunque, il futuro della produzione energetica è “nel solare, nelle biomasse, nella dissociazione molecolare dei rifiuti sia a freddo che termico”.

Comincia ad essere chiaro un po’ a tutti che, sotto una sorta di bandiera ecologista, saranno davvero tanti i soldi che circoleranno e che, inoltre, i guadagni, come cercheremo di spiegare, anziché provenire dall’effettivo processo di produzione e vendita di energia saranno invece squisitamente interni ai componenti della filiera stessa: da chi commercia biomassa a chi ne gestisce il trasporto, da chi potrà finalmente bruciare rifiuti guadagnandoci a quel privato che, realizzando la centrale, riceverà ingenti sovvenzioni. La poca energia che si riuscirà a produrre rimarrà semplicemente una scusa per mantenere nell’ombra questi meccanismi. E tutto ciò nel nome di una produzione energetica – come vogliono farci credere – “pulita”, ad impatto ambientale pari a zero.
Nessuno spiega se tutto ciò comporterà conseguenze sulla nostra salute, aumento di inquinamento, incremento occupazionale, impatto sull’ambiente, incremento di traffico pesante sulle strade, ripercussioni sulla qualità delle produzioni agricole, il rischio che vengano bruciati rifiuti ed altro ancora.
Per avere le idee più chiare, di seguito verranno sinteticamente affrontati argomenti riguardo l’effettiva produzione di energia tramite biomassa, i suoi effettivi costi e vantaggi, l’inquinamento, il disastro e lo sfruttamento ambientale e umano che può produrre, l’effettiva “rinnovabilità” della biomassa stessa. L’ennesima contraddizione tra capitale e natura.

Produzione di energia

A livello mondiale le biomasse possono fornire al massimo un 15%-20% dell’attuale fabbisogno di energia. Si possono usare diversi tipi di biomassa vegetale, che possiamo dividere in foreste, erbe e canne. L’uso delle foreste è preferibile, in quanto rappresentano la risorsa di biomassa più abbondante e concentrata, mentre la canna è dispersa e il solo raccoglierla e convogliarla ai siti di utilizzo brucerebbe un’energia comparabile e, in molti casi, superiore a quella ottenuta.
Ma anche nel caso dell’uso di biomassa forestale il guadagno netto di energia non è così alto come si può pensare. Per esempio, una media di 3 tonnellate di biomassa in legno si può raccogliere all’ettaro e all’anno. Ciò fornisce una energia lorda di 13,5 MCal (milioni di kcal.). Il rendimento netto è però minore, semplicemente prendendo in considerazione gli alti costi impiegati per la raccolta e il trasporto del legno. La trasformazione in energia della biomassa infatti, per ovvie ragioni, non può avvenire vicino a dove essa viene raccolta e questo taglia fortemente l’efficienza dell’intero processo. In più, per avere quantitativamente il quadro energetico possibile dall’uso della biomassa, bisogna prendere in considerazione il rapporto tra “quantità” di biomassa, energia utilizzata ed energia dispersa. Recenti studi stimano che una città di 100.000 abitanti che per produrre energia usa come carburante la biomassa di una foresta, dovrebbe sfruttare quasi 220.000 ettari di area forestale. Inoltre, circa il 70% del calore ottenuto bruciando la biomassa viene disperso durante la conversione in elettricità.

Dove rimediare la biomassa

Non si può ovviamente coltivare biomassa sulle montagne e non lo si può fare neanche nei territori necessari per produrre alimenti. E questo è uno dei principali problemi: non si può utilizzare per produrre energia con la biomassa il cosiddetto territorio “primario”, che serve per la produzione di alimenti. Da uno studio condotto sulla regione Emilia Romagna ad esempio, si apprende che per far funzionare qualche centrale del genere occorrerebbe mettere a coltura dedicata un territorio ben più che doppio rispetto a quello dell’intera regione. Quelle colture inoltre riguarderebbero un tipo di canna infestante che i contadini locali hanno impiegato un secolo a debellare.

Si è praticamente costretti a ricorrere ad importazioni di biomassa, con l’inquinamento che conseguirà da tutte le fasi del trasporto, dai concimi chimici, dai pesticidi che arrivano insieme ai vegetali. E ovviamente con il conseguente sfruttamento di lavoro e natura in altre regioni del globo.
Un esempio.
Nel luglio 2007 l’unità del governo brasiliano impegnata contro la schiavitù libera più di 1.000 lavoratori di una piantagione di canna da zucchero. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) la definisce la più vasta operazione del genere mai compiuta in Brasile. I lavoratori sono stati trovati in condizioni degradanti, senza un posto dove dormire, mangiare o mantenere un minimo di condizioni igieniche. Nell’ultimo anno (2006-2007) quindici persone sono già morte per sfinimento. Il caso esplodeva con la morte del trentanovenne Juraci Barbosa, dopo aver lavorato la canna da zucchero per 70 giorni di fila sotto il sole: in media dieci tonnellate di canna da zucchero tagliate ogni giorno. La produttività dei lavoratori della canna da zucchero nel solo Stato di San Paolo è aumentata del 7,89% negli ultimi tre anni, nel nome della “rivoluzione pulita”, quella del bioetanolo, che rappresentava per molti la speranza per una politica energetica alternativa e meno inquinante.
Ma il bioetanolo non si produce dal nulla. Si ottiene mediante un processo di fermentazione delle biomasse, come per esempio da canna da zucchero. Produzione questa che nel solo 2006 in Brasile è stata quasi di seimila litri per ettaro coltivato, una cifra enorme se si pensa che nel 1975 era di duemila litri. La produzione di bioetanolo del Brasile è arrivata a coprire circa il 20% dei consumi di carburante dei trasporti interni e, lo zucchero, insieme al bioetanolo, è il secondo prodotto agricolo d’esportazione con giri d’affari valutati attorno agli otto miliardi di dollari. L’eccessiva pressione produttiva sta portando ad una nuova forma di schiavitù in un paese che nel passato l’ha già conosciuta, avendola abolita solo nel 1888.
Il raggiungimento di una frazione dell’ordine del 15% dell’energia totale ottenuta con biomasse rappresenta una stima alquanto ottimistica. Se dovessimo alimentare tutta la attuale “flotta” di automobili con le biomasse tramuteremmo velocemente il nostro pianeta in un deserto.
Non è difficile prevedere che, per risolvere questi problemi, qualche legislatore “tramuterà” prima o poi – legalmente ed illegittimamente – ogni sorta di rifiuti in biomasse.

Se l’economia è la scienza della distribuzione e dell’impiego delle risorse, ognuna delle quali, senza eccezione,
è ricavata da un’ecosfera finita, come mai continuano ad applicare solo sistemi che distruggono queste risorse?

(Kirkpatrick Sale, Le regioni della natura)

Il rischio inquinamento

Ogni combustione produce inquinanti. Quando si entra nell’argomento biomasse, si dice che, bruciando, una pianta produce tanta anidride carbonica quanta ne produrrebbe comunque con il suo solo esistere. Le cose non stanno così. Il bruciamento delle biomasse è fortemente inquinante (particolati che causano bronchite, enfisema, asma, e tumori). Il particolato liberato in atmosfera dal bruciamento della biomassa contiene 14 carcinogeni, 4 cocarcinogeni, 6 tossine che danneggiano gli occhi e altri agenti che coagulano il muco bronchiale. Sono presenti inoltre diversi idrocarburi policiclici aromatici come il benzopirene. Anche gli ossidi di zolfo e azoto e le aldeidi sono presenti in piccole ma significative quantità.
Composti dell’azoto, dell’ossido di carbonio, degli idrocarburi incombusti, delle sostanze derivate dall’acido cloridrico e delle polveri rappresentano i principali gas inquinanti nei fumi di un tipico impianto a biomassa. Tali inquinanti pur se sarà prevista una ottima combustione controllata e dei sistemi di filtraggio e abbattimento saranno inevitabilmente presenti e saranno nocivi per l’uomo e per l’ambiente. Esistono tutta una serie di dati scientifici ad esempio sul fenomeno delle polveri sottili recentemente pubblicato dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), o anche il registro dei tumori della Provincia di Pesaro, che evidenzia un aumento di tumori per la presenza di tale inquinante.

Un’altra serie di problematiche sono legate al fatto che un tale sistema di produzione di energia:

• richiede enormi quantità di macchinari, fertilizzanti, pesticidi, e carburante diesel;
• comporta perdita della biodiversità, consumo enorme di acqua e infine erosione del suolo fertile.

In molti sostengono – come spesso viene fatto per giustificare le sovvenzioni – che bruciando la sostanza organica si produce energia elettrica e, di conseguenza, risparmio di petrolio: dietro l’affermazione si cela un altro equivoco. A parità di energia elettrica “utile” prodotta, la CO2 in uscita da un inceneritore supera di ben due volte quella emessa da un corrispondente impianto a combustibili fossili, a causa della minore temperatura d’esercizio della combustione delle biomasse (900°C, contro i 1800°C dei combustibili tradizionali): per risparmiare petrolio in pratica, peggioreremo l’inquinamento dell’aria ed innalzeremo la temperatura del pianeta molto di più di quanto non accadrebbe.

Imprese improbabili

C’è chi dice che il sole, che lo si voglia o no, è in pratica l’unica fonte d’energia esterna di cui disponiamo. E di energia ce ne potrebbe dare fin troppa, più o meno due cavalli vapore per metro quadro di pianeta ogni secondo, cioè intorno ad un miliardo di volte più di quanta ne usiamo e ne sprechiamo. Dunque, anziché insistere con imprese improbabili, pericolose e deleterie – se non altro dal punto di vista della salute – sarebbe meglio indirizzare la ricerca in una direzione utile a tutti e non studiata su misura per chi, sulla cui onestà, non abbiamo mai scommesso neanche un centesimo.

Edoardo Puglielli


Note

  1. Una rete di teleriscaldamento è un sistema che distribuisce calore attraverso un fluido termovettore, acqua in pressione a 120°C, prodotta appunto dalla centrale termica.
  2. Si veda: Abruzzo: discariche di morte, in «Umanità Nova», settimanale anarchico, a. 87, n. 19, 3 giugno 2007.
  3. http://indyabruzzo.indivia.net/article/902. Fu necessario più di un anno di indagini per accertare la provenienza delle 90mila tonnellate di rifiuti stoccati che arrivavano da aziende chimiche, farmaceutiche, tessili e conciarie italiane (da Trento a Salerno) e individuare i soggetti coinvolti nell’affare. Vennero denunciate 88 persone, 44 delle quali rinviate a giudizio con l’accusa di smaltimento illecito di rifiuti ed individuate ben 198 ditte produttrici dei rifiuti. Conclusa la prima fase delle indagini, scattarono perizie, analisi chimiche e controlli (durati un anno e mezzo) per stabilire la tossicità delle sostanze. Il tutto si è chiuso senza colpevoli, con buona pace per gli sforzi degli investigatori, che ancora oggi ammettono la grande sconfitta, per le attese dei cittadini, e soprattutto per l’accertamento della verità.
  4. http://bloggo.oziosi.org/tiesti/2007/02/17/labruzzo-si-buca/.
  5. Impianti fotovoltaici, impianti eolici solari termici per la produzione di acqua calda sanitaria, per il riscaldamento e il raffrescamento degli ambienti, per la fornitura di calore di processo a bassa temperatura e per il riscaldamento delle piscine, impianti termici a cippato o pellets da biomasse. I contributi sono stanziati nella misura del 50 per cento per quanto riguarda gli impianti fotovoltaici e del 30 per cento per quanto concerne gli altri impianti.
  6. Tra i firmatari della risoluzione del Capogruppo regionale dei Verdi Walter Caporale: Gianni Melilla, DS; Franco Caramanico, DS; Maria Rosaria La Morgia, L’Ulivo; Daniela Santoni, Rifondazione Comunista; Camillo Cesarone, SDI; Camillo D’Alessandro, Margherita; Angelo Orlando, Rifondazione Comunista; Bruno Evangelista, Italia Dei Valori; Annamaria Fracassi Bozzi, Margherita; Maurizio Teodoro, Margherita; Augusto Di Stanislao, DS.