rivista anarchica
anno 38 n. 336
giugno 2008


società

Considerazioni amare
di Antonio Cardella

 

Il risultato elettorale ha evidenziato i limiti e le ipocrisie della situazione politica, economica, sociale. E noi anarchici dovremmo...

 

Che una società appiattita sul presente, su di un presente da consumare più subito che in fretta, abbia votato nell’ultima tornata elettorale quasi compattamente per Berlusconi ed i suoi accoliti, è un evento che travalica gli ambiti della politica per investire il gradiente antropologico.
Dobbiamo confessare che questo aspetto paradossale (ma poi neanche tanto) della vita associata di questo benedetto paese, era all’origine della mia renitenza a discutere di politica già da qualche tempo e non già perché, in quanto anarchico, sono costituzionalmente estraneo ai giochini del potere, quanto perché, seppure avessi voluto parlarne, mi sarebbero mancati gli strumenti linguistici per farlo.
Registrando i discorsi e scorrendo le pagine dei giornali e le notizie tv, infatti, si fa fatica a rintracciare motivazioni sensate in base alle quali si sarebbe dovuto scegliere un candidato piuttosto che un altro. A parte gli insulti reciproci, che erano una costante, direi quasi un bordone delle apparizioni pubbliche dei protagonisti di questa tornata elettorale, sembrava di assistere alle vendite televisive alla Vanna Marchi: se da un lato dello schermo partiva la promessa di una fornitura gratuita di latte per gli infanti, dall’altra, al latte si aggiungevano lo zucchero e il bavaglino; se il primo prometteva una casa per tutti, l’altro replicava che ci sarebbero stati attici con giardini pensili per i senza casa. Su un argomento si trovavano sempre d’accordo, anche se non rinunciavano ad alzare la posta: si sarebbero costruite più prigioni e si sarebbe assicurata una legislazione ed una pratica più repressiva nei riguardi degli immigrati, i quali mostravano una certa vocazione a delinquere e minacciavano la sicurezza dei cittadini.

Sicurezza e periferie

Questo della sicurezza è stato il tema dominante di tutta la campagna elettorale ed è estremamente significativo il modo con il quale il calvo Berlusconi ed il sempre più smunto Veltroni lo hanno affrontato. Né all’uno né all’altro è venuto il sospetto che la sicurezza del cittadino passasse da versanti assai diversi e politicamente più pregnanti di quelli enfaticamente enunciati dai vari tribuni, di destra o di sinistra.
Hanno trascurato il dato, per costoro certamente trascurabile, che l’economia italiana è pesantemente penalizzata dagli affari della delinquenza organizzata e che si è quasi totalmente perduto il controllo di oltre la metà del territorio del paese, dove una parte rilevante della società civile, quella potenzialmente corretta ed attiva è costretta a difendere le proprie ragioni esponendosi ai ricatti e alle ritorsioni dei clan mafiosi o camorristici, esplicitamente collusi con vaste aree della politica locale, politica collusa che poi si vede premiata con prestigiosi posti in parlamento o nei gangli più sensibili della pubblica amministrazione, delle aziende amministrate o addirittura di quegli immondi carrozzoni come l’Alitalia, solo apparentemente privatizzati, ma che, di fatto, sopravvivono pescando e dissipando risorse dalla fiscalità generale e, quindi, prevalentemente dalla povera gente. Dalle bocche di costoro che blaterano di sicurezza non è uscita una sola parola sensata sul degrado delle periferie delle nostre città, anche di quelle più celebrate e premiate con l’affidamento di prestigiose esposizioni universali.
E poi a nessuno di costoro che vaniloquiavano di sicurezza passava per la testa che una società ordinata e relativamente sicura deve essere caratterizzata da una tranquillità di fondo dei suoi cittadini, che devono sentirsi garantiti innanzitutto nell’esplicazione delle loro attività, dall’efficienza dei servizi sociali essenziali, da regole di convivenza che una legalità condivisa e non leguleia renda effettivamente operative.
Niente di tutto questo è inscritto nell’agenda dei visi pallidi della politica italiana. A caldo, dopo aver vinto il ballottaggio per la sindacatura di Roma, Alemanno, brillante esponente dell’anima neofascista della coalizione berlusconiana, ha detto che lui sarà il sindaco di tutti i residenti, e la prima e conseguente misura che la sua giunta adotterà sarà proprio quella di rispedire a casa (ammesso che in qualche posto del pianeta ne abbiano una) ventimila estracomunitari “irregolari”, dove la “regolarità” è intesa solo nella possibilità o meno di sfruttare manovalanza a basso costo o di sostenere le difficoltà esistenziali di vecchi e disabili, alle quali la politica non sembra voler porre rimedio.

Un pugno di avventurieri

Comunque il dramma vero non è l’inconsistenza culturale (e morale) della nostra classe politica: tale inconsistenza data dall’assetto politico scaturito dalla vittoria elettorale della Democrazia Cristiana del 1948. Da quella data, la cosa pubblica è stata gestita sempre in funzione degli interessi di poteri forti che sotto banco restituivano i favori Così il modello di sviluppo del nostro paese è stato sempre determinato e condizionato da lobbies per le quali l’interesse generale era un proclama vuoto da lanciare per gli allocchi in tempo di elezioni. Quindi, da questo versante nulla di nuovo.
Il dramma vero è che, in tempi assai difficili come i nostri dove la precarietà e il disagio di vivere sono così palpabili, milioni di donne e di uomini hanno potuto credere di uscire dalle ristrettezze e dalle sofferenze affidando il destino della nazione ad un pugno di avventurieri che hanno come unico scopo l’assalto alla diligenza. E qui la responsabilità di noi anarchici, anche di noi anarchici è enorme.
Terminata la ventata del 1977, abbiamo smesso di parlare con la gente e ci siamo lasciati coinvolgere nel collasso della sinistra, istituzionale e non. Non siamo neppure riusciti a raccogliere le nostre forze ed a finalizzare le nostre attività all’obiettivo che, in prima istanza, ci compete: ingenerare in fasce sempre più ampie di cittadini il senso dell’insostenibilità di questo nostro vivere precario e privo di futuro.
Siamo certamente presenti in molte lotte significative, contro la TAV, il razzismo e via dicendo, ma queste lotte rimangono rivoli di energie che stentano a sfociare in un corso d’acqua che abbia la forza di cambiare la morfologia del territorio. Siamo privi del quadro d’insieme che ci consentirebbe di finalizzare il nostro impegno, non dico allo scardinamento del sistema oppressivo, ma almeno ad individuarne i punti deboli sui quali poi polarizzare i nostri sforzi.

“La festa dei banditi”

Si è affievolito l’orgoglio di appartenere ad una comunità, troviamo grande difficoltà ad utilizzare quelle poche strutture di dibattito e di coordinamento che servivano a socializzare le esperienze. Ciascuno sembra volersi coltivare il proprio orticello che produce quel tanto che serve a nutrire la stretta cerchia dei componenti la fattoria. Non è che non si riconosca l’opportunità che sopravviva un foglio a respiro nazionale, che si tengano dei convegni, che si organizzino manifestazioni, solo che, una volta presa la decisione, si lascia tutto sulle spalle dei malcapitati che sono chiamati a gestire le iniziative.
Non parliamo poi della sensibilità per la sicurezza del movimento anarchico nel suo complesso, sicurezza che passa certamente dalla capacità di creare e di gestire strutture giuridiche e di controinformazione agili e rapide a mobilitarsi, ma anche e, direi, soprattutto, dalla conoscenza reale e sempre aggiornata delle realtà che operano sul territorio, realtà alle quali, da sempre, è affidata la sicurezza complessiva del movimento.
Vi racconto un piccolo episodio che, per me, è significativo delle nostre difficoltà. Come componente della Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana (FAI), avrei voluto poter contare su una struttura minima di difesa giuridica per querelare un fogliaccio berlusconiano che, nel giorno dedicato alla liberazione dal nazifascismo, il 25 aprile, apriva la sua prima pagina con un titolo su nove colonne in neretto pesante, che recitava testualmente: “La festa dei banditi”.
Sarebbe stata un’occasione da non mancare per dare segnale di allerta contro il fascismo montante nel nostro paese; poi, si sarebbero potuti sottrarre dei soldi a Berlusconi ed ai suoi apparati da destinare alle opere dell’uomo (perché a quelle di Dio basta il furto continuato dell’8 per mille). Ed invece non mi è rimasta altra alternativa che ingoiare il rospo che non ho ancora digerito.
È un esempio minimo di ciò che dovremmo poter fare in scioltezza e che non facciamo.
Come volete che i nostri concittadini ci identifichino e ci capiscano se non possiamo veicolare neppure messaggi così semplici?

Antonio Cardella