rivista anarchica
anno 38 n. 336
giugno 2008


 

Sotto un sole
Calabroafricano

Una giornata ricca di momenti di lotta, di denuncia, di proposte altre per una società altra, segnata fra l’altro da momenti conviviali e di svago: è stato questo in sintesi il Primo Maggio comunalista e anarchico nella Spezzano arbereshe.

Spezzano Albanese (Cosenza), 1° maggio. Sul palco del comizio
anarchico Deborah De Rosa e Domenico Liguori

Dalle ore 10 il piazzale della scuola elementare illuminato da uno splendente sole calabroafricano e con il palco già montato al centro inizia a sorridere alle bandiere nere e rossonere che l’adornano. In piazza iniziano intanto a radunarsi oltre agli anarchici della federazione locale ed alla Federazione Municipale di Base (FMB), i compagni anarchici e libertari calabresi, realtà antagoniste di movimento, delegazioni di sinistra critica e dei cobas provenienti dal cosentino, confondendosi con i cittadini di Spezzano convenuti per partecipare tutti insieme al comizio. Un regalo giunge intanto alla FAI di “Spixana”, un regalo preannunciato ma misterioso, ermeticamente chiuso all’interno di un cofanetto di legno, un regalo del caro compagno ed amico Angelo Pagliaro: una meravigliosa bandiera nera adornata ai margini di riccioli rossi e con al centro una bellissima fiaccola e la scritta FAI “SPIXANA”, confezionata artigianalmente da una ottantaduenne signora (Lidia) e che i compagni provvedono subito a sistemare sul palco. Grazie Angelo, grazie ai tuoi familiari, ora la Spezzano comunalista e anarchica ha la sua storica bandiera.
Verso le 11,30, mentre il sole picchia sempre più forte, si da avvio al comizio con i previsti interventi di Antonio Nociti che si sofferma su un’analisi della fase sociale in atto, Deborah De Rosa che si sofferma sulle tematiche dell’immigrazione e dell’antirazzismo, Antonino Campenì (uno dei tredici compagni accusati di associazione sovversiva e assolto “perché il fatto non sussiste” insieme a tutti gli altri dalla sentenza del tribunale di Cosenza del 24 aprile u. s.) che si sofferma soprattutto sul teorema accusatorio del giudice Fiordalisi e digos cosentina, Domenico Liguori che dopo un commosso ricordo del compagno Giovanni Giordano si sofferma sulle tematiche ambientali e sull’installazione di un depuratore di liquidi “speciali non pericolosi” che l’amministrazione comunale di Spezzano spera di poter “imporre” alla comunità.
Terminato il comizio, verso le 14 arriva il momento conviviale: dalla piazza ci si sposta tutti insieme all’area delle strutture sportive comunali, dove oggi la Cooperativa Arcobaleno, una delle strutture figlie della lotta e delle proposte anarchiche e libertarie in loco, ha dato vita al Caffè Culturale “il Galeone”, e tra un piatto tipico ed un altro, naturalmente frammezzati con vino e canti anarchici, si digerisce tutti insieme il caldo pomeriggio per affrontare in maniera lucida il “nostro concertone” serale e notturno con la musica ed i canti di Sand Creek, Alessandro Fazio, Francesco Passarelli, Anamnesi e di altri musicisti e cantanti che giungono inaspettati da Spezzano e dal cosentino.
A tarda, tarda notte ci si saluta dandoci appuntamento a mercoledì 7 maggio, all’assemblea popolare richiesta dalla FMB e convocata dall’amministrazione comunale sulla questione del depuratore. Gli amministratori troveranno il coraggio di revocare la delibera consiliare come è stato loro chiesto dagli anarchici e dalla FMB, richiesta largamente condivisa da ampi settori della comunità arbereshe, o vorranno continuare con la logica del muro contro muro? Staremo a vedere!

l’incaricato


Ricordando
Franco Lattanzi

Il 30 aprile è morto Franco Lattanzi, più conosciuto come Sbancor. Era molto conosciuto come autore di alcuni interessanti libri (1) e collaboratore di alcune liste di discussione. Era una persona sicuramente interessante e complessa.
Conobbi Franco Lattanzi all’inizio degli anni ’70 in un’occasione per me singolare, un convegno organizzato dalla rivista “L’Erba Voglio”.
Franco veniva dalla Federazione Comunista Libertaria di Roma, uno dei gruppi allora definiti piattaformisti del movimento anarchico. Nonostante i piattaformisti fossero o, almeno, fossero ritenuti una versione bolscevizzante dell’anarchismo, il gruppo piattaformista romano, e Franco in particolare, tendeva ad un superamento del movimento anarchico specifico ed ad un’adesione ad un più ampio movimento di opposizione sociale, quello che, in maniera per la verità imprecisa, venne anche definito come l’autonomia diffusa.
In quell’occasione nacque un sodalizio molto forte. Entrambi, pur venendo da esperienze alquanto diverse, ci proponevamo una ridefinizione di una prassi e di un’elaborazione libertarie che ci sembravano allora, magari con qualche presunzione da parte nostra, inadeguate al livello dello scontro politico e sociale del tempo.
In quegli anni tentammo di ripercorrere una serie di elaborazioni teoriche del passato dall’anarchismo classista e comunista al consiliarismo passando per l’unionismo industriale degli IWW e per l’elaborazione della sinistra antiburocratica degli anni ’50 e ’60 come quella rappresentata dalla rivista “Socialisme ou Barbarie”. Questo mentre eravamo impegnati 25 ore al giorno nelle lotte e nel confronto con altre posizioni teoriche e politiche.
Dal nostro incontro, e soprattutto dalla nostra collaborazione con diversi altri compagni, nacque, in particolare, la versione stampata della rivista “Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe” che, sino al 1976 era uscita come un bollettino ciclostilato essenzialmente milanese.
La redazione della rivista era allora un laboratorio politico per noi appassionante, un luogo di confronto di idee, di ricerche, di esperienze.
Franco in quell’ambiente giocava un ruolo importante. Una solida preparazione, una straordinaria curiosità intellettuale, una qualità notevolissima dell’esposizione e della scrittura ne facevano un redattore di primo piano e, soprattutto, un interlocutore in mille avventure politiche ed esistenziali.
La redazione allora era, è opportuno ricordarlo, prima un collettivo politico che un luogo di studio. La definizione “per l’organizzazione diretta di classe” era presa assolutamente sul serio.
La redazione di Roma della rivista portava nella discussione un’attitudine parzialmente diversa rispetto a quelle “nordiste”, una maggior attenzione al quadro politico e l’ambizione di svolgere un ruolo nelle vicende della sinistra sovversiva del tempo che erano sostanzialmente assenti nella componente classista dura dei compagni del nord.
Ricordo ancora le risate che ci facevamo quando Franco raccontava che diffondeva con altri il primo numero della rivista durante i fatti del ’77 romano pubblicizzandola come rivista moralista e fabbrichista.
Franco non era solo, in quegli anni, un compagno. Era anche un amico della lunga adolescenza che accompagnava il maggio rampante italiano. Con lui se ne combinavano di tutti i colori dalle mangiate pantagrueliche alcune delle quali meriterebbero una narrazione a parte alle avventure con le signorine che, in più di un’occasione, furono le stesse.
Con lui e con Gianni Carrozza, il terzo membro più stretto del nostro sodalizio, conquistammo sul campo il soprannome di “I tre mandarini” ad opera di un ruspigante gruppo di operai toscani più classisti, almeno nelle intenzioni, di noi e decidemmo di dar vita ad una rivista letteraria dallo stesso titolo, rivista che non vide mai la luce.
Assieme vivemmo la fine del maggio rampante e le prime lotte del precariato sociale, la nascita di “Collegamenti Wobbly”, scoprimmo assieme, lo cito, che i colori del tramonto sono simili a quelli dell’alba.
Prendemmo poi strade diverse, lui divenne un importante dirigente bancario, per un verso e “Sbancor”, il critico corrosivo della politica internazionale, per l’altro e il mutare stesso del nostro stile di vita portò a diradare i rapporti.
Restò un’amicizia importante e una serie di incontri anche se non frequenti. Mi parlava a volte dei suoi libri e delle sue ricerche, delle sue curiosità e delle sue inquietudini.
Sapevo di suoi problemi di salute e di sue sofferenze interiori e sin da quando lo avevo conosciuto mi era chiaro che il suo vitalismo, come sovente avviene ai vitalismi, era la maschera di tensioni profonde e di un sostanziale male di vivere.
Con lui, è buffo ricordarlo, giocavo a volte la parte del saggio. Ora non potrò più tirargli metaforicamente le orecchie e sentire le sue risposte a volte ironiche a volte ciniche e la cosa mi mancherà molto.

Cosimo Scarinzi

1. American nightmare. Incubo americano, Nuovi Mondi Media, 2003; Diario di guerra a critica della guerra umanitaria, DeriveApprodi, 1999.

 

Ricordando
Hanon Reznikov

Hanon Reznikov, compagno di Judith Malina e codirettore del Living Theatre, si è spento a New York il 2 maggio scorso in seguito a un ictus che l’aveva colpito due settimane prima. Aveva 58 anni.
Hanon era entrato nel Living Theatre nel 1973 abbandonando gli studi di biofisica a Yale dopo aver incontrato la compagnia proprio in quel College, durante la tournée americana del 1968.
Ben presto, Hanon Reznikov è diventato una figura centrale del Living Theatre, di cui ha assunto la codirezione artistica dopo la morte di Julian Beck, avvenuta nel 1985.
È stato lui in particolare ad occuparsi degli aspetti organizzativi e logistici del Living Theatre, riuscendo, con Judith Malina, ad aprire il Teatro della Terza Strada a New York, nel 1989, poi il Centro Living Europa in Italia, a Rocchetta Ligure, nel 2000, e infine il Teatro di Clinton Street, inaugurato nell’aprile 2007.
Judith Malina e Hanon Reznikov (foto Carol Wallitt)

Hanon Reznikov ha lavorato inoltre alla creazione di molti spettacoli, come regista, attore e drammaturgo. Fra i suoi testi: The Yellow Methuselah (1982), The Tablets (1989), Rules of Civility (1990), Waste (1991), The Zero Method (1992), Anarchia (1993), Utopia (1995), Capital Changes (1998), Resistenza (2000), A Dream of Water (2003), The Code Orange Cantata (2004).
Della maggior parte di questi testi, così come degli spettacoli di strada che il Living Theatre ha continuato a realizzare in questi anni, Hanon Reznikov ha firmato anche la regia, o l’ha condivisa con Judith Malina.
Oltre a sviluppare gli aspetti di forte fisicità e dinamicità caratteristici del lavoro del Living Theatre, Hanon Reznikov ha approfondito in modo assai personale gli aspetti testuali, indagando in particolare i rapporti fra teatro e discipline artistiche, storiche, filosofiche, scientifiche.
Ma è altrettanto importante ricordare che grazie ad Hanon Reznikov, instancabile ed espertissimo conduttore di laboratori teatrali con Judith Malina, centinaia di giovani hanno conosciuto in questi anni il lavoro del Living Theatre e l’hanno rappresentato, dall’Europa agli Stati Uniti, dal G8 di Genova ai campi profughi del Libano.
Ci mancheranno la sua curiosità, la sua apertura, la sua energia, le sue intuizioni. E ci stringiamo a Judith Malina e ai suoi compagni del Living Theatre in un abbraccio commosso e fraterno.
Per Hanon, Peace & Love.

Cristina Valenti

New York, Joyce Theatre, 1984 – Foto di gruppo del Living Theatre
durante una prova de L’Archeologia del sonno.
Seduti, al centro: Julian Beck, Judith Malina, Isha Manna Beck,
Cathy Marchand; in piedi, dietro, da sinistra: Mina Lande, Raaja
Fisher, Karsten Nyvang, Antonia Matera, Christian Vollmer,
Hanon Reznikov, Dirk Szuszies, Horacio Palacios, Henriette Lüthi,
Serena Urbani; seduti, davanti, da sinistra: Ilion Troy, Thomas Walker,
Rain House, Maria Nora, Stephan Schulberg, Nicolas Serrano
(foto Gianfranco Mantegna, «The Living Theatre Archive»)

 

Ricordando
Umberto del Grande

Il 29 marzo scorso, in Toscana, è morto Umberto Del Grande. Gli piaceva giocare con le parole, spesso lo chiamavamo Umbertico.
Una quarantina di anni fa, a cavallo tra il ’68 e i primi anni ’70, visse intensamente quella stagione di entusiasmi e di lotte, soprattutto partecipando alle attività della Crocenera Anarchica, insieme (tra gli altri) con Pino Pinelli. Dopo la strage di piazza Fontana e l’assassinio di Pinelli (15 dicembre 1969), partecipò alla lunga campagna di contro-informazione e di mobilitazione. E lo fece con la sua personalissima carica umana, sempre con il sorriso sulle labbra, con il gusto della burla. È sempre rimasto dei nostri, anche se si allontanò allora dall’impegno militante.
Una piccola curiosità. Quando nel 1971 iniziò ad uscire questa rivista, costituimmo l’Editrice A, che tuttora ne è la “proprietaria”. Prima di trasformarsi in una cooperativa – quale è tuttora – l’Editrice A è stata una ditta individuale, intestata a uno di noi: per qualche anno fu appunto l’Editrice A di Umberto Del Grande.