rivista anarchica
anno 38 n. 336
giugno 2008



a cura di Marco Pandin

 

Attenzione! Uscita operai

Un libro e un cd annodati assieme stretti stretti. Già intercettati su queste pagine (il cd “Le stanze dei giochi” su A 312, novembre 2005), Daniele Manini e Roberto Barbini hanno fatto nel frattempo un sacco di strada: il loro progetto multimediale di racconti e canzoni “Attenzione! Uscita operai” (ed. NoReply) è fatto bene, abbondando in energia e impegno. Un lavoro curatissimo in ogni dettaglio, quasi una roba esagerata. Vediamo.
Tre quarti del libro (l’ultimo quarto è occupato dai testi delle canzoni e da note tecniche e biografiche, nonché da un’intera pagina di ringraziamenti fitti) sono storie “ispirate” alle canzoni del cd, le virgolette ce le ho messe per sottolineare l’esilità del legame. Un’antologia di contributi scritti da nomi noti e meno noti, soprattutto meno noti: storie da bere con gli occhi, che nonostante il poco spazio occupato riescono a sedimentare nel cuore. Nel cd quindici canzoni più un bonus, quindi sedici pezzi. Il tutto parla canta scrive suona grida di lavoro e precarietà e sopravvivenza e stipendi e fame ed elemosine e rabbia e sfruttamento e agitazione, insomma di ragazzi e ragazze a cui tocca arrangiarsi, tutti con la vita rovinata dal non futuro. Non è un coro, piuttosto un conglomerato di voci, ciascuna con frantumi di storie da raccontare, storie usate, parole stanche per la fame o per la mancanza di sonno eppure elettriche come luci al neon attaccate ai soffitti di un qualsiasi call center, di un qualsiasi retrobottega, di un qualsiasi ipermercato.
Le musiche, quante cose da dire su queste musiche. Innanzitutto, fanno solo finta di fare da tappezzeria alle parole, e invece ci scavano attorno, smuovono le sillabe, spezzettano i suoni e li inframezzano alle vocali e alle consonanti creando ibridi pazzeschi. Un balletto di fisarmonica e ghironda, pianoforti classici e strumenti inventati, oppure suonati storti. Anche qui lista infinita di collaborazioni, sembra la lista delle facce sulla copertina di “Sgt. Pepper’s”: in mezzo, ne prendo due a caso, Sergio Berardo e Steve Piccolo, che scopriamo culturalmente meno distanti di quanto raccontino i rispettivi luoghi d’origine e curriculum professionale. Dietro al sarcasmo dei testi una tristezza sconfinata, la consapevolezza che domani è ancora distante e che ancora più distante è il giorno di paga. Ascoltando, non so se mi viene più voglia di muovere il piede a tempo, educatamente, o cercare qualcuno da prendere a pedate. Restando calmi e composti, vi distrarrò dicendo che è davvero curioso il remake di “New broom” di David Thomas, un pezzo bislacco che stava in un suo vecchio lp con Lindsay Cooper, Chris Cutler e Tony Maimone uscito alla metà degli anni ’80, quando il “non futuro” stava solo nei testi dei Sex Pistols e di qualche altro gruppo punk del cazzo, e in Italia nessuno ancora aveva allungato le grinfie sul mercato del lavoro. Restando meno calmi ma più onesti, vi dirò che l’ascolto attento fa venire il nervoso e i coglioni tendono a girare vorticosamente e le mani a prudere. Cercateli nelle periferie: i sindacati non li chiameranno mai in piazza, sul palco del primo maggio. Mai.
Contatti: Sia NoReply che la Banda Putiferio li trovate su MySpace (offrono roba da ascoltare e/o scaricare).

Alessandro Benvenuti

Storia di un impiegato

Non so se al momento in cui leggerete queste righe sarà già stato pubblicato (Giampiero Bigazzi, una delle menti e delle braccia della Ma. So., me ne ha mandato in anticipazione una copia “di prova”), ma francamente lo spero: mi riferisco al dvd che raccoglie la testimonianza dello spettacolo “Storia di un impiegato” con Alessandro Benvenuti e la Banda Improvvisa. Spettacolo che non ho (ancora) visto dal vivo, ma che stando a quanto si riesce ad apprezzare da questa sua registrazione digitale sembra assai emozionante e coinvolgente.
La storia dell’impiegato bombarolo e sfortunato di Fabrizio De André viene raccontata e cantata da Benvenuti con quel suo tono tutto toscano misto di rigore e di innamoramento incontenibile, un atteggiamento spaesante che trasforma in un battito d’ali i trentacinque anni che ci separano dal 1973, all’alba degli anni di piombo in cui l’album è stato originariamente pubblicato. I testi li conoscete: sembrano indecisi tra sogno e realtà ma raccontano di rapporti umani spietati con una lucidità che ferisce, prendono a pretesto una bomba per misurare il tempo in cui un pensiero fermenta e degenera in delirio, e l’indecisione alla fine resta solo quella tra quale maschera indossare per la politica in piazza e quale scegliere per nasconderci sotto la solitudine più profonda.
Il brio e la potenza degli arrangiamenti per banda sono impossibili da raccontare a parole: bisogna ascoltare, bisogna vedere, bisogna esserci. Le riprese del dvd faticano a seguire il vortice dei cenni, gli ammiccamenti, i sorrisi, i lampi, i voli e gli spruzzi degli orchestrali. È una filarmonica col nome piccolo piccolo (la banda Giuseppe Verdi di Loro Ciuffenna, vicino ad Arezzo), ma dal grande cuore, una manciata di volontari appassionati tenuti verosimilmente insieme dalla gioia di far accadere la musica. Senz’altra voglia che scoprire, arrivare da qualche parte per poi subito ripartire. Bello, molto bello ed appagante. Non perdeteli dal vivo, ché senza dubbio sarà ancora meglio, una di quelle esperienze che restano appiccicate dentro.
Informazioni: www.materialisonori.it.

Marco Pandin
stella_nera@tin.it

Fabrizio e “A”

Sul numero di novembre/dicembre 2007 di Vivaverdi, organo della SIAE, la copertina e il dossier interno sono dedicati a Fabrizio De André. Il dossier si apre con una bella testimonianza (“Il poeta delle canzoni profumate di anarchia”)
di Mario Luzzatto Fegiz, forse il più noto critico musicale italiano e amico di Fabrizio (noi lo conoscemmo a casa della sorella di Dori nel 1980, poco dopo la conclusione del rapimento). Ne riportiamo qui l’inizio.

 

“La bella che è addormentata / ha un nome che fa paura / libertà libertà libertà / La bella che è addormentata lalalà lalalà lalalà / ha un nome che fa paura / libertà libertà libertà”.

Questo frammento fu cantato da Fabrizio De André in concerto a Perugia il 12 aprile del 1997. Dori e gli amici non riuscivano a capire da dove provenisse. Canzone popolare? Canto anarchico? Con l’aiuto di alcuni esperti l’enigma è stato risolto: proviene dal brano I carbonari di Armando Trovajoli e Giorgio Calabrese per la colonna sonora del film di Luigi Magni, Nell’anno del Signore e conclude un singolarissimo cd di 17 minuti intitolato Ed avevamo gli occhi troppo belli che fu curato ed edito dalla rivista anarchica A, alla quale il cantautore scomparso era molto legato e per la quale dette due concerti (Carrara 1982 e Napoli 1991) .

Questa parola, libertà, riassume il concetto d’arte e di vita e Fabrizio De André...


 

Paola Sabbatani e Roberto Bartoli
“Non posso riposare”
cd+dvd

Un cd e un dvd, dodici canzoni da ascoltare e un documentario realizzato da
Mario Bartoli e Giangiacomo De Stefano (Va.C.A. Vari Cervelli Associati).
Una co-produzione Editrice Bruno Alpini, Aparte e stella*nera.

Una copia cd+dvd 15 euro

Per saperne di più e per acquistarlo online clicca qui