rivista anarchica
anno 38 n. 336
giugno 2008


lettere

 

Peggio di Berlusconi

Caro Direttore,
ho ricevuto oggi da voi diverse copie del numero 334 della rivista “A”, nella quale compariva una traduzione di parti del mio articolo sul movimento anarchico in Israele. Pur rallegrandomi di vedere un mio testo pubblicato in italiano (e non importa se non mi avete mai chiesto l’autorizzazione), sono rimasto turbato e contrariato dalla vostra scelta di un corredo fotografico, sostanzialmente nove immagini di militanti armati e mascherati di Hamas e della Jihad islamica, e altre due prese dopo un attentato suicida in Israele.
Che cosa mai può avervi indotto ad agire in modo tanto irresponsabile? Che cosa c’entrano quelle immagini con il mio articolo, che parla della lotta civile e non violenta di palestinesi e israeliani contro l’occupazione? Volete lasciare intendere che gli anarchici israeliani sostengono gli attentati suicidi? O che siamo tanto ingenui e sciocchi da collaborare con gente che in pratica non desidera che ammazzarci? Forse non intendevate fare queste insinuazioni, ma la vostra scelta di presentare solo la faccia più violenta ed estremista della società palestinese è stata, nella migliore delle ipotesi, una dimostrazione di un tale ignorante sensazionalismo che non mi sarei aspettato nemmeno da uno dei giornali di Berlusconi, e certo non da una pubblicazione anarchica.
Non avreste potuto fare un minimo tentativo di trovare qualche foto di anarchici israeliani che manifestano insieme ai contadini palestinesi contro la costruzione del Muro? O che si uniscono a loro per ricostruire una casa distrutta? Immagini come queste e molte altre del genere sono facilmente scaricabili da Internet o da uno dei nostri canali alternativi (per esempio awalls.org e activestills.org). Vorrei proprio che l’aveste fatto, invece di riprodurre senza riflettere il cliché razzista “palestinese = terrorista”.
Spero che abbiate possibilità di apprendere qualcosa da questo disgraziato incidente e che abbiate un atteggiamento più compassionevole e umano in futuro.
Sinceramente

Uri Gordon
(Israele)

Foto a senso unico

Cari amici,
non ho dubbi che sia molto più facile reperire immagini di quei violenti dei palestinesi e delle loro malefatte che non degli ebrei israeliani e delle loro nefandezze.
Così, ad illustrare un articolo sull’anarchismo in Israele (“A” 334, aprile 2008), che confesso non ho ancora letto, ecco sfilare il solito repertorio di mamme palestinesi con in braccio un bimbo e naturalmente il mitra, di ritratti di uno dei tanti avatar dell’Osama hollywoodiano, di locali devastati dalle bombe umane palestinesi, di aspiranti kamikaze, soli o in compagnia, di miliziani mascherati o a volto scoperto... uno sfoggio di potenza militare che fa impallidire i jet, i veicoli e i sommergibili con armi nucleari di cui è dotato Israele.
Almeno su “A” uno non si aspetterebbe simile unilateralità; sarebbe come se, a corredo di un articolo su Bresci, si vedessero solo immagini del re buono, del suo funerale, delle odi che gli furono dedicate, della sua famigliola ecc. ecc.

Ma lo so che non è tanto facile reperire immagini di caterpillar che abbattono case, di carri armati che devastano campi coltivati, di ruspe che sradicano oliveti secolari. O la faccia di quel ministro che vorrebbe deportare tutti i palestinesi di là del Giordano... perché i razzi casalinghi non sono giocattoli e possono anche uccidere, come avviene ogni tanto. E infatti ad Israele basta una sola incursione per pareggiare il conto di tutti i morti fatti con i lanci dai territori occupati.
Perché la violenza, per essere accettata, deve essere pulita, e dall’altra parte invece ci stanno solo i cattivi, brutti e anche sporchi, magari perché lo stato di Israele e quei mentecatti dei coloni gli fregano tutta l’acqua. Non dubito che l’articolo riuscirà a risollevarmi, intanto un ciao e un saluto libertario.

Lorenzo Santi
(Padova)


La forza delle immagini

La scelta di utilizzare solo foto di militanti di Hamas armati fino ai denti (bambini compresi) per illustrare, sul penultimo numero, gli articoli di Francesco Codello sulla “pedagogia” antisemita di Hamas e di Uri Gordon sulle attività dei gruppi pacifisti israeliani, spesso in cooperazione con militanti palestinesi, è stata indubbiamente una scelta errata. Ha dato l’impressione ad alcuni, non solo a Lorenzo Santi e Uri Gordon (critiche analoghe ci sono giunte, oralmente, da Antonio d’Errico anche a nome di altri compagni della Federazione Anarchica Milanese) che nel conflitto che da decenni insanguina il Medio Oriente noi si voglia evidenziare solo la violenza degli integralisti islamici e dei terroristi palestinesi. O addirittura – adombra Gordon – che tutti i palestinesi siano terroristi o che (questa però non riusciamo proprio a capire per quale motivo) gli anarchici israeliani siano a favore degli attentati dei kamikaze palestinesi.

Abbiamo sbagliato, perché questa volta abbiamo involontariamente sottovalutato – proprio noi che da sempre attribuiamo particolare importanza all’iconografia e alla grafica – la forza e l’immediatezza di impatto delle immagini rispetto alle parole. Sì, perché se uno legge il saggio di Gordon, per esempio, potrebbe criticarne l’unilateralità anti-israeliana, o meglio anti-governo israeliano, dal momento che non vengono esaminate le attività di Hamas e del governo al potere a Gaza, che ne è la legittima espressione.
Ma quella “unilateralità” che si accetta, e giustamente, perché non si può pretendere che in qualche decina di cartelle uno analizzi tutti gli aspetti, tutti i versanti dei problemi, stride molto di più quando si comunica per immagini. Ne sono la prova anche le immagini che abbiamo messo in queste pagine, non tanto a compensazione della citata (anche se involontaria) nostra unilateralità di allora, quanto per dimostrare ancora una volta quanto “funzioni” di più e prima l’immagine rispetto al testo.

Alla questione medio-orientale abbiamo sempre dedicato una certa attenzione, ritrovandoci spesso in netta minoranza, o meglio quasi isolati, per non esserci mai “schierati” – come troppi, a nostro avviso – in difesa di una parte contro l’altra. Siamo attenti alle ragioni di chi viene represso, confinato in spazi angusti, costretto a livelli di vita indegni: siamo dunque al fianco dei palestinesi e abbiamo ben presenti le responsabilità dei vari governi israeliani succedutisi ma anche (e vorremmo dire soprattutto) di tutte le satrapie arabe circostanti, che oltre ad opprimere con regimi medievali le proprie popolazioni, hanno sempre avuto interesse a lasciar marcire i palestinesi salvo poi esaltarne e sfruttarne propagandisticamente le disgrazie.
Per dirla chiara, non vediamo nello Stato d’Israele il male assoluto (nemmeno limitatamente al Medio Oriente). Non siamo nemici del sionismo (quanti tra quelli che lo detestano ne conoscono la storia?), che storicamente si è configurato come un movimento di liberazione nazionale (seppure con caratteristiche molto particolari). Siamo attentissimi alle sempre più frequenti connessioni tra anti-sionismo e anti-semitismo, che da tempo infettano non poco tanta parte della sinistra e soprattutto di quella “radicale”.
Siamo per la convivenza tra i due popoli (tra tutti i popoli), contrari alla cacciata di chicchessia, pronti ad abbassare più che altrove i nostri progetti ideologici “antistatali” pur di iniziare a vedere una prospettiva di pacifica convivenza.
E proprio per questa nostra visione abbiamo subito apprezzato, fatto tradurre e pubblicato il lucido saggio di Uri Gordon, che probabilmente avrà fatto storcere il naso a non pochi compagni abituati a porre innanzitutto la pregiudiziale antistatale. Mentre Gordon, e non solo lui, sembra avere altre coordinate e insiste – e ancora una volta siamo d’accordo con lui – nel sottolineare la fondamentale importanza del lavoro politico e sociale svolto congiuntamente da gente proveniente dai “due fronti”. Un impegno pacifico, nonviolento e pacifista, nel quale ci riconosciamo.

La redazione di “A”

 

Tra ecomostri e repressione

Domenica 14 ottobre 2007, viene trovato morto nel penitenziario di Capanne (Perugia) Aldo Bianzino, arrestato due giorni prima per il possesso di alcune piante di cannabis, e barbaramente ucciso dalle percosse ricevute in quello stesso carcere (il corpo riportava ematomi al cervello, distaccamento del fegato, lesioni alla milza). Mentre altre morti violente entrano consecutivamente per mesi nel tormentone quotidiano dei media, su questo omicidio cala subito il silenzio complice dell’“informazione” di regime: la notizia scompare dalle cronache nel giro di tre giorni, al punto che oggi, a distanza di sei mesi, l’indagine viene archiviata, accreditando la tesi della morte naturale, negando che Aldo sia stato ucciso.
Il 23 ottobre 2007, a Spoleto, con uno smisurato spiegamento di mezzi militari e mediatici, sono tratte in arresto 5 persone con l’accusa di “associazione sovversiva con finalità di terrorismo”: un reato previsto dall’articolo 270-bis del codice penale, introdotto dal Governo Berlusconi dopo l’11 settembre come estensione dell’articolo 270, risalente al Codice Rocco fascista, che consente gravi restrizioni della libertà personale. Contraddizioni della magistratura che non stupiscono noi anarchici: incaricato dal gip N. F. Restivo, conduce l’operazione il generale Ganzer, vice-comandante dei Reparti Operazioni Speciali del Corpo dei Carabinieri, lo stesso che deve rispondere al Tribunale di Milano di accuse quali “associazione criminale”, ” traffico di stupefacenti”, “abuso e peculato” (Carlo Bovini in “Repubblica” del 22 ottobre 2003).
Su quali basi si reggono le accuse ai cinque spoletini? Fin dall’inizio, esse sono apparse costruite, non su fatti e riscontri documentati, ma su un processo alle intenzioni. Come hanno rilevato anche vari quotidiani locali, il teorema accusatorio si è progressivamente sgonfiato rivelandosi basato in larga parte su arbitrarie interpretazioni di intercettazioni telefoniche ed illazioni non supportate da prove fattuali.
Oggi, tra gli arrestati, soltanto Michele Fabiani, l’unico che si è sempre dichiarato apertamente anarchico, persona ‘scomoda’ in quanto impegnata nella denuncia degli scempi ambientali e nelle lotte sociali in Umbria, rimane segregato in galera, ha visto respinta l’istanza di scarcerazione, ha subito l’ulteriore vessazione del trasferimento nel carcere di massima sicurezza di Sulmona.
Quale prezzo stiamo pagando, in Umbria e nell’Italia tutta, per la retorica della “sicurezza” sotto cui passano, con accordi bipartisan, le cosiddette “leggi antiterrorismo” (che colpiscono in realtà il dissenso e l’informazione critica), i provvedimenti per l’espulsione di lavavetri e immigrati (ultimi della terra destinati a fare sempre da scaricabarile), o la nuova legge sulle droghe che consente di accusare di spaccio e condannare ad anni di galera chi possiede, per proprio consumo, 15 o 20 grammi d’erba? A cosa conduce questo clima di brutale repressione? Chi controlla i controllori? (…)
Esprimiamo piena solidarietà alla moglie e ai parenti di Aldo Bianzino, agli inquisiti spoletini e ai loro familiari, a tutti coloro che sono vessati da un sistema politico giudiziario ed economico concepito per asservire sempre più l’esistenza di tutti all’arbitrio di pochi, reprimere gli stili di vita divergenti, sradicare ogni capacità di azione diretta dei singoli dei movimenti.
Contro questo asservimento della vita umana e non umana al profitto e al potere, come anarchici e libertari, continueremo sempre a batterci.

Alcune individualità anarchiche e libertarie

Circolo Libertario Ternano “Carlotta orientale”

Circolo anarchico umbro “Sana Utopia”

 

A proposito di Pinelli, Calabresi, ecc.

Cari compagni ed Egregia Redazione,
qui a Roma, entrando in Villa Torlonia dall’ingresso di Via Lazzaro Spallanzani dopo un centinaio di metri, alla fine di una via è stata installata una insegna stradale in marmo con sopra scritto: “Viale Luigi Calabresi” “Commissario di P.S.”, e sotto: “Medaglia d’oro al merito civile (1937-1972)”.

Roma, Villa Torlonia – Ingresso da via L. Spallanzani


Villa Torlonia è stata la residenza di Benito Mussolini durante il ventennio fascista, e guardando la nuova insegna è stato impossibile non pensare alla tragedia di tanti anarchici, massacrati, dimenticati o rimossi come mostri da far paura. Ma perché fanno paura se hanno sempre abiurato le guerre, le stragi e sono pacifisti?
Mussolini, per esempio, tanto li temeva che a lungo fece piantonare dalla polizia la tomba di Errico Malatesta quando fu seppellito il 22 luglio 1932, affinché nessuno potesse deporvi sopra neppure un fiore. In una ricorrenza della sua morte, quella del 22 luglio1997, ne visitammo con altri compagni la tomba (aiuola n. 32 del cimitero del Verano di Roma), trovandola in stato di abbandono e ricoperta di erbacce, in mezzo alle altre più “blasonate” piene di rose e fiori; erbacce che a stento e solo in parte riuscimmo a togliere, lasciandole poi sopra un fiore rosso.
Venimmo lì a sapere che Rutelli, allora Sindaco di Roma, aveva accompagnato alcuni ospiti a visitare il Cimitero, fermandosi anche sulla tomba di Claretta Petacci, uccisa e morta per amore di Benito Mussolini.
Io dissi che personalmente nulla avevo da dire su questo particolare, ma che era improbabile che il Sindaco si fosse fermato a visitare la tomba di Malatesta, il cui nome è riportato pure sull’Enciclopedia Treccani, o perché irriconoscibile e impresentabile per l’incuria, o per la “dimenticanza” di dove stava, nonostante la sua rilevanza storica e culturale non certamente inferiore a quella di Claretta Petacci e di altri illustri ospiti,
Tra gli altri “dimenticati” ho pensato a Camillo Berneri, morto a Barcellona nella notte del 5-6 maggio 1937 ucciso insieme ad altre migliaia di anarchici in Spagna, sulla cui figura storica si è svolto il 25 gennaio c.a. un Convegno con la presentazione del bel libro di 752 pagine di Stefano D’Errico.
Durante il Convegno c’è stato un significativo intervento di Valentino Parlato il quale ha detto, tra l’altro, che: “essendo molto appassionato per il personaggio Berneri affascinante, antidogmatico, tollerante, nemico dei principii ecc”….“sono venuto soprattutto per un senso di colpa, visto che questo Berneri l’hanno ammazzato i nostri compagni comunisti... è giusto andare a fare un mea culpa (applausi dei convegnisti)... andava fatto questo!”.
Ma guardando la lastra di marmo della strada intestata a Luigi Calabresi, che qualcuno vuole proporre quale beato nei cieli, viene il ricordo di Giuseppe Pinelli, altro anarchico “dimenticato”, volato fuori per un malore attivo da una finestra dell’ultimo piano della stessa Questura dove faceva il suo lavoro proprio il Commissario Calabresi, intorno alla mezzanotte del 16 dicembre 1969, lasciando sola sua moglie Licia con le due piccole figlie Silvia e Claudia.

Carrara, cimitero di Turigliano. La tomba di Giuseppe Pinelli

La sua tomba che si trova attualmente nel Cimitero di Carrara, vicino a quelle di altri compagni anarchici, ha sopra incisa una bella poesia dell’Antologia di Spoon River, per la commozione che si prova leggendola e che vorrei che qualcun altro, almeno in parte, provasse.
La ragione mi dice, e lo dovrebbe dire anche a quelli che pur poca ne avessero, che qualcuno delle istituzioni nostrane, così in basso oggi cadute, dovrebbe intestare almeno una strada a Pino Pinelli, “colpevole” solo di essere anarchico, con una degna lapide con sotto scritto, in ricordo della sentenza del giudice Gerardo D’Ambrosio, “Ferroviere anarchico volato per un malore attivo fuori da una finestra della Questura di Milano la notte del 16 dicembre 1969”, nel caso che non si rivolesse scolpire nel marmo la parola “ucciso” (come sta scritto sulla targa che è stata tolta presso la Questura di Milano) o “gettato via da una finestra” che sono participi passati di verbi e di azioni che contrastano con quelli scritti nella medesima sentenza, e che quindi sarebbero illeciti.
Ma dove mettere questa lapide? Nella strada senza nome, vicina a quella di Luigi Calabresi? In questo posto la lapide potrebbe però essere considerata una ingiusta provocazione o foriera di false allusioni per il Commissario tragicamente ucciso e che, se oggi fosse vivo, avrebbe forse potuto dirci tante cose su quel nero periodo della storia italiana; e poi proprio nella residenza dell’ex Duce dove passava sul suo cavallo bianco e dove si fermano tanti ragazzi che potrebbero confondersi con le due lapidi su quello che è successo; qualche studente di medicina potrebbe poi indagare meglio su cosa sia un malore attivo; troppe sarebbero le domande illecite e gli ingiusti accostamenti; no, è meglio non proporre di mettere la lapide di Pinelli vicino a quella di Calabresi e nella casa dell’ex Duce; Si potrebbe dire come Di Pietro: “Proprio non ci azzecca!”
Dovrebbe allora essere la stessa sua famiglia, interpellata in primis, a indicarne il posto più idoneo; oppure ci vorrà qualche altro secolo (come è stato fatto qui a Roma per Giordano Bruno) per rimettere le cose al loro posto e per non dimenticare.
Nel frattempo si potrebbe aprire, anche se in ritardo, una petizione nazionale, simile al manifesto “Non dimenticano” che fu pubblicato su una intera pagina di un quotidiano nella ricorrenza della sua morte il 16 dicembre 1972 (Ved. foto n. 3), con il bel ritratto di Giuseppe Pinelli fatto da Bruno Caruso.
Infine, come è stato già proposto, perché non cercare di farsi rispiegare meglio da chi stava in quella stanza, e dagli altri protagonisti di quella vicenda che ancora vivono, quello che avvenne la sera di quel triste 16 dicembre 1969? Chissà la memoria dopo quasi quaranta anni … per esempio la questione delle scarpe di Pinelli che non potevano rimanere in mano a nessuno nella stanza perché lui le aveva ancora ai piedi quando fu trovato sfracellato sul selciato della Questura…

Con i migliori saluti.

Tullio Cardia
Roma, 25 aprile 2008

“Io vidi una donna bellissima, con gli occhi bendati
ritta sui gradini di un tempio marmoreo.
Una gran folla le passava dinanzi,
alzando al suo volto il volto implorante.
Nella sinistra impugnava una spada.
Brandiva questa spada, colpendo ora un bimbo, ora un operaio,
ora una donna che tentava ritrarsi, ora un folle.
Nella destra teneva una bilancia;
nella bilancia venivano gettate monete d’oro
da coloro che schivavano i colpi di spada.
Un uomo in toga nera lesse da un manoscritto:
“Non guarda in faccia a nessuno”.
Poi un giovane col berretto rosso
Balzò al suo fianco e le strappò la benda.
Ed ecco, le ciglia eran tutte corrose
sulle palpebre marce;
le pupille bruciate da un muco latteo;
la follia di un’anima morente
le era scritta sul volto.
Ma la folla vide perché portava la benda”

E. Lee Masters

Cimitero di Turigliano, la tomba di Giuseppe Pinelli. La poesia di Edgar Lee Masters riprodotta sulla lapide

 

 

 

 

I nostri fondi neri

Sottoscrizioni.
Giorgio Ranalli (Lanciano – Ch) 8,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Umberto Del Grande, 500,00; Vincenzo Abbatantuono (Castelborgone – To) 20,00; Enrico Pazienti (Roma) 20,00; Edicola (Roma) a/m Enrico Pazienti, 20,00; Santi Rosa (Novara) 10,00; Domenico Gavella (Ravenna) 25,00; Michele Pisiscchio (Roma) 20,00; Angelo Aleotti (Pavullo nel Frignano – Mo) 20,00; I. (Milano) 20,00; Giuseppe Ceola (Malo – Vi) 20,00; Gesino Torres (Bari Santo Spirito) 5,00; Gianni Forlano (Milano) 50,00; Bruno Riva (Savosa – Svizzera) 5,00; Laura Cipolla (Casalmaiano – Lo) 10,00; Andrea Cassol (Cesio Maggiore – Be) 50,00; Pietro Steffenoni (Lodi) 35,00; Tiziana e Sergio Onesti (Milano) 500,00. Totale euro 1.318,00.

Abbonamenti sostenitori.
(quando non altrimenti specificato, trattasi di 100,00 euro). Luigi Caporiccio (Porto d’Ercole – Gr); Andrea Albertini (Merano – Bz); Giancarlo Frigeni (Lonate Varesina – Va) 170,00; Giancarlo Tecchio (Vicenza); Fabrizio Giulietti (Napoli). Totale euro 570,00.