rivista anarchica
anno 38 n. 340
dicembre 2008-gennaio 2009


storia

In vacanza al confino
di Franco Schirone

 

Più volte il presidente del consiglio Silvio Berlusconi ha espresso l’opinione che la detenzione nelle isole di confino – in grande auge nell’italia crispina e poi in quella fascista – costituisse più o meno un periodo di vacanza per i confinati. Noi anarchici, che siamo stati tra i turisti più affezionati a di quel tipo di vacanza, sappiamo quale fosse la realtà.
Se ne è parlato anche al recente incontro sulle “cucine del popolo” a Massenzatico (Reggio Emilia), il 4-5 ottobre, di cui abbiamo riferito sullo scorso numero. Tra gli intervenuti al convegno di studi, lo storico anarchico Franco Schirone ha presentato una lunga relazione su “Le mense dei confinati antifascisti, con uno sguardo sulla sopravvivenza al confino nel fosco fin del secolo morente (’800)”.
E proprio il capitolo iniziale su Il “domicilio coatto” come forma di annientamento del dissenso sociale nella seconda metà dell’800 riproduciamo in queste pagine.
Gli atti completi del Convegno di studi, compresa quindi la versione integrale di questa relazione, saranno pubblicati dagli anarchici della Federazione Anarchica di Reggio Emilia (FARE) aderente alla Federazione Anarchica Italiana (FAI). Naturalmente ne daremo notizia su “A”.

La misura del domicilio coatto è presente nella legislazione italiana dal 1863, contenuta in un pacchetto di provvedimenti eccezionali tesi a combattere il brigantaggio meridionale. Mai però è stata utilizzata, almeno fino alle leggi Crispine, per reprimere gli oppositori politici: sarà proprio Crispi, ex garibaldino e camicia rossa, a rimettere in circolazione una misura poliziesca alla quale non hanno fatto ricorso, con tanta elargizione, nemmeno i vituperati Borboni.
Tra i luoghi di confino, in quel periodo, è funzionante l’Isola di S. Nicola alle Tremiti, dove uno stabilimento edificato precedentemente dai Borboni è destinato ai coatti comuni: il nuovo Stato raddoppia le case di pena rimettendo in funzione Porto Ercole, una fortezza risalente alla Repubblica di Siena. Successivamente lo Stato poliziesco di Crispi e di Umberto 1° allunga la lista delle località di deportazione politica con le isole di Favignana, Lampedusa, Lipari, Pantelleria, Ponza, Ventotene e Ustica.
Alle Tremiti i deportati anarchici organizzano una “Comune” con una scuola che viene usufruita anche dalla popolazione e pubblicano un giornale, “La Bohéme”. I coatti percepiscono 60 centesimi al giorno, insufficienti per vivere senza l’aiuto delle famiglie e reclamano, di conseguenza, il diritto al lavoro. Nel 1896 viene organizzato uno sciopero di solidarietà nei confronti dei detenuti nelle altre isole a causa di maltrattamenti subiti: i carabinieri sparano sui coatti politici uccidendo Argante Sallucci, 88 anarchici vengono trasferiti in altri luoghi di pena.
La colonia di Port’Ercole, unica sulla terraferma, è il peggior posto di pena (paragonabile allo Spielberg austriaco e alle prigioni dell’Inquisizione spagnola) dove si commettono le angherie più crudeli e le condizioni igienico sanitarie sono rivoltanti, non c’è un medico, l’acqua è inquinata e bisogna comprarla a due soldi al fiasco, molte le malattie e il cibo è tra i peggiori. Nonostante le condizioni, i coatti di Port’Ercole riescono ad organizzare azioni politiche di rilievo, come nel 18 marzo 1895, quando celebrano con un banchetto il ventiquattresimo anniversario della Comune di Parigi, issano una bandiera rosso-nera sul castello reclusorio di Montefilippo e fanno volare dei palloncini coi colori dell’anarchia. (1)

Racconta Zagaglia in un suo libro sui coatti che a Montefilippo da mezzogiorno alle due si distribuisce il vitto che consiste in 200 gr. di minestra e 300 di pane. Altri 300 gr. di pane vengono distribuiti alla sera. La minestra è fatta di pasta o riso, con legumi; solo la domenica a questo cibo si sostituiscono 200 gr. di carne con 150 di pane bianco: un’alimentazione insufficiente a nutrire e che diventa nocivo per la costante uniformità. Niente vino ma i coatti possono comprarlo al bettolino, anche se sono pochi quelli che possono permettersi il lusso di un bicchiere. Le insubordinazioni e le proteste, o le prepotenze delle guardie, si pagano con punizioni di 10 giorni di cella di rigore a pane e acqua. Quei 200 gr di minestra quotidiana sono diventati un mezzo di tortura per i condannati che non riescono più a sfamarsi con una sbroda mal composta ed insufficiente; per non dire dell’acqua: inquinata dai vermi perché il pozzo dove si attinge riceve i rifiuti del bettolino. È facile comprendere che il pessimo e insufficiente nutrimento causano proteste anche perché il vitto peggiora col cambio di direttore della colonia, il malumore aumenta ed i coatti si organizzano per ottenere che nella minestra, oltre ai legumi secchi, venga messa anche la pasta: la risposta diventa la repressione e l’invio di nuovi contingenti di soldati per sedare la rivolta. L’anarchico Adamo Mancini è più esplicito nel descrivere il cibo e in un opuscolo di memorie racconta della sboba e di ceci pieni di vermi. (2)

Favignana. Via Crispi. Il nome del persecutore degli anarchici
è sovrapposto sull’antica via Cameroni. Un connubio ben fondato!

Tristi condizioni

Non bastano però i militari ad evitare un’evasione di massa, organizzata esplicitamente per attrarre l’attenzione dell’opinione pubblica sulle condizioni dei coatti politici: grazie a questa evasione un gruppo comprendente, tra gli altri, Paolo Lega e Oreste Ristori, hanno la possibilità nella loro breve latitanza di ricevere in offerta dai pastori il loro pane, tre frittate col formaggio e buon vino.
Le tristi condizioni dei coatti politici di Port’Ercole, sono le stesse che sussistono nelle isole. A Ischia un coatto oppresso dal freddo e dalla fame si lascia precipitare dalla sommità del forte, raccolto quasi cadavere è inviato nel manicomio criminale di Aversa. A Ischia il vitto, il cui costo è di 30 centesimi nel 1895, comprende una razione di pane e una minestra di fagioli ogni 24 ore. (3)
Con le leggi eccezionali del 19 luglio 1894, per tre anni Adamo Mancini sarà relegato nelle isole e, per nutrirsi, si ingegna a raccogliere crostacei e conchiglie. Ma ricorda anche, nel suo peregrinare, di incontri con coatti comuni e storie di fame atavica nel meridione: come quel calabrese destinato a Portoferraio che sicuramente sarà morto di fame, poiché per saziarsi, ogni giorno, avrebbe avuto bisogno di dieci sbobe e di tre chili di pane. (4)
Un socialista, Ettore Croce, ha vissuto sulla propria pelle l’esperienza che racconta in due opuscoli in cui descrive con rabbia e passione la vita dei coatti politici, dei loro “reati” che sono sempre reati di pensiero, di associazione e di stampa, dei quali sono stati accusati, delle condizioni igienico-sanitarie, delle persecuzioni che sono costretti a subire nelle isole del sabaudo regno, ereditate dai Borboni e rese peggiori per il sistema repressivo instaurato nella nuova Italia.
Se nel 1871 i coatti sono 474 in tutto, tredici anni dopo (1884) saranno ben 6.884: l’Italia è trasformata in un immenso reclusorio dai nuovi barbari del governo liberale, con una moltitudine di persone costrette a morire di fame e d’inedia nelle isole del domicilio coatto. Il numero dei coatti crescerà ulteriormente dopo i moti siciliani del dicembre 1893 e dopo i moti popolari della Lunigiana nel gennaio 1894: lo stesso anno, dopo il fallito attentato di Paolo Lega contro Crispi, quest’ultimo presenterà al governo i Provvedimenti eccezionali di pubblica sicurezza che prevedono l’estensione del domicilio coatto ai reati politici, la limitazione delle libertà di espressione e di associazione, l’arresto preventivo e l’assegnazione al domicilio coatto di coloro che abbiano manifestato il deliberato proposito di commettere vie di fatto contro gli ordinamenti sociali. (5)

Scrive Ettore Croce che, nel carcere di Bari, centinaia di ragazzini sono arrestati dalla Pubblica Sicurezza per i soliti articoli dei soliti reati: è pietoso vedere bimbi, per i quali l’unico posto convenevole sarebbe stato l‘asilo infantile, serrati, accatastati nei cameroni, chiedenti piagnucolando una zuppa o una boccata d’aria. Alcuni di loro si sono trovati per caso tra i tumulti popolari contro il caro pane, altri per divertimento, altri ancora si sono ritrovati lanciatori di pietre per fame. Sì, perchè in quei giorni del 1898, nel Meridione, un Kg. di pane costa 60 centesimi, esattamente il doppio rispetto al 1895, sicché il consumo è oscillante fra i 150-180 gr. giornalieri a persona rispetto ai 330 gr. di pochi anni prima, a fronte della Francia, per esempio, che ne consuma 533 gr. per abitante. È sufficiente questa constatazione per capire come tutti quei carcerati, lo fossero, per aver gridato nello spasimo della fame in uno scoppio di disperazione.
Ai coatti, durante i trasferimenti da Bari a Foggia, vengono consegnate due pagnotte di pane che devono servire per il pasto di una giornata. Arrivati a nuova destinazione il cibo viene negato a causa dei regolamenti che impongono come primo atto la constatazione che il prigioniero sia fornito di denaro: fatto questo gli annunciano che il mattino dopo gli sarà consegnato un libretto per i conti correnti col quale potrà chiedere da mangiare. Se ancora non è morto di fame! Se il condannato protesta, tre giorni di cella a pane e acqua non li toglie nessuno. Ma può capitare che la generosità di un secondino possa far entrare in quella cella una manciata di pomodori che rappresentano un vitale nutrimento per il povero disgraziato.

Ustica. Cella di punizione al “Fosso” (carcere)

Fame acuta

A Lipari i coatti devono trovarsi a mezzogiorno all’appello per la distribuzione della massetta, un sussidio giornaliero di 50 centesimi; parte del loro tempo viene impiegato a scegliere la frutta o a pelare patate per il magro pasto che consiste quasi sempre in una grossa scodella di molta acqua bollita con qualche fagiolo o qualche pezzo di patata. Le punizioni sono di assoluta facoltà del direttore, con un ventaglio su sette livelli che va dalla semplice ammonizione all’eliminazione del sopravitto, dalla cella a pane e acqua alla cella oscura a pane e acqua con camicia di forza da cinque a venti giorni. Il Tribunale di Messina è stracarico per questo tipo di “lavoro” e capita spesso che i coatti, in un mese, mangiano, tra celle di punizione, transiti, massette sequestrate, otto, dieci o dodici volte: pranzo costituito naturalmente da una scodella di fagioli e di patate. La massetta di 50 centesimi al giorno deve bastare per vitto, biancheria, abiti, scarpe, lavanderia e tutte le altre necessità della vita. La gran parte di questi centesimi vengono impegnati dalla quasi totalità dei coatti che mettono da parte pochi soldi, giusto per non morire di fame. Appena giunti alle isole sono accerchiati, incitati, spinti a rifocillarsi in una delle cantine, che sono trabocchetti preparati per spogliarli e derubarli. (6)

Nel 1896 Lipari ospita 738 coatti (il 16,83%), a fronte di un numero complessivo di 4.383.
Il domicilio coatto non sono sole le isole lontane. Pietro Calcagno, ad esempio, a fine ottocento, dopo un periodo di prigionia tra Roma e Novara, è condannato al confino a Varallo, un piccolo villaggio della Valsesia, a proprie spese per vitto e alloggio durante il giorno, mentre solo a sera tardi può rientrare in carcere. Accresciuto ed accumulato dalla lunga deficienza di vitto in carcere, l’appetito non gli difetta e può finalmente riempirsi lo stomaco di minestra e carne; nel suo girovagare da una locanda all’altra, e fin che possiede qualche lira da spendere, incontra locandieri che speculano sulla sorte dei forestieri costretti al domicilio coatto: una piccola zuppa di fagioli con pane ed erbe, più un bicchiere di vino, che ovunque avrebbe pagato quaranta o cinquanta centesimi, in una minuscola locanda si paga una lira, compreso il marsala.
Ma il piccolo gruzzolo di un coatto non può durare a lungo, ed allora a tarda sera, costretto a rientrare in prigione dopo una giornata passata a girovagare per il paese e per le campagne circostanti, può ricevere qualche panetto ed una zuppa di cavoli e rape, oppure una stupida e nauseante zuppa di castagne e fagioli, condita di olio crudo: il pane gli servirà anche nel corso della giornata successiva che passerà tristemente a girovagare. La fame acuta resta la sofferenza quotidiana per un coatto! Pietro Calcagno ricorda la costante deficienza del vitto come quantità e qualità: dopo sessanta giorni dal suo arrivo a Varallo, disperatamente affamato, si sazia delle more e di foglie dei gelsi, procurandosi una potente dissenteria. Qualche lavoretto di pochi giorni riesce a trovarlo, e se la paga è meschina è tuttavia contento di essere tra mura domestiche, circondato di cordialità, mentre abbondante di cibo la tavola rivendica largamente allo stomaco l’astinenza patita, rinvigorendo le forze e l’energia. Dura poco, poiché l’occhio vigile del potere interviene presso la famiglia che ha accolto il rivoluzionario, intimorendola e stancandola fino a costringerla ad allontanarlo da quel calore umano ritrovato. (7)

Favignana. Vecchio carcere per confinati,
nei pressi dell’ex Via Cameroni e oggi Via Crispi

L’anarchico Amedeo Boschi

Le condizioni e gli incontri casuali, lungo le peregrinazioni dei coatti, a volte possono avere risvolti meno drammatici ma che durano poco. Amedeo Boschi, ad esempio, nei suoi ricordi del domicilio coatto descrive quei brevi momenti di carcere vicino a casa, a Livorno, prima di essere relegato alle isole, quando ha ancora la possibilità di ricevere ogni giorno il pranzo da casa sua e vedere settimanalmente i suoi familiari. O quando, per un processo, viene trasferito nelle carceri di Napoli capitando in cella con un capo camorrista il quale, appena appreso che il nuovo arrivato è un coatto politico, ordina ai picciotti di disporre il giaciglio nel lato migliore della cella pregandolo anche di accettare di dividere con lui gli abbondanti pranzi che i suoi compari, ben provvisti di mezzi, gli fanno pervenire. Non si sa mai, pensa il camorrista, che quel detenuto politico possa un giorno diventare ministro, dunque è meglio trattarlo bene. Per tutto il periodo che resta a Napoli, Amedeo Boschi continua a fare scorpacciate di maccheroni al pomodoro, offerti da “Don Pascale” il camorrista, e dei quali diventa ghiottissimo, tanto da farne una forte indigestione, accompagnata da febbre altissima, per cui viene ricoverato in infermeria.
Viene poi trasferito alle Tremiti dove ritrova centinaia di suoi compagni anarchici e insieme organizzano la loro vita nell’isola di S. Nicola. Coi sessanta centesimi che passa il governo, cogli aiuti delle famiglie e quelli dei loro compagni rimasti in libertà, non patiscono la fame. Con un soldo si può comprare una triglia arrosto, con due un bel piatto di minestra, con tre una pietanza di pesce e legumi. A gruppi di sei/sette si provvede a fare cucina in comune e così il problema dei pasti viene risolto in modo soddisfacente. E poi, tirato col poligrafo, viene stampato e diffuso un giornale curato dai coatti, “La Boheme”,che tratta argomenti di politica e anche alcune rubriche umoristiche; e poi vengono organizzati di corsi per l’insegnamento del francese, dello spagnolo e dell’inglese.
Dalle Tremiti Amedeo Boschi viene trasferito a Lipari con passaggio attraverso le carceri di Messina, città in cui viene stampato “Avvenire Sociale” per iniziativa dell’anarchico De Francesco che, già a conoscenza dell’arrivo del Boschi, provvede a fargli pervenire, nei pochi giorni di permanenza a Messina, un abbondante pranzo, con una grossa bottiglia di vino che porta la seguente dicitura a stampa: “Avvenire Sociale”– e più sotto scritto a mano – “Al coatto politico Amedeo Boschi”. (8)

All’isola di Lipari, come giaciglio, viene consegnato ai coatti un sacco di paglia e una coperta da cavalli. Niente cuscini, nè lenzuola, nè pettini, nè catinella, nè asciugatoi, nulla delle cose indispensabili che nelle galere fanno parte della dote degli ergastolani. Il contributo giornaliero, secondo le isole, oscilla dai cinquanta ai sessanta centesimi coi quali si deve sbarcare il lunario. Per quanto in quel lontano periodo i viveri siano a buon mercato, quell’elemosina governativa rappresenta un contributo di fame, ed è solo grazie ai costanti e sostanziali aiuti delle famiglie e dei rivoluzionari rimasti in libertà che i relegati politici possono sopravvivere. In tutte le isole siciliane abbondano i fichi d’india e Lipari non fa eccezione: all’uscita del castello, adibito a cameroni per i coatti, due file laterali di rivenditori di fichi d’india offrono la loro merce. In paese, invece, nei numerosi caffè gli isolani, per colazione, inzuppano biscotti e semelli in capaci bicchieri colmi di granita con una varietà di aromi: un tipo di colazione proibita per chi si ritrova nella condizione di domiciliato coatto, e singolare per chi proviene dal continente. Per loro, e solo saltuariamente, un assaggio di dolce Malvasia per sentire il profumo e il delizioso sapore, capace di infondere una certa gioia che tinge di rosa l’oscuro stato di coatto. A Lipari il luogo d’incontro abituale degli anarchici è l’osteria di “Maria-la-grande” dove si preparano appetitosi cibi per festeggiare l’arrivo dei nuovi compagni ma che diventa anche un luogo di discussione politica. L’arrivo di Amedeo Boschi coincide con una grande festa religiosa ed assiste alle musiche ed ai falò che rallegrano le strade, le tavole imbandite all’aperto sono attorniate da commensali eccitati dai canti, dalle risa e dalle copiose mescite del potente vino liparese che tradisce e ubriaca anche il bevitore più moderato, mentre i venditori di ceci e fave “caliate” (tostate) urlano i pregi della loro merce, adatta ad attirare altro vino.
Dopo anni di peregrinazione viene finalmente il momento della libertà per Amedeo Boschi che nel dare l’addio a Lipari non può sottrarsi dall’accettare da Maria-la grande una bottiglia di malvasia e un pacco di biscotti, provviste utili per il lungo viaggio di ritorno. (9)

Il colonialismo

Con l’inizio del nuovo secolo del Novecento, non si può dimenticare la guerra coloniale del 1911-12, la deportazione dei resistenti libici ad Ustica e nelle diverse isole confinarie con le disumane condizioni di vita in cui sono costretti e le malattie che mietono 132 vittime. Per esempio è lo stesso direttore della colonia coatti di Ustica a far presente alle autorità italiane che la dissenteria tropicale è prodotta dalla irrespirabilità dell’aria dei cameroni affollati oltre misura e dalla uniformità del nutrimento dei prigionieri, senza contare l’impossibilità del mantenimento della pulizia personale e dei locali per mancanza d’acqua, anzi si riesce a stento a dissetarli. Condizioni documentate da Paolo Valera che in un reportage da Ustica descrive crudamente la situazione di quei corpi mal lavati, mal nutriti e mal vestiti, adagiati sulla paglia per terra, senza lenzuola, senza mutande, pigiati nei cameroni dall’aria irrespirabile, pesante, carica di tutti i miasmi e di tutte le infezioni. (10) (…).

Franco Schirone

Queste due tavole di Fabio Santin sono tratte dal volume “Ventotene. Storie di confinati”.
Soggetto e sceneggiatura di Marco Sommariva, disegni e copertina di Fabio Santin,
con prefazione di Silverio Corvisieri e introduzione di Paolo Finzi,
edizione grafica e impaginazione a cura di Annexia Associazione Culturale,
una copia 10,00 euro, pagine 78, formato cm. 23 x 33, per ordini: fabio_masi@alice.it, tel. 335 21 91 055 e 077 18 52 95
(Fabio Masi gestisce l’unica libreria sull’isola di Ventotene)

Note

  1. G. Galzerano, introduzione a Zagaglia, I coatti politici in Italia, Galzerano ed., Casalvelino Scalo (Salerno).
  2. Adamo Mancini, Memorie di un anarchico, Imola, 1914.
  3. Zagaglia (L. De Fazio), I coatti politici in Italia, Galzerano ed., Casalvelino Scalo (Salerno)
  4. Adamo Mancini, Memorie di un anarchico, cit.
  5. G. Galzerano, introduzione a Ettore Croce, Domicilio Coatto, Galzerano ed., Casalvelino Scalo (Sa).
  6. Ettore Croce, Domicilio Coatto, Galzerano ed., Casalvelino Scalo (Sa).
  7. Pietro Calcagno, Verso l’esilio. Memorie di un anarchico confinato in Valsesia alla fine dell’Ottocento, Ghisoni editore, Istituto per la storia della Resistenza in provincia di Vercelli.
  8. Amedeo Boschi, Ricordi del domicilio coatto, ed. Seme Anarchico, Torino, 1954.
  9. Amedeo Boschi, Ricordi di Lipari (1894-1899), editore Paolo Ortalli, s.d., Livorno.
  10. Massimo Caserta, Quel che accadde nella piccola isola, in Newsletter, n. 1, dicembre 1997; Massimo Caserta, Quando Paolo Valera fu “inviato” a Ustica, in Newsletter, n. 2, maggio 1998, Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica.