rivista anarchica
anno 39 n. 344
maggio 2009


politica

Le villette del ferroviere
di Carlo Oliva

A proposito delle recenti esternazioni del nostro beneamato Presidente del Consiglio.

 

Non sta male il presidente Berlusconi con il berretto da ferroviere con la visiera, come si è fatto fotografare sulla prima pagina di tutti i quotidiani italiani mercoledì scorso. Quel copricapo non serve soltanto a occultare l’imbarazzante spettacolo di una capigliatura troppo ostensibilmente artificiale per tinta e consistenza, ma portato così, sulle ventitré, conferisce al leader del centro destra un che di allegro e di sbarazzino, un aria, con rispetto parlando, di ragazzotto in vacanza che piacevolmente contrasta con le espressioni patibolari di coloro con cui tanto spesso è costretto, sia pur controvoglia, ad accompagnarsi – la seriosa cavallinità del volto di Fini, la smorfia irrigidita del povero Bossi, il finto sorrisetto ipocrita di Cicchitto, la truce maschera di La Russa, i tratti davvero un po’ troppo sfuggenti di Bondi... Lui, invece, guardatelo, è tutto un sorriso. Si capisce che calcarsi quell’oggetto sul capo non è soltanto un gesto di convenienza, un rituale quasi d’obbligo, ma qualcosa che genuinamente gli piace, che mette in luce la presenza nella sua psiche di un lato ludico, di una sorta di natura infantile, che di questo genere di esibizioni si compiace e si rallegra, un po’ come il bambino che si dipinge i baffetti sul viso con un tappo bruciato o la bambina che viene, una volta tanto, autorizzata a mettersi il rossetto della mamma. Ne esce confermata, in definitiva, l’immagine di un uomo di stato che, nonostante i gravi impegni e le molte responsabilità che l’affliggono, specie in questi tempi difficili, riesce ancora a trovare la voglia e l’energia di giocare e che quando non dispone di una cancelliera tedesca cui fare il cucù o di un ministro spagnolo alle cui spalle alzare le dita a guisa di corna riesce ad arrangiarsi benissimo da solo. Può sembrare una sciocchezza, ma è anche questa una prova di vitalità.
Che poi l’uomo di Arcore abbia approfittato dell’occasione – si trattava, se ben ho capito, del viaggio dimostrativo su un nuovo percorso ferroviario, sul quale i treni potranno coprire il tragitto tra Milano e Roma in poco più di tre ore, almeno quando c’è a bordo lui – per ribadire alcune delle sue idee fisse più viete (inveire contro i giudici, spiegare che la crisi almeno in Italia non esiste, dare del bugiardo al leader dell’opposizione...) e smentire se stesso, sostenendo di non avere mai detto o scritto quello che tutti gli avevano sentito dire e visto scrivere, non è cosa che possa stupire nessuno. La vita sotto Berlusconi non è un pranzo di gala e il soggetto può essere simpatico, talvolta, ma è infido sempre. Eppure va detto che, anche nella sua mancanza di affidabilità, riesce a sfiorare delle vette che ai più restano precluse, come quando ha disconosciuto la prima bozza del suo “piano casa”, ancorché fosse già stata inviata ai presidenti delle regioni e alla commissione europea con tanto di intestazione e di firma. Smentire una frase sfuggita per caso in una conversazione privata è cosa che possono fare tutti: per far sparire dalla circolazione un documento ufficiale, completo di timbri e sigilli, bisogna essere un autentico professionista.

Silvio Berlusconi

Il popolo delle villette

D’altronde cosa poteva far d’altro, poveruomo? Gli era venuta un’idea bellissima, o che tale almeno gli era sembrata, quella di combattere la stretta economica incrementando l’attività edilizia, con l’annesso corollario per cui l’attività edilizia la si incrementa eliminando quanti più controlli pubblici è possibile. Alla mente un ex palazzinaro come lui, si capisce, entrambe le proposizioni si impongono con la spontaneità di un riflesso condizionato, assumono spontaneament lo statuto di una verità rivelata. Ma poi, quando ormai dell’idea si era convinto e se n’era fatto bello a destra e a manca, pur senza entrare, com’è suo uso, nei particolari, gli avevano spiegato che no, non si poteva, c’erano dei vincoli da rispettare e i vincoli spettava porli, pensate un po’, alle regioni: un’ipotesi che, per uno che come lui nutre una sincera ripugnanza per le minutiae costituzionali, probabilmente non gli aveva sfiorato neanche il vestibolo del cervello. E allora? Allora si fa come sempre: si smentisce e nell’attesa che qualcuno ci metta una pezza (o che l’intera faccenda finisca nel dimenticatoio) si improvvisa liberamente sul tema. Anche in questo genere di giravolte, si sa, il nostro è bravissimo.
A me, tra le varie improvvisazioni ferroviarie e postferroviarie nelle quali si è esibito il presidente del consiglio in questi giorni, è particolarmente piaciuta quella con cui ha precisato che il suo piano non si sarebbe applicato agli edifici urbani, in cui pure vive la maggioranza di noi cittadini, ma alle abitazioni isolate, mono o bifamiliari, alle villette, insomma. L’affermazione gli è stata fatta passare senza commenti, ma qualche analisi, forse, avrebbe meritato. In fondo, quella della villetta è una tipologia abitativa rispettabilissima, ma abbastanza minoritaria, nel senso che non sembra abbastanza diffusa nel paese per giustificare l’improvvisa trasformazione di un piano casa in un piano villetta. Eppure è al popolo delle villette, come a dire alla piccola borghesia extraurbana, che Berlusconi, stando al queste sue ultime dichiarazioni, affida il compito di rimettere in moto l‘economia nazionale, nella convinzione che anche facendo sopraelevare il garage o trasformando il bovindo in veranda si creino lavoro e ricchezza.
Chissà come gli sarà venuto in mente. È difficile – certo – che il berretto che inalberava orgoglioso sul capo gli abbia ricordato che alcuni tra i pochi quartieri di villette che spezzano graziosamente l’addensamento dei palazzoni nella sua e nostra città sono stati creati, ai primi del ’900, per volontà delle cooperative di ferrovieri, ma non è impossibile che abbia colto in quel modo di organizzarsi sul territorio una qualche affinità ideologica e sociologica. Lui, si sa, è domiciliato in Brianza, anche se non esattamente in una villetta. Ma, forse, nella sua mente di abitatore di lussuose dimore di campagna ha sentito scattare una sorta di feeling per coloro che, pur su un diverso piano dimensionale, hanno scelto il suo stesso modello di insediamento, per quanti alle dimensioni del condominio, collettivizzante e potenzialmente socializzante, hanno preferito l’individualità della villetta, sia pure a schiera. Si tratta, in fondo, di quel genere di individualità uniforme e disciplinata in cui maggiormente si rispecchiano gli ideali dell’elettore berlusconiano medio e quindi, un po’, anche i suoi. Abitare in un villa (o, come nel caso, in due, più quelle in Sardegna) non fa di te automaticamente un Thomas Mann o un Bernard Berenson: se sei un Berlusconi è più probabile che la tua grande villa non sia, alla fin fine, molto di diverso da una grossa villetta.

Carlo Oliva