rivista anarchica
anno 39 n. 344
maggio 2009


ai lettori

Leggere l’anArchismo

 

Urbanistica. Con un taglio molto diverso tra di loro (sarcastico quello di Carlo Oliva, rigorosamente documentato quello di Adriano Paolella), i primi due scritti affrontano la questione della casa, delle volumetrie, dei piani urbanistici e quant’altro connesso con la “legge sulla casa” che mentre scriviamo queste note è in discussione in Parlamento.

Bibliografia. Al centro della rivista c’è il dossier “Leggere l’anarchismo 2”, nel quale Massimo Ortalli presenta in maniera organica, suddivisi per aree tematiche, oltre 200 libri di argomento anarchico, usciti nel corso degli ultimi 3 anni e mezzo, da quando – cioè – nell’ottobre 2005 venne pubblicata (dentro “A” 311) la prima “puntata” di questa eccezionale rassegna bibliografica. Aldilà della già fondamentale possibilità di avere sotto tiro praticamente l’intera produzione che ci riguarda (dai grandi editori alle più significative autoproduzioni), questo lavoro certosino del nostro amico e collaboratore è concreta testimonianza della vitalità del patrimonio delle idee anarchiche ben aldilà dei modesti confini organizzativi del movimento che a queste idee si richiama. Indirettamente è la conferma degli ampi spazi, non solo culturali, che si aprono di fronte a noi, tra chi rifiuta il pensiero unico del Potere e vuole tenere aperta una prospettiva critica e libertaria. In direzione ostinata e contraria, come ben sintetizzava il nostro amico e compagno Fabrizio De André.
Anche questo dossier (come il precedente del 2005) viene tirato in migliaia di copie a se stanti, per favorirne la diffusione.

Cibo&anarchia. Nessuna ideologia o partito si è mai occupato di cucina, a parte forse i comunisti che mangiano i bambini, ma ormai il tema, che da pochi decenni è uscito dal tinello delle casalinghe e dalle tavolate dei crapuloni, permea gran parte della nostra società. Ovunque si parla di cibo, piatti e ricette sono diventate un argomento ossessivo e l’alimentazione viene utilizzata spesso come una metafora del mondo.
Insomma, se fino a poco tempo fa la distinzione ideologica in campo alimentare era tra avere troppo da mangiare e non averne proprio, ora che la fame è praticamente sparita dalla penisola le scelte politiche affrontano temi come la sostenibilità economica, i valori etici, il rispetto del lavoro.
Per quanto riguarda il rapporto tra cucina e anarchia, ci sono forse però più domande che sicurezze. Per cominciare, esistono delle scelte nel campo dell’alimentazione che si possono definire anarchiche? Potrebbe esserlo l’autoproduzione, oppure la scelta di ingredienti biologici o legati alla cosiddetta “filiera” corta e alla produzione sostenibile? Oppure è l’alimentazione vegetariana o vegana a rispettare scelte libertarie, negando la violenza contro gli animali oltre che favorire una più consapevole gestione delle risorse del pianeta Terra? O ancora, è meglio rispettare le (supposte) tradizioni come legame sincero con la campagna o tuffarsi nelle contaminazioni del mondo?
Se poi si entra nel campo del gusto, della cucina vera e propria, le poche considerazioni si sciolgono nella constatazione che tutto vale, che in effetti non esiste una cucina anarchica ma al massimo si può parlare di una cucina degli anarchici.
Due libri sono recentemente usciti su queste tematiche, a cura rispettivamente di Rino De Michele (edizioni La Fiaccola, info@sicilialibertaria.it) e di Andrea Perin (edizioni Elèuthera, www.eleuthera.it). In questo numero di “A” riproduciamo stralci del libro di De Michele e del libro di Perin.