rivista anarchica
anno 39 n. 344
maggio 2009


l’angolo della poesia


Carnevale a Gaza
sketch d'occasione

1.

non so più dove sia la Palestina: era
nel cuore di tutti – ora non più, era
nelle bocche di tutti che scesi in strada
gridavano Palestina rossa! – ora non più, era
nei kibbutz e nella mia vocetta di cucciolo, allora,
che sussurrava Israele rosso, perché il comunismo
se una volta c’è stato veramente nella vita
fu nelle Comuni di socialisti e bundisti
nel nord della Galilea cacciati dall’Europa verminosa – ora non più, ora più solo restano i vermi, qui in Europa, vermi a norma comunitaria, grassi d’usura

2.

non sono i crimini della premiata ditta degli
Imbianchini* riuniti Barak&Hamas a farmi
scrivere, né gli ulivi in fiore sradicati,
e nemmeno gli sfollati corsi a rifugiarsi in una scuola
delle Nazioni Unite e centrati da un tank di Tsahal
– tutto questo mi dà noia, come una mosca sullo
schermo del televisore che nemmeno schiaccio ma
scaccio cortese perché cortesi noi aguzzini di pace
siamo, e lo sputo di sangue da dentro lo schermo
non raggiunge le nostre bocche, né ci sarebbe
posto, se mastico, se sazi nei doponatali
vi ringraziano gli schiavi
,**
e resta lì a colare, lo sputo, la striscia grumosa che
non va via, da dentro il cristallo d’una piatta
superficie al plasma

3.

non sono le tregue violate, gli scarni
comunicati con cui segnalano il raggiungimento
degli obiettivi del giorno che di volta in volta sono
rampe di razzi di Hamas oppure
tunnel per i rifornimenti d’armi oppure
testoline di vecchi con i volti
risucchiati in rughe-calanchi
oppure
macchioline di cinici bambini che s’ostinano
a farsi massacrare da artigianali droni
e da preistoriche fionde di F-16
oppure
madri bambine d’infanti più grandi
di loro, presto parlanti come Gesù nel Corano
incoronati di stelle di schegge che nessuno estrae,
regalità perenne
– no, non è questo

4.

che mi fa parlare, e non è la procurata fame,
etterna maladetta fredda e greve
come la pioggia nel canto sesto dell’Inferno,
né il blocco che spranga e la giustizia
che annienta a colpi di risoluzioni alla nuca
le verità più infeste, fatte allineare inginocchiate
e bendate, e infine non uccise ma, liberate e
mandate in giro a chiedere la turpe carità alle
menzogne fattesi ovunque Stato rabbioso
criminale, ovunque cerimonie di riti d’ecatombi
mutati in ordinamenti ipermoderni di teocrazie
assassine o in costituzioni limpide scritte da sniper
democratici

5.

a farmi scrivere è solo la speranza,
etterna maladetta fredda e greve
come la pioggia nel canto sesto dell’Inferno,
ch’io possa nel tempo che mi rimane
vedere trascinati in strada tutti i Prìncipi incatenati
potenti i Prìncipi potenti cuoi
prìncipi unghie di marmo**
di questo mondo tutto trascinati negli asfalti
sdruciti o nella dura sabbia che si dirada al loro
puzzo già sfigurati da una folla razionale e
prudente di testoline di vecchi senza volti
macchioline di cinici bambini
madri bambine di bambini già adulti

6.

che li acchiappi, la folla luminosa, e ne controlli
pulci e dentatura, come a un Saddam scovato, poi
ne strappi le zampette ne sfili l’unghiette e le bave
ne spacchi e l’alette con asce con spiedi con forconi,
e pinzette falcette, poi l’attacchi con colla e saliva o
l’infilzi con spilli negli album oppure che al culo gli
appenda petardi l’accenda e li lanci trottanti col
pelo stradritto di qua e di là per le vie dei borghi
tra l’allegria
etterna sorridente desta e lieve
della folla attenta a non sporcarsi
l’abito della festa né i cellulari con cui riprende
la scena dei notabili che picchiano con vanghe
le teste delle statue giù nel fango speranti
mentecatte che finisca il Carnevale Maiale

7.

e questo vorrei accadesse a Gaza
non lontano da Iosafat dove si riunirà
il Carnevale Universale,
e che fosse l’Evento del secolo, con sponsor
e inviati tv, così che dalle colline attorno con
binocoli non vedremmo più la perfezione della
nostra avanzata ma il numero dei sovrani appesi
moltiplicarsi all’infinito: non più gli schiavi di
Spartaco ad alberare vie ma i Prìncipi di tutti noi
e gli Imbianchini riuniti, tra roghi e sputi – così
con la mia vocetta smentita, ora,

grido!

grido!

grido!


due popoli nessuno stato!
due popoli nessuno stato!
due popoli nessuno stato!

con la mia vocetta lisa
con la mia vita lisa
con la mia illesa
Vanità

Gianluca Paciucci

* “Imbianchino”, così Brecht chiamava Hitler, pittore fallito. Questo vuol dire che Barak e Hamas sono nazisti? No, sono molto peggio, sono uomini d’oggi.

** Questi versi sono tratti da “Ringraziamenti di Santo Stefano” di Franco Fortini.