rivista anarchica
anno 39 n. 344
maggio 2009


 

Uscire dal gregge
... senza entrare in un altro

È uscito negli ultimi mesi del 2008 il libro di Raffaele Carcano e Adele Orioli, Uscire dal gregge. Storie di conversioni, battesimi, apostasie e sbattezzi, Luca Sossella editore, Roma, 2008.
“Perché gli uomini ereditano la fede dai genitori? Quale significato ha avuto e ha il battesimo? Chi lascia una religione abbandona una fede? Perché ci si sbattezza? Perché ci si converte?” “Prima di Uscire dal gregge queste domande erano prive di una trattazione completa e interdisciplinare” “Questo non è un improvvisato e superficiale pamphlet anticlericale: è un libro che prova a rispondere a questi interrogativi con la volontà di diventare un progetto con cui credenti e non credenti sono chiamati a confrontarsi”.

Il libro, che si presenta come prima trattazione esaustiva dell’argomento “battesimo-sbattezzo” è interessante per i casi che riporta e per la storia che fa di questa pratica religiosa. È però tristemente da sottolineare come la volontà dell’Unione Atei, agnostici e razionalisti italiani, Uaar, cui appartengono gli autori, sia piuttosto quella di celebrare la propria attività ed il proprio taglio ideologico senza prendere in considerazione altri punti di vista, ed anzi, come nel caso degli accenni fatti alla Associazione per lo Sbattezzo, che ha precorso l’Uaar in Italia in questo campo, sminuendone i meriti. Basti vedere il poco spazio riservato alla vicenda di Aldo Capitini, il primo ideatore e testimone italiano dello sbattezzo.
Ma i precursori vanno messi al loro posto! Alle pagine riguardanti la battaglia per lo sbattezzo in Italia, vediamo comunque citata l’Associazione per lo Sbattezzo, della quale si riporta un’errata data di costituzione (1983 invece che 1986) e si dice testualmente “Permeata di scetticismo anarchico nei confronti delle istituzioni, l’Associazione non cerca, non vede e non trova nell’ordinamento statale lo strumento atto a tutelare ingerenze ecclesiastiche”. Ma come? Eppure è solo dopo la costituzione del Garante con la Legge sulla privacy (675/1996) che la stessa Uaar presenta ricorso per avere garanzia della cancellazione sui registri parrocchiali di chi richiede lo sbattezzo, e ottiene risposta nel 1999! Cosa doveva dunque fare l’Associazione per lo Sbattezzo, negli anni precedenti, inventarsi le norme?
Inoltre, diciamolo, questo tentativo di chiudere l’attività e lo spessore dell’Associazione nelle “riserve” dell’anarchismo è assolutamente forzata, e parlo dell’attività della Associazione negli anni più importanti e mediatici della sua attività: dal 1986 al 1996, quel primo decennio che vide sollevarsi un movimento d’opinione incredibile, con l’adesione di migliaia di persone.
“Va inoltre sottolineato come la suddetta Dichiarazione integri non tanto una specifica richiesta di uscita dalla Chiesa cattolica, quanto piuttosto una presa di posizione a favore dell’ateismo”, questo dichiarano gli autori, abbastanza incredibilmente, anteponendo l’importanza del gesto burocratico della cancellazione dal registro all’importanza di effettuare dichiarazione pubblica di uscita da una comunità religiosa. L’Associazione per lo Sbattezzo, specifichiamolo, ha voluto privilegiare il gesto politico a quello burocratico perché i tempi questo richiedevano: ma non ha però tralasciato di predisporre la modulistica affinché ogni iscritto inviasse alle autorità religiose la notifica di sbattezzo, né di predisporre per statuto l’assistenza legale agli iscritti in caso di controversie.
Quei moduli che gli autori di Uscire dal gregge scrivono fossero da inviare a “non ben specificate autorità religiose” erano in realtà ben segnalati ai soci come inviabili a seconda delle circostanze alla Parrocchia di battesimo (se conosciuta), alla Curia vescovile (se conosciuta), al Vaticano, e contenevano una diffida chiara ed esplicita alle autorità religiose ad esercitare atti di giurisdizione nei confronti dello sbattezzato.
La “presa di posizione a favore dell’ateismo” che viene sbrigativamente citata dagli autori in realtà altro non è che la dichiarazione di “non appartenere ad alcuna fede religiosa” inclusa nella Dichiarazione di Sbattezzo, non viene sottolineato però come questa si poneva in armonia con l’attività di informazione e di dibattito che in quegli anni l’Associazione ha portato avanti in ambito anticlericale, attività che è stata sempre aperta ai credenti e mai riservata ai soli atei o agnostici!
Nel capitolo “Apostati di tutto il mondo unitevi”, gli autori continuano poi la loro opera di demolizione e ridicolizzazione dei predecessori, paragonando l’attività dell’Associazione a quella, certo meno dotata di spessore politico, degli attivisti della National Secular Society inglese, la quale “consente di scaricare un papiro con tanto di simil ceralacca da appendere, il certificate of debaptism, cugino albionico di quello inviato dalla casareccia (notate bene il termine) Associazione per lo Sbattezzo”.
La mia domanda infine è: come credono gli autori di fare del loro libro “un progetto con cui credenti e non credenti sono chiamati a confrontarsi”, condivisibile anche da chi non usa i loro stessi criteri e metodi, se in tutta evidenza il loro lavoro è fatto per celebrare l’estrema efficienza legale e burocratica della loro associazione, quasi derivando da questa un postulato ideologico che mette in ombra, e ridicolizza gli altri? Il loro metodo sembra somigliante a quello dei paladini del Vaticano, che hanno cercato in tutti i modi di dipingere a tinte popolane e carnascialesche i meeting anticlericali (chissà...forse è lì che Carcano e Orioli hanno letto i loro primi “superficiali pamphlet”?).
La mia esperienza di lavoro nell’Associazione per lo Sbattezzo, proprio sino al 1996, si scontra con il pressapochismo e la pretesa scientificità di Carcano e Orioli. Ringraziamoli comunque, con la generosità e l’ingenuità dei libertari, per lo sforzo enciclopedico.
Questo purtroppo non esce dall’ideologia, del resto, è impossibile per l’Uaar uscire dalla pretesa dell’ateismo di rappresentare, guidare, indirizzare tutti coloro che dissentono “bene” dalla Chiesa. Ed ora che, finalmente, le autorità religiose italiane hanno acconsentito a scrivere, a fianco della data di battesimo, la annotazione di sbattezzo, la loro purezza è fuori pericolo, la battaglia dei numeri, e quella burocratica e legale è vinta, adesso più che mai occorrerebbe essere capaci di capire e rispettare gli altri.
Ma l’Uaar, nella persona dei suoi portavoce, si preoccupa: “Non vorremmo però dare l’impressione che il futuro sia già meccanicamente scritto a favore dell’incredulità. Innanzitutto, atei e agnostici fanno mediamente meno figli, a differenza dei credenti”,...
Che dire, a volte tra integralismo religioso e ateismo sembra non esserci proprio nessuna differenza. È tutta questione di numeri?

Francesca Palazzi Arduini


Il Kenia spiegato
da una donna

Leggendo qua e là sul sito del Daily Nation (www.nation.co.ke), testata giornalistica più importante dell’Africa Orientale con sede in Kenya, mi sono imbattuta in una lettera che mi ha colpita molto per il suo pessimismo di fondo. A scriverla è stato Mutuma Mathiu, managing editor del Sunday Nation (1). Vorrei citarne alcuni stralci, e spero, traducendo, di non averne modificato il significato.
«[…] La violenza del periodo post elettorale (2) […] mi ha cambiato. Ha fatto vacillare la fiducia in me stesso e nel mio paese. Ha distrutto la speranza della mia vita. […] Avendo letto i resoconti del report WAKI (3), riguardo un keniota che, per violentare una compagna keniota con maggior facilità, insieme ad altri tre suoi amici, ha usato un panga (4) per tagliarle la vagina, o di ufficiali di polizia che incitavano le folle a tagliare le gole dei loro vicini, o uomini circoncisi a forza con bottiglie rotte, ho capito che la mia innocenza non aveva possibilità contro la violenza che mi veniva gettata addosso. Noi, fratello mio, siamo barbari. Siamo stati brutali oltre ogni comprensione contro i nostri compagni esseri umani. E i nostri capi, che ci hanno riempito la testa con tribalismo, paura, odio e menzogne, sono barbari nauseanti. La nostra priorità oggi non è lottare contro la povertà o altro di simile; è scoprire come si possa essere umani. Si diventa umani quando accettiamo che il prossimo ha gli stessi diritti che rivendichiamo per noi stessi. E i Luo, i Kikuyo, i Kamba, i Kisii, i Meru (5) e il resto delle etnie, che ci crediate o no, sono esseri umani. […] Cose come il tribalismo sono le preoccupazioni di pazzi falliti. […] Le persone intelligenti sanno che nessuno parlerà di loro nei libri di storia […] ma è con l’azione dei loro cervelli e delle loro mani […] che conquisteranno immortalità, fama, benessere e tutto ciò che motiva gli esseri umani. Odiare o temere le persone perché sono appartenenti ad un’etnia diversa, non ha senso. […] Il pregiudizio tribale […] è il pretesto che i politici usano per ottenere i loro scopi. Penso che dovremmo cominciare a riaffermare la nostra umanità, innanzitutto prendendo le distanze dagli assassini. […] Trovare chi ha finanziato, organizzato e perpetrato queste atrocità ed espellerli dalla società. Allora potremo riformare lo stato affinché tutti siano uguali davanti alle legge, affinché tutti possano godere della sua protezione, ovunque si viva, e avere uguale accesso alle opportunità e alle risorse comuni. […] È pazzia confidare nelle stesse persone affidandogli incarichi importanti e aspettarsi successo e unità».
C’è chi, però, avendo vissuto gli stessi momenti e avendo lottato una vita intera per vedere concretizzati una parte dei desideri, rimane ottimista. È Wangari Muta Maathai, premio Nobel per la pace nel 2004, che così termina il suo bellissimo libro autobiografico: «Sono una delle poche fortunate che ha vissuto per vedere un nuovo inizio nel mio Paese. Molti non lo sono stati altrettanto. Ma ho sempre creduto che, non importa quanto sia scuro il cielo, c’è sempre un po’ di rosa all’orizzonte, ed è quello che dobbiamo cercare. Il rosa all’orizzonte verrà, se non finché ci saremo noi, sicuramente per i nostri figli o per i nostri nipoti. E forse allora tutto il cielo si tingerà del colore della speranza» (6).
È strano partire dalla frase finale, nella presentazione di un libro, ma ho pensato che proprio in quelle righe fosse racchiuso il vero messaggio dell’autrice. Fondatrice del Green Belt Movement (www.greenbeltmovement.org) per la riforestazione delle aree sfruttate e poi abbandonate in stato di degrado, attivista per i diritti delle donne, infine parlamentare, Wangari Muta Maathai è un esempio di cosa la volontà possa produrre, nonostante la vita in Africa non sia risaputamente facile.

Le sue iniziative, le sue parole, molto spesso le sono costate periodi di prigione come nemica del governo. Nulla l’ha fermata, neanche le violenze, le minacce di morte, la realtà di un paese come il Kenia che, come quasi tutti gli stati africani – e non solo – , è dominato dalla corruzione dei capi, veri e propri parassiti sociali, spesso appoggiati da potenze straniere in qualche modo interessate a mantenere sorte di “colonie” asservite per meglio sfruttarne le risorse, mal gestite dalle popolazioni locali.
Il suo gesto, collocare una, due, mille piccole piante in zone disboscate per incuria umana, lo leggo in modo simbolico. Lei, Wangari, chiede scusa per le colpe di altri, alla sua terra, alla Terra ferita, rendendole ciò che ingiustamente le era stato strappato. Il suo insegnamento è forte, audace.
Il suo libro è interessante anche perché vi si spiegano le diverse guerre che hanno insanguinato il Kenia, a partire dalla ribellione dei Mau Mau fino alle ultime evoluzioni sociali. La storia keniota spiegata e narrata da chi l’ha vissuta, e per giunta, donna.

Laura Scaglione

Note

  1. Edizione domenicale del Daily Nation.
  2. Mutuma Mathiu si riferisce al dicembre 2007.
  3. Il report WAKI è il frutto di cinque mesi di indagini – su richiesta del presidente Kibaki – seguite alle violenze post elettorali, e il cui obiettivo era capire chi fossero gli organizzatori, i finanziatori e i colpevoli degli atti in questione.
  4. Machete africano.
  5. Elenco delle principali etnie che coabitano in Kenya.
  6. Wangari Muta Maathai, Solo il vento mi piegherà, Sperling & Kupfer, collana Diritti e Rovesci, 2007.