rivista anarchica
anno 39 n. 347
ottobre 2009


attenzione sociale


a cura di Felice Accame

 

Galileo
e la pratica astrologica

 

1. Nelle premesse di Oroscopi e canocchiali – libro documentatissimo e ben raccontato –, Andrea Albini si pone due domande: perché Galileo si occupò di astrologia e perché lo sviluppo delle sue idee non ne venne influenzato ? Non si tratta di questioni attinenti alla semplice cronaca – sempre che far della cronaca possa mai esser semplice. C’è in gioco parecchio: la reputazione di una persona, forse la reputazione di una collettività di cui questa persona ha fatto parte, la nostra capacità di spiegare e i criteri in virtù dei quali una spiegazione ci sembra soddisfacente o meno, valori di ieri considerati giocoforza con valori di oggi, la concezione stessa della scienza.

2. Albini risponde alle due domande dicendo che Galileo si occupò di astrologia perché i suoi contemporanei – dato il “clima” – si aspettavano da lui che se ne occupasse; era consuetudine, insomma, per una persona nella sua posizione (“matematico” all’università di Padova). Che questa sua occupazione non potesse influire sullo sviluppo delle sue idee – si presume quelle “scientifiche” in grazia delle quali il suo nome è giunto fino a noi – è, poi, spiegato con la sua fede in quella “nuova scienza” che, in quanto tale e di per sé, l’avrebbe reso “disinteressato” all’astrologia. Una sorta di immunità.

3. A mio avviso la prima risposta è insufficiente e la seconda forse fuorviante o, meglio, erronea, ma, voglio precisare, non alla luce dell’idea di scienza più corrente e tacitamente condivisa da Albini – fuorviante ed erronea la risposta lo diventa nel momento in cui la scienza venga definita come un’impresa aperta per definizione, non caricata del contraddittorio compito di descrivere una realtà indipendente e di per sé stante, un’impresa caratterizzata da una procedura che prevede una continua ed incessante attività di paradigmazione nonché la conseguente sanatura delle differenze man mano costituite.

4. A fornire gli elementi a sostegno della mia prima tesi – con tutta l’onestà del bravo storico –è Albini medesimo. La biblioteca di Galileo conteneva testi di astrologia e filosofia occulta – meno di quanto ne contenesse quella di Newton, ma, comunque, in quantità sufficiente a comprovarne l’interesse professionale. E infatti, di quel sapere – facendosi pagare –, Galileo fa uso. Per esempio, formulando gli oroscopi di due granduchi di Toscana (Ferdinando I dei Medici e suo figlio Cosimo II – e in quest’ultimo caso modifica l’ora di nascita di Cosimo per ottenere congiunzioni astrali più favorevoli assecondando un principio noto ad ogni buon mago che voglia campare cent’anni: maggiore è il potere della committenza e più favorevole è l’oroscopo). È vero, poi, che ai suoi tempi, molti ecclesiastici – Papi compresi – sono appassionati di astrologia, ma è anche vero che, ufficialmente, la Chiesa la condanna. Tanto è vero che, ben prima dei suoi due famosi processi, Galileo risulta indagato – come si direbbe oggi – per “fatalismo astrologico” – accusa che verrà a cadere, grazie all’intervento di questo e quello, ma che, comunque, significa qualcosa. Per esempio, che il “clima” non era così cogente, che erano a disposizione anche sensibilità favorevoli a chi si fosse rifiutato di praticare divinazioni astrologiche.
Terrei anche in debito conto il fatto che Galileo fosse perennemente in cerca sia di mecenati che di titoli nobiliari.

5. Ora, pur ammettendo che l’abiura sotto la minaccia di tortura non ne possa intaccare in alcun modo la presunta integrità etica, resta un insieme di tratti che non contribuiscono affatto a restituire di Galileo una figura particolarmente edificante. A maggior ragione se, come vorrebbe Albini, lui all’astrologia non credeva, approfittandone soltanto per rimpinguare una cassa che non vedeva mai mezza piena. Furbacchione dedito alla circonvenzione di incapaci, insomma, e pragmatico quando vuole, Galileo lo è – sferra un colpo al cerchio di un potere e un altro alla botte di un altro potere, giochicchia tra “governo” e “opposizione”.

6. Direi, allora, che di astrologia avrebbe potuto non occuparsi, a meno di non considerare questa disciplina come ineludibile nella sua stessa concezione della scienza. Ed è qui che passo alla seconda questione: non credo sia possibile affermare che la pur vilipesa astrologia non abbia potuto influenzarlo in alcun modo perché messo al sicuro dalla sua “nuova scienza”.
Fatto sta che – come afferma in un famoso passo de Il Saggiatore – per Galileo l’universo “è scritto in lingua matematica”, “triangoli, cerchi ed altre figure geometriche” ne costituirebbero quei “caratteri” senza i quali – diventando “impossibile a intenderne umanamente la parola” – saremmo tutti destinati ad aggirarci “vanamente per un oscuro labirinto”. Ma è proprio questa la base delle accuse che gli potrà rivolgere un Feyerabend ai tempi nostri – allorché ricorderà come il cardinale Bellarmino (campione di quel relativismo di cui, checché ne dica Ratzinger, la Chiesa cattolica si è sempre alimentata), al tempo del primo processo a Galileo, gli avesse offerto di uscire onorevolmente dal guaio in cui si era cacciato ammettendo che di “ipotesi” si trattava e non di “dati di fatto”, e come questi, ahilui, si fosse rifiutato. Realista platonizzante, Galileo fonda la propria concezione della scienza sulla contraddizione e, in più, assegna ai numeri una sorta di autonomia e di indipendenza, reificandoli e sottraendoli, pertanto, all’ambito dei risultati dell’operare umano.

7. Ben diversa è la concezione di scienza espressa dal suo allievo Evangelista Torricelli, laddove – in una lettera del 10 febbraio del 1646 – assicura Michelangelo Ricci dicendogli “che i principi della dottrina de motu siano veri o falsi a me importa pochissimo. Poiché, se son veri, fingasi che sian veri conforme habbiamo supposto, e poi prendansi tutte le altre specolazioni derivate da essi principii, non come cose miste, ma pure geometriche. Io fingo o suppongo che qualche corpo o punto si muova all’ingiù et all’insù con la nota proporzione et horizzontalmente con moto equabile. Quando questo sia io dico che seguirà tutto quello che ha detto il Galileo et io ancora”, ma attenzione, “se poi le palle di piombo, di ferro, di pietra non osservano quella supposta proporzione, suo danno, noi diremo che non parliamo di esse”. Un convenzionalismo, una soluzione pragmatista, dunque, in opposizione ad una forma di realismo – che altrove, come lo stesso Torricelli lascia intendere, Galileo virasse in direzione convenzionalista, ne dimostra soltanto l’opportunismo epistemologico.

8. Dalla constatazione che, affidando alla scienza il compito di ottenere la “realtà” delle cose, la si incarica di una “missione impossibile” – perché qualsiasi cosa osservata è pur osservata da qualcuno e qualsiasi cosa descritta è pur descritta da qualcuno –, può conseguire una irrimediabile svalutazione della scienza. Se nulla è certo, allora tutto è uguale: biologia molecolare, fisica quantistica, lettura dei tarocchi, alchimia o astrologia che sia, va bene tutto. Se la va, la g’ha i gamb, dicevano un tempo a Milano, se va vuol dire che ha le gambe, che funziona – se no, amen, qualche ragione ci sarà, proviamo altrimenti. Il realismo non produce meno scetticismo dell’idealismo.

9. La scienza di Galileo – per quanto la si voglia chiamare “nuova” senza specificare in cosa differirebbe, in termini di procedure, da quella che la precede – non è sufficientemente sorretta da criteri espliciti che la distinguano da pratiche che scienza non sono e, pertanto, lascia un varco entro il quale ci può entrare di tutto. Ai tempi suoi come ai tempi nostri – quando è fin troppo facile individuare soluzioni mistiche e religiose convivere allegramente con i risultati delle scienze più matematizzate e più “naturalistiche”.

10. In genere, mi riesce difficile accettare l’idea di una persona divisa in compartimenti a tenuta stagna, dove quindi un certo modo di ragionare non possa avere influenza alcuna su altri modi di ragionare. Da questo punto di vista, la pratica astrologica non può non aver influenzato in qualche modo il pacchetto più nobilitato oggi del pensiero galileiano. A maggior ragione il mio argomento vale stante la concezione di scienza espressa da Galileo. E varrebbe anche, si noti, stante la concezione di scienza espressa da Torricelli. Entrambe, infatti, andrebbero sostituite da una concezione operazionale. Scienza, da questo punto di vista, sarebbe caratterizzata dalla ripetibilità dei risultati e delle procedure a partire dai costituiti e da quell’insieme di rapporti che poniamo tra loro – un insieme che trova nell’aspirazione alla massima coerenza il proprio principio costruttivo. Una definizione che lascia fuori della porta, inesorabilmente, molto di quel ciarpame che, nel portarcelo sulle spalle e rendendoci infelici – o consolati nella rassegnazione –, serve alle agenzie del potere per riprodurne incessantemente l’esercizio.

Felice Accame

P.s.:
Fa notare Albini che i casi storici di oroscopi ritoccati non sono poi rarissimi. Luca Gaurico ritoccò in positivo quello di Federico II Gonzaga, signore di Mantova, e in negativo quello di Martin Lutero. Alzi la mano chi non ne vede alcuna connessione con questioni di ordine ideologico. La palma per l’aggiustamento più clamoroso, però, a mio avviso, tocca a Giovanni Battista Benedetti: aveva previsto la propria morte per il 1592, ma, allorché sentì mettersi male le cose, modificò il proprio oroscopo, morendo – il 20 gennaio del 1590 – avendo la soddisfazione di dirsi “l’avevo detto, io”.
P.p.s.: Oroscopi e cannocchiali di Andrea Albini è pubblicato da Avverbi, Grottaferrata 2008.
P.p.p.s.: Dal processo a Vanna Marchi emerge che, per le sue prestazioni, si faceva pagare. Senza questo particolare la sua vicenda non avrebbe mai assunto l’aspetto di un procedimento giudiziario – un procedimento che, al momento, sembra destinato a restare meno famoso di quello concernente Galileo. Anche per ciò – e non solo per ciò – porre un’analogia tra la funzione sociale dell’astrologia ai tempi di Galileo e quella della psicoanalisi nel Novecento ha un senso. Anche Freud insiste molto affinché il rapporto tra analista e paziente trovi nel passaggio di denaro la sua giusta dimensione.